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La rivoluzione digitale vale 32 triliardi di dollari

Big data, internet delle cose, intelligenza artificiale, realtà virtuale: in un un’unica espressione “Digital Revolution”, un processo di digitalizzazione delle informazioni, delle nuove tecnologie e del sapere che è ormai entrato a far parte della nostra vita quotidiana. Un rivoluzione che presenta grandi opportunità e affascinanti sfide ma anche rischi che bisogna comprendere per saperli affrontare. Di tutto questo si è parlato nel corso di un’edizione speciale della conferenza mondiale “The Future of Science” dal titolo “Digital Revolution: come cambierà la nostra vita”. La location è stata l’aula magna dell’Università di Milano Bicocca: da una parte un pool di relatori, autentici cervelli operanti sulle nuove frontiere del digitale, dall’altra tantissimi studenti dell’ateneo ad ascoltare e domandare. Un obiettivo quello della divulgazione tecnico-scientifica, che è alla base della mission delle tre Fondazioni organizzatrici di “The Future of the Science”; la Fondazione Umberto Veronesi, la Fondazione Silvio Tronchetti Provera e la Fondazione Giorgio Cini.

Uno scenario di un mondo sempre più caratterizzato da una connessione tra macchine e tra macchine e l’uomo, un business astronomico valutato – secondo Alberto Sangiovanni-Vincentelli, professore di ingegneria elettrica e scienze del computer dell’Università di Berkeley – in 32 triliardi di dollari: una cifra da capogiro con ben 21 zeri. In un futuro non lontano le città diventeranno smart cities, le case saranno smart homes, le auto self driving. “Ed è proprio l’automotive ad attirare investimenti sempre più massicci dei grandi protagonisti della rivoluzione digitale con l’obiettivo di vincere la sfida dell’auto a guida autonoma. Un traguardo che avrà ricadute epocali anche su molti settori industriali, a partire da quello delle assicurazioni che dovranno fare contratti con il produttore del veicolo e non più con il privato guidatore. Apple e Google stanno investendo nell’automotive cifre ormai più alte che nel loro core business perché ritengono che cellulari e lo stesso internet abbiano raggiunto già livelli vicini alla saturazione”.

Google con la controllata Waymo – impegnata nello studio dei veicoli driverless – ha siglato un accordo con la Fca senza precludersi reciprocamente altre partnership. Il risultato è una flotta di minivan, Pacifica, che saranno testati nel 2017. Apple sta puntando sulla guida autonoma con il progetto Titan, a lungo tenuto nascosto. Intel, dal canto suo, ha di recente speso 15 miliardi di dollari per acquisire l’israeliana Mobileye realizzando la più grossa acquisizione nel settore dell’automobile a guida autonoma. Mobileye copre da sola il 70% del mercato globale dei sistemi di anticollisione e di assistenza avanzata alla guida: tra i suoi clienti ci sono Bmw e Tesla. Anche Uber vede il futuro nei veicoli senza pilota: l’anno scorso il gruppo di Travis Kalanick ha messo le mani su Otto, una società specializzata nei tir autonomi fondata da un ex Google, Antony Levandowski. La principale rivale americana di Uber, la Lyft sta invece lavorando assieme a General Motors, che ha da poco rilevato la Cruise Automation.

Ma attenti, ha avvertito il professore Derrick De Kerckhove, ex direttore del McLuhan Program all’Università di Toronto, ad affidarsi ciecamente alle intelligenze artificiali. “Lo spazio virtuale, quello che occupa Internet, rappresenta insieme allo spazio reale e allo spazio mentale, un terzo ambiente che va gestito. Altrimenti la rivoluzione digitale finirà per rovesciare lo status dell’individuo: da persona autonoma, indipendente e con libero arbitrio, l’uomo rischia di diventare totalmente prigioniero dei data, vittima del proprio inconscio digitale”. Tanto più che la gigantesca valanga di dati prodotti nella rete, con inevitabili impatti sia sul sociale che sulla stessa governance degli Stati, sono per l’80% non strutturati.

“Da qui la necessità – ha sottolineato Alessandro Curioni, vicepresidente europeo e direttore di Ibm Research di Zurigo, in presenza di questa esplosione di dati che sta superando la capacità umana, di farvi fronte e comprenderne il significato insito. Un lavoro colossale ma è una sfida da vincere perché sia l’intelligenza umana a guidare lo sviluppo delle intelligenze artificiali e non viceversa”. Ecco perché tutti partecipanti al meeting di “The future of Science”, chiuso dal rettore dell’ateneo, Cristina Messa – oltre ai sopracitati c’era anche Giuseppe Testa, professore di biologia molecolare dell’Univesità degli Studi di Milano, e Carlo Batini, professore del Dipartimento di informatica dell’Università Bicocca – hanno messo in guardia gli studenti ricordando che non c’è intelligenza artificiale che tenga se non si hanno basi più che solide in materie fondamentali come matematica, fisica, biologia.

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