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La scuola italiana tra centralismo, corporativismo ripudio del merito e denatalità: radiografia di una crisi

LAVORO&PENSIONI politically (incorrect), la rubrica del lunedì di GIULIANO CAZZOLA accende i riflettori sulla crisi dell’Istruzione. La scuola primaria italiana regge il confronto con quella degli altri Paesi ma la situazione si capovolge nella scuola secondaria: ecco perchè

La scuola italiana tra centralismo, corporativismo  ripudio del merito e denatalità: radiografia di una crisi

Quando sessant’anni or sono venne costituito il primo governo organico di centro sinistra (con l’ingresso dei socialisti) Pietro Nenni reagiva alle critiche del Pci sottolineando quanto fosse significativo per un uomo della sua generazione che il bilancio della Pubblica Istruzione fosse maggiore di quello riservato alla Difesa. È questo un pallino che è rimasto nel dna della sinistra, tanto che, nel dibattito sul bilancio 2025, il governo è stato criticato (con la logica delle tre palle a un soldo) per aver fornito armi all’Ucraina anziché impiegare quelle risorse in poste di bilancio ‘’più onorevoli’’ come la sanità e la scuola. Nel frattempo, l’Italia è in affanno nel raggiungere quel 2% del Pil che viene indicato come ‘’minimo sindacale’’ da allocare alla sicurezza in tempi in cui – nella divisione dei compiti a livello internazionale – potrebbe venir meno quel ruolo di gendarme dell’Occidente che gli Usa hanno ricoperto fino ad oggi.

Debito pubblico e impatto sull’istruzione

La scuola, in Italia, ha semmai un diverso motivo di sconforto. Come ha ricordato recentemente il Governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta: ‘’L’Italia è l’unico Paese dell’area dell’euro in cui la spesa pubblica per interessi sul debito è pressoché equivalente a quella per l’istruzione. Sottolineo questo confronto – ha aggiunto – perché è emblematico di come l’alto debito stia gravando sul futuro delle giovani generazioni, limitando le loro opportunità’’. Ovviamente il rapporto è biunivoco perché è altrettanto vero che l’alto debito influisce negativamente sulla capacità di spesa, anche di quella per l’istruzione. Visto, però, che la spesa per il personale docente e amministrativo assorbe quasi tutto l’ammontare degli stanziamenti riservati al settore, alla fine dei conti la richiesta di maggiori risorse finisce per riguardare l’incremento degli stipendi, perché anche gli insegnanti condividono il grande lamento nazionale (in un paese del G7) che è divenuto ormai un luogo comune e che si riassume in tre parole: salari da fame. Senza ignorare i confronti statistici e le valutazioni delle istituzioni internazionali, sarebbe il caso di interrogarsi sull’esistenza di condizioni di carattere strutturale che contribuiscano quanto meno a determinare le sofferenze e le carenze dell’istruzione in Italia.

La mobilità degli insegnanti e il precariato nella scuola italiana

La scuola pubblica rimane una struttura centralizzata con un numero enorme di dipendenti sia docenti che amministrativi e tecnici: per farsene un’idea, da noi quelli del sistema educativo sono quasi il doppio dei dipendenti civili del Pentagono. La piaga di una gestione centralizzata è uno dei motivi di una mobilità inadeguata ai danni della continuità didattica. Il reclutamento, ad esempio, è condizionato dalla c.d. mobilità degli insegnanti titolari di cattedra. Quelle disponibili – per ragioni evidenti – non possono essere sempre a pochi km da casa; anzi, in prevalenza sono nelle regioni del Nord, mentre gli insegnanti che le hanno ‘’vinte’’ sono al Sud. È umanamente comprensibile che sia complicato trasferirsi; ma non si può pretendere che siano i ragazzi a farlo. Succede allora – con l’appoggio del sindacato – che si trovino tutti i pretesti per non spostarsi (un parente da assistere ex legge n.104, la malattia, i figli minori, ecc.) fino a quando – dopo aver preso possesso della cattedra – termina il periodo obbligatorio di mobilità ed è consentito rientrare. Così – soprattutto al Nord – i dirigenti scolastici devono nominare dei supplenti (in complesso 250mila all’anno), per i quali, negli anni dopo, i sindacati chiederanno una sanatoria per la stabilizzazione. Poi, ci sarà qualcuno che – ogni qualvolta i sindacati rivendicano una stabilizzazione dei precari (abbiamo spiegato in precedenza come funziona la fabbrica del precariato nella scuola) – si sia chiesto dove siano finite quelle decine di migliaia di insegnanti assunti negli anni precedenti.

Autonomia scolastica e il ruolo del merito

Tutti i tentativi di una maggiore autonomia (si veda da ultima la legge sulla ‘’buona scuola’’) sono stati contrastati da un sindacalismo che è insieme ideologico e corporativo. Anzi che ha fatto dell’ideologia uno schermo per il corporativismo. Gli stipendi degli insegnanti sono troppo bassi, rispetto a quanto avviene in altri paesi europei? In larga misura questo stato di cose è la conseguenza della politica contrattuale che caratterizza il settore. La logica del ‘’todos caballeros’’ resta dominante nel mondo sindacale della scuola anche a scapito dello sviluppo della contrattazione decentrata: guai a meccanismi retributivi che premiano il merito o che incentivano la produttività; vade retro all’autonomia scolastica; si stabilizzino i precari senza troppi riguardi nella selezione. Eppure non sarebbe impossibile premiare il merito.

Facciamo un esempio. Durante i due anni di chiusura delle scuole per la pandemia (l’unico caso in Europa) l’insegnamento a distanza è venuto avanti a macchie di leopardo per merito di dirigenti ed insegnanti disponibili ad effettuare quell’esperienza in modo volontario, spesso con i propri mezzi. È un tipico caso in cui sarebbero stati giustificati emolumenti premiali per quanti si prestarono alla DaD nell’interesse degli studenti.

Denatalità, rapporto docenti-alunni e qualità dell’istruzione

Vi è poi un altro aspetto singolare: in un paese dove non nascono più bambini la scuola ha aumentato gli occupati, benché anche questo mondo sia stato toccato dal fenomeno della denatalità; ormai il saldo è negativo anche includendo i nati da famiglie straniere residenti. Patrizio Bianchi (ministro del governo Draghi) commentò uno dei tanti scioperi per motivi assai discutibili effettuati nella scuola: “Non solo non c’è intenzione di fare dei tagli ma di fronte alla riduzione prevista di bambini” che “dal 2021 al 2032 saranno 1 milione e 400mila in meno in classe, con le vecchie regole voleva dire 130mila insegnanti in meno mentre noi non interveniamo su questo. Noi fino al 2026 lasciamo totalmente inalterato il numero degli insegnanti proprio per poter ridurre la numerosità delle classi, ma dall’altra parte tutte le risorse che emergono, anche in presenza di 1,4 mln di bambini in meno rimangono nella scuola”. Di conseguenza finisce per pesare sul livello delle retribuzioni anche il rapporto docenti-alunni: in media in Italia vi sono 11 studenti per docente sia nelle scuole primarie che in quelle secondarie di primo grado, e 10 studenti per docente nelle scuole secondarie di secondo grado. Così l’Italia si colloca ben al di sotto della media Ocse, che è rispettivamente di 14, 13 e 13 studenti per docente. Praticamente siamo al livello della scuola peripatetica di Aristotele. Questo beneficio è accompagnato anche da un costo significativo in termini di spesa per la retribuzione dei docenti in rapporto al numero di studenti.

Sarà comunque il caso di segnalare che il sottoscritto alle elementari (anni ’50) aveva una sola maestra, così mio figlio (anni ’70), mentre mio nipote (ultimo decennio) ne ha due. E quale è il prodotto? Secondo le valutazioni di carattere internazionale, la scuola primaria italiana risulta essere tra le più eque, ed è in linea con altri paesi (es. Spagna, Lituania e Repubblica Ceca) quanto a inclusione. Le cose però cambiano, in peggio, nella scuola secondaria. Secondo i dati PISA, in Italia la percentuale di quindicenni con scarsi risultati è tra il 23% e il 24% sia in lettura che in matematica, con un gap in linea con la media dei paesi europei nella lettura e poco al di sopra in matematica. Solo il 10% circa degli studenti provenienti da un contesto socio-economico svantaggiato ottiene punteggi particolarmente elevati in lettura e una percentuale simile riguarda gli studenti con background migratorio. A questo proposito, capita ogni tanto che insorgano proteste dei genitori (sobillati dagli insegnanti) a proposito dell’inserimento di alunni stranieri soprattutto nelle zone in cui la presenza di questi nuclei famigliari è importante. Nessuno però sembra rendersi conto che, in mancanza di questi apporti, sorgerebbero difficoltà a formare le classi e ad utilizzare a ranghi completi i plessi scolastici.

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