Nel 2015 il PIL della Romania è cresciuto del 3,8% con il contributo fornito dai consumi privati pari a 5,6pp e quello degli investimenti pari a 1,8pp. Il contributo dell’export netto è stato invece negativo (-5,0pp) per via della crescita delle importazioni; la spesa pubblica non ha fornito alcun contributo alla crescita del PIL. Nel primo trimestre del 2016 il PIL è cresciuto del 4,3% e poi ha accelerato al 5,9% nel trimestre successivo con una buona performance della produzione manifatturiera, in aumento del 2,5%. Allo stesso tempo, anche l’export ha mantenuto un significativo ritmo di crescita: 5,3% in termini nominali. Ecco allora che il Centro Studi e Ricerche Intesa Sanpaolo prevede una crescita nell’intero anno del 4,4%, dove è la domanda interna a trainare la dinamica del PIL, con il contributo anche della spesa pubblica (il deficit pubblico è previsto salire al 3,0% del PIL).
La Romania del nuovo premier: corrono PIL (+4,4%) e competitività, ma occhio al debito
Se la domanda interna traina la crescita del Paese, il deficit pubblico aumenterà al 3,0% nel 2016 e al 3,3% nel 2017, con un conseguente incremento del debito pubblico al 40% del PIL. Resta positivo il rafforzamento dei fondamentali economici.E’ la Romania che trova il nuovo premier quarantenne Grindeanu
Dopo aver accusato una delle recessioni più forti dell’Europa Sud-Orientale, con una contrazione del PIL di -7,1% nel 2009 e -0,8% nel 2010, l’export e l’economia rumena hanno ritrovato slancio crescendo del 3,5% nel 2013. Il Paese, che dopo aver rischiato la crisi istituzionale, ha ora nel quarantenne Grindeanu il nuovo premier, è così entrato in una fase ciclica favorevole che è proseguita nei due anni successivi, rafforzata dalla domanda interna per consumi privati e investimenti. L’aumento del salario minimo pubblico, il basso prezzo dell’energia, la riduzione dell’IVA sugli alimentari hanno sostenuto la fiducia dei consumatori e la domanda delle famiglie, mentre la disponibilità dei fondi europei (30 miliardi di euro stanziati per il periodo 2014-20) e i tassi di interesse ai minimi storici hanno favorito gli investimenti.
Nel giugno 2015 l’inflazione è passata in segno negativo (-1,6%) a seguito della riduzione dell’aliquota IVA sui prodotti alimentari dal 24% al 9%. Nel complesso, gli analisti prevedono che l’inflazione resterà ancora negativa alla fine di quest’anno (-1,6% in media), prima di tornare in territorio positivo nel 2017 per effetto degli aumenti salariali, del progressivo atteso rafforzamento della domanda e dei prezzi dell’energia in aumento in virtù del recente recupero del prezzo del petrolio, salito a 52 dollari al barile e previsto a 60 dollari nel 2018.
Il deficit di bilancio, pari a 6,3% del PIL nel 2010, è sceso gradualmente fino a 1,5% nel 2015. Grazie a politiche fiscali prudenti, in parte nell’ambito del programma di assistenza Stand-by Agreement del FMI, il Paese ha migliorato significativamente lo squilibrio di bilancio. Lo scorso anno il deficit pubblico è stato persino migliore di quello programmato grazie alla buona crescita economica superiore alle attese: ora però le prospettive della finanza pubblica sono viste in deterioramento dallo stesso FMI, che prevede un deficit in aumento al 3,0% nel 2016 e al 3,3% nel 2017, con un conseguente incremento del debito pubblico al 40% del PIL a causa delle minori entrate fiscali. Nel medio-lungo periodo, se il disavanzo pubblico dovesse rimanere al 3,3%, il debito pubblico salirebbe fino al 55% dall’attuale 39,6% del PIL.
Nel 2012 il deficit corrente è stato del 4,8% del PIL, in calo dal 5,0% degli anni precedenti ma ancora piuttosto alto; a partire dal 2013, in parte grazie anche alla correzione del deficit pubblico, il disavanzo corrente ha iniziato a ridimensionarsi. Nel 2015, il deficit del conto con l’estero è stato pari all’1,1% del PIL, mentre il conto corrente è stato in territorio negativo per via del commercio di beni e servizi e anche per il disavanzo del conto dei redditi. Il FMI vede il deficit corrente in aumento anche nel prossimo anno (-2,5%) per via del rafforzamento della domanda interna e di conseguenza delle importazioni. E con un deficit corrente stabilmente al 2,5%, nel medio lungo periodo il debito estero si potrebbe tuttavia assestare al 50% del PIL, in riduzione dall’attuale valore del 60% circa. In prospettiva, il deficit è previsto aumentare per via della crescita attesa delle importazioni, tuttavia rimanendo sotto il 2,5% consentirebbe di mantenere la sostenibilità nel medio lungo termine dell’indebitamento estero.
In questo scenario, le prospettive di un rafforzamento dei fondamentali economici della Romania in un’ottica di lungo periodo restano positive, accompagnate dall’attuazione delle riforme necessarie ad incrementare la competitività del Paese. L’attuale struttura del sistema istituzionale è complessivamente migliorata negli ultimi anni: sulla base del Global Competitiveness Index calcolato dal Word Economic Forum la Romania è passata, tra il 2007 e il 2016, da un punteggio di 3,97 a 4,3 su una scala compresa tra 0 (minima competitività) e 7 (massima competitività). Ecco allora che la competitività del Paese è aumentata grazie soprattutto al sistema dell’istruzione, mentre appare invece ancora debole la competitività di infrastrutture e sistema giudiziario. Il maggiore elemento di vulnerabilità economica della Romania è rappresentato dall’indebitamento estero, pari circa il 60% del PIL; tuttavia la parziale correzione del deficit corrente realizzata dal 2013, benché prevista ridimensionarsi nei prossimi anni, potrebbe consentire una stabilizzazione del debito estero in prossimità del 50%, purché il disavanzo corrente resti inferiore al 2,5% nel medio/lungo periodo. Le agenzie Fitch e S&P’s attribuiscono al Paese il rating BBB- a fronte dei contenuti deficit e debito pubblici, che tuttavia restano oggetto di attenzione per i rischi di un loro eccessivo aumento nel caso la politica fiscale accentuasse il suo orientamento pro-ciclico. Baa3 è il giudizio espresso da Moody’s.