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La settimana della verità per Zdenek Zeman: basterà l’amore dei tifosi a salvare il tecnico boemo?

Il copione è sempre quello, con una spiacevole novità però. Mentre la difesa si conferma la peggiore della serie A dopo dieci giornate (ben 19 gol subiti, praticamente 2 a partita), l’attacco è lungi dall’essere il migliore, come vorrebbe il più classico dei cliché delle squadre di Zeman: disattente – se non disastrose – in fase difensiva, ma eccellenti in attacco.

Non che 19 gol realizzati siano pochi, ma al netto dei 3 messi “a segno” della partita vinta a tavolino a Cagliari (che regala anche uno “0” alla voce dei gol incassati…), è meno di quanto fatto dalla Juventus (22), dall’Inter (19 sul campo) e persino dai cugini della Lazio (16), che tra una settimana nel derby avranno la grande occasione di mettere definitivamente a nudo i problemi giallorossi e di ribadire una superiorità cittadina che festeggerebbe così il terzo anno consecutivo.

Prima del derby però il boemo è atteso all’esame casalingo contro un Palermo appena appena rigenerato da Gasperini (una sola vittoria finora e la zona retrocessione sempre alle porte). Sulla carta, un impegno che potrebbe consentire a Totti e compagni di respirare in classifica e di preparare con più tranquillità la stracittadina: il bilancio dei rosanero fuori casa è infatti di due magri pareggi, con un solo gol realizzato in cinque partite.

Ma più o meno questo era lo stesso background col quale si presentarono all’Olimpico Bologna e Udinese, entrambe poi capaci di centrare tre punti rimontando il 2-0 iniziale della Roma. A conferma del fatto che l’harakiri zemaniano si manifesta preferibilmente in casa e in partite sulla carta più abbordabili (ma si sa, al boemo piace stravolgere gli schemi), mentre in trasferta a Milano contro l’Inter e a Marassi col Genoa i giallorossi sono stati autori di due prestazioni formidabili, pur andando sotto di due gol contro i rossoblù.

Eppure questa volta, a differenza di 15 anni fa nella sua prima avventura nella Capitale, Zdenek Zeman ha qualche attenuante in meno: non ci sono più i “suoi” nemici Moggi-Giraudo-Bettega a complottare contro di lui, la Roma ha un’altra proprietà e pur assecondando la politica dei giovani non ha badato a spese in campagna acquisti (quasi 30 milioni spesi, per un passivo di quasi 20 milioni), e l’allenatore stesso, reduce da esperienze all’estero e in serie B, avrebbe in teoria dovuto maturare una certa furbizia in più.

Ma la furbizia al tifoso romanista sembra proprio non piacere: Zeman piace così, autentico, genuino, persino naif e perdente, purché simbolo del calcio pulito e del gioco offensivo. Poco importa se la Roma ha il quarto monte ingaggi della serie A (95 milioni di euro lordi, quasi il doppio del Napoli) e vanta nella sua rosa giocatori di primissimo piano come Totti, De Rossi e Osvaldo e giovani interessantissimi come Lamela, Florenzi e Destro. Poco importa se, al netto degli esterni Cafu e Candela, questa Roma è palesemente più forte in ogni ruolo rispetto all’ultima allenata da Zeman nel 1998-99, pure capace di fare meglio di questa (finora) arrivando quinta quando le grandi squadre erano ancora 5-6 e non 2-3 come adesso.

Nonostante tutto questo, a Roma non c’è verso di mettere in discussione Zeman. “Siamo col boemo a prescindere”, è la frase più ricorrente tra bar, giornali, radio locali e chiacchiere da taxi. Ma a Roma c’è anche una proprietà, che per giunta è straniera e più che il sentimento popolare ha a cuore un certo modello di business. E per quanto possa sembrare la cosa più impopolare del mondo, non è da escludere che la prossima settimana sarà decisiva per le sorti della panchina di Zeman.

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