Un documentario realizzato dal FAI, il Fondo Ambiente Italiano, che per oltre venti minuti incanta lo sguardo e il pensiero con il suo racconto e inedite immagini d’epoca, una storia che racconta di sofferenze e di riscatto, di povertà e di nobiltà d’animo, di malattie e di speranza. Siamo nei locali dell’officina, dove un tempo si costruivano e riparavano i pezzi di ricambio dei macchinari della salina Conti Vecchi. In quei giorni non si poteva aspettare che andassero e tornassero dal Continente e così si faceva tutto in casa. Ora l’officina è tornata a essere tal quale, come le foto scattate negli anni tra le due guerre mondiali, così come l’archivio, l’ufficio del direttore, tutto ricostruito in pochi mesi, dov’era e com’era. Gli architetti e gli storici del FAI hanno curato ogni dettaglio. Le piastrelle di ceramica d’epoca, superstiti solo nell’ufficio che fu del direttore della salina, sono state copiate e fatte fare, così come gli antichi arredi, le poltrone e le suppellettili… ciò che c’era è stato recuperato, restaurato e valorizzato, ciò che era andato perduto è stato rifatto. Il colpo d’occhio è notevole, come vivere un flashback.
Ci si immerge in questa affascinante storia uscendo dalla città di Cagliari, qualche decina di chilometri andando verso Pula. La salina Conti Vecchi è a metà di una strada stretta, acqua e fenicotteri a destra e acqua e fenicotteri a sinistra, che ha lo stesso punto di arrivo, Cagliari. Anche Google Maps perde l’orientamento, incapace di dare le giuste indicazioni per arrivare a questo angolo di paradiso, dove da tanto tempo sole mare e vento danno il ritmo alle giornate di lavoro e il tempo allo scorrere delle stagioni.
Sole mare vento sono i tre ingredienti del sale, un bene tanto prezioso da essere considerato “oro bianco” ed essere all’origine di tanti vocaboli importanti. «Indispensabile prima per conservare il cibo, poi anche per dargli sapore, per millenni è stato considerato simbolo di longevità e verità. Così importante – recita la voce narrante del filmato-documentario del FAI – che da “sale” derivano “salve”, “salute”, “salubrità”. Omero lo chiamò “divino”, nell’età classica valeva così tanto da essere usato al posto del denaro per pagare i soldati romani: da cui la parola “salario”».
La Sardegna da sempre è stata terra di saline, ma tra i bacini di acqua stagnante e la malaria endemica il passo è breve. L’intuizione di Luigi Conti Vecchi, fresco di congedo e quasi settant’anni sulle spalle, è di trasformare una palude infestata in un luogo di benessere. Nel 1919 presenta il progetto, nel 1925 i lavori sono quasi ultimati. Una grandiosa opera ingegneristica e sociale, perché i Conti Vecchi concepiscono la fabbrica come una famiglia, una comunità dove si nasce, si studia, ci si diverte, ci si sposa, ci si aiuta. Costruisce le case per gli operai, gli impiegati e due villini per i dirigenti. Un asilo e una scuola che frequentano tutti i bambini, un autobus aziendale che porta in città i più grandi a studiare, una chiesa, lo spaccio aziendale, i tornei di bocce. Le feste danzanti, le partite di calcio. Quasi tutto è sopravvissuto al secondo conflitto mondiale, alle bombe sganciate dai tedeschi e poi alla miseria del lungo dopoguerra, all’industrializzazione scriteriata, alla successiva crisi.
«Questo è un esempio positivo di due galassie differenti. C’è la parte industriale e quella ambientale che convivono. La storia di Assemini per Eni – ha esordito l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, alla cerimonia di apertura al pubblico delle Saline, il 26 maggio 2017 – è una storia abbastanza usuale: oltre l’80% dei siti che noi stiamo bonificando non nascono dal ciclo industriale Eni. Negli anni’80 e 90′, fino al’95, tutti i siti che avevano un legame con idrocarburi, chimici o raffinazione, di società piccole o grosse che sono fallite e non si sono assunte l’onere delle bonifiche, sono passate a Eni. Anche questo sito non era nostro, l’abbiamo preso nel 1982 – ha ricordato Descalzi a proposito delle Saline Conti Vecchi – e tuttora è uno degli stabilimenti di produzione di sale più avanzato del Mediterraneo, il secondo in Italia (dopo Santa Margherita di Savoia in Puglia), con i suoi 2.700 ettari. Un’industria in piena attività, una salina che produce sale alimentare e sale industriale, per la produzione di soda, un museo-non-museo pensato e gestito dal FAI che è un unicum di bellezza.
Dal sito di Eniday.