La scultura é sempre stata considerata un’arte difficile da comprendere e perciò anche da collezionare. La preferenza è per le opere di piccole e medie dimensioni, perciò facili da collocare in una residenza, mentre, per altre di riconosciuta monumentalitá, ecco che entra da sempre nelle opere pubbliche e istituzionali. Non c’è piazza importante che non abbia la sua, pietra, marmo, bronzo o metallo per ricordare qualche personaggio di culto o eroi. Ecco che la memoria di un evento che non si vuole dimenticare, partecipa immobile mentre il tempo passa lentamente. Ora la scultura é anche design, architettura e forma di contemporaneità. Ma la sua storia parte da molto lontano.
Nei secoli passati gli scultori utilizzavano solamente materiali che si prestavano ad essere modellati, come la creta. Oppure materiale più duro come la pietra o il marmo che però sotto le mani abili di uno scalpellino poteva trasformarsi in armoniose forme. Mentre oggi, gli scultori moderni si sono allargati nell’utilizzo anche di altri materiali, come l’acciaio o le resine fino ad arrivare a sostanze biologiche deperibili nel tempo.
In antico il termine “artifex” riguardava sia l’artista che lo scultore, mentre il temine “operarius” era rivolto all’operaio. Ma spesso, si coniavano in una unica figura capace di modellare e plasmare la materia. Così anche lo scalpellino castigliano e gli scultori francesi appartenevano alla medesima classe, erano parimenti degni di rappresentazione.
In pieno Rinascimento, Donatello veniva chiamato “scarpellator” ossia scalpellino, mentre Leonardo, nel suo Paragone fra le arti, poneva senza esitare la “pittura al di sopra della scultura“. E mentre da Vinci meditava sui principi che governavano l’attività della scultura, Michelangelo, più giovane di ventitreanni, creava le sue più belle opere scultoree. Ricordiamo poi Cellini, Vasari, Pigalle, Bouchardon, o il Bernini. Più tardi, Falconet e Canova, per arrivare al diciannovesimo secolo con Rodin e Hildebrand. Nel secolo successivo, il ventesimo, le forme vengono influenzate dal periodo storico. Le opere devono spaziare nel tempo, nello spazio e devono liberarsi di ogni escrescenza fino a diventare consapevoli e pure in una forma complessa a tutto tondo come quella di Moore, Harp, Boccioni. Lo spazio diventa così uno degli attributi fondamentali della scultura di questo scorso secolo.
Oggi la scultura é progettare e disegnare nello spazio con l’aiuto di nuovi metodi, utilizzare questo spazio e costruire con esso, quasi si trattasse di un materiale di nuova generazione. Da qui le nuove forme a volte performantiche come quelle di Anish Kapoor o contestualizzanti alla simbologia che è entrata nel nostro nuovo mondo, vedi Jeff Koons, con i suoi grandi cuori in metallo saldato e colorato che si esibiscono come palloncini gonfiati e sospesi in aria e le uova rotte.
La sua plasticità non riprende più alcuna iconografia mitologica o religiosa come in antico, ma si esprime in sole forme che rievocano oggetti, natura scomposta, per arrivare ad articoli apparentemente da usare, sconfinando a volte nel significato del design. Essa però ha in se una severa rigidità di pensiero, perché rimarrá sempre rispettosa della forma e delle proporzioni. In essa si nasconde la perfezione, che possa essere percepita o immaginata. Bisogna girarci attorno per capire che essa vive nello spazio, che parla con chiunque l’osservi, che recita il suo ruolo come un grande artista da palcoscenico. E quando essa diventa monumentale allora cede il posto all’architettura, quando invece é pura creazione artistica di linee, di oggettività e di fruibilità allora é design.
Ma la scultura si trasforma ancora, partecipa alla vita sociale in spazi dove la gente può anche specchiarsi in essa, come nell’opera dell’artista indiano Kapoor “Cloud Gate” di Chicago. Una vera porta che c’è e non c’è, ma che passandoci sotto o attorno specchia la vita del visitatore, alla quale non può più sottrarsi. Mentre le luci del giorno fissano i palazzi e le luci della notte i cieli, un’opera che muta ogni giorno, che immortala la vita ma mai la fissa. Un lungo cortometraggio senza pellicola.
Ecco perché essa trova sempre meno posto in spazi privati, come opere inserite all’angolo della casa o sul tavolo, perché sono ormai da anni state sostituite proprio dagli oggetti di design, sempre più colorati e che hanno anche un uso, danno luce o ci consentono di sederci.
In realtà ritengo che ci sia stato un vero abuso sul termine “design” che per un lessico alla moda, é riferito a qualsiasi cosa abbia una linea stilistica, tonda o quadra, Made in Italy o China, poco importa. Mentre il vero Design é un’altra cosa, é l’arte dove il suo ispiratore, il designer, ha saputo cogliere l’essenziale e ha prodotto un’ estrema pulizia dell’oggetto creato.
Anche nella moda si parla sempre più di “abiti scultura” e “design della moda”, ma quale sarà il vero significato?
Gli abiti scultura partono da concetti molto antichi, una rielaborazione di costumi antichi, nelle forme e nelle linee, basti pensare agli stilisti giapponesi come Issey Miyake che incrocia gli spazi dei materiali usati con i vuoti createsi come vere architetture. Lo stesso vale per il design applicato al disegno di un qualsiasi accessorio, e se le regole sono ferree il prodotto sarà non solo di successo ma anche duraturo nel tempo, un esempio é la Maison Hermes, linee senza alcun ripensamento.
In tutto ciò chi detta le regole sono i principi del pensiero creativo ispirato dalla natura e dal pensiero umano che cerca di interpretarlo con qualsiasi disciplina.
Nel frattempo ci sono uova di Pasqua – meglio se rotte – che vengono battute all’asta a tante cifre.