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La ripresa non sarà una resurrezione

LE LANCETTE DELL’ECONOMIA – Ecco perché, dopo lo tsunami della recessione, non ci sarà un rapido ritorno ai livelli passati di Pil e occupazione. Cosa terrà bassa l’inflazione. Le ragioni dei cambi poco variati. Deficit e debiti pubblici esplodono, ma “calma e gesso”.

La ripresa non sarà una resurrezione

L’economia mondiale sta conoscendo la recessione, intesa nel suo significato letterale di crescita sotto zero. La Cina – prima economia mondiale (in parità di potere d’acquisto), e primum movens della crescita (come del virus) – si sta riprendendo, ma le famiglie hanno poca voglia di spendere e il resto del mondo, fino a ieri grande consumatore di prodotti cinesi, è prostrato.

Anche se si parla di allentamento delle restrizioni sanitarie in parecchi Paesi, di seguito a un tenue appiattimento delle curve dei contagi e dei decessi, bisogna ricordare che tale appiattimento è dovuto proprio alle restrizioni. Ogni minore severità nelle misure di contenimento delle attività sociali dovrà essere parziale, prudente, locale, e, soprattutto, reversibile.

Le propensioni al consumo e all’investimento rimarranno basse. Quando negli andamenti ciclici dell’economia internazionale c’è una ripresa, questa viene rafforzata se la risalita è corale. Ma oggi, anche se qualche Paese dovesse ripartire prima degli altri, nel resto del coro ci sarebbero molte voci stonate.

I dati della congiuntura confermano, pur nella pochezza delle rilevazioni e nelle difficoltà dell’interpretazione, che la variazione del Pil mondiale nell’intero 2020 sarà nettamente negativa, e in molti Paesi potrà cadere del 5, 10 o peggio per cento. Per l’Italia – come del resto per gli altri Paesi – le previsioni del calo del Pil 2020 sono scenari che dipendono dalla durata della pandemia. Lo scenario peggiore dà un calo del Pil italiano superiore al 10% nell’intero 2020.

Calcolare la dinamica dei prezzi nelle circostanze attuali è una sfida per gli statistici. Ma c’è ragione di pensare che, malgrado l’immane creazione di moneta resa necessaria dal contrasto alla crisi, l’inflazione rimarrà bassa, per le ragioni già esposte nelle «Lancette» del mese scorso (maxime, il calo della domanda; qui). Il prezzo del petrolio, che era risalito sulle voci di un calo della produzione, è ridisceso dopo la riunione dell’Opec+, che ha sancito i tagli: questi non possono far molto se i consumi dell’oro nero continuano a scendere. L’ondata di liquidità (un altro tsunami, che non fa danni ma si limita a lenirli) avviata da Banche centrali e governi non avrà effetti sull’inflazione (come dimostrano i massicci Qe messi in opera per la Grande recessione).

I tassi a lunga americani sono in netto calo rispetto a due mesi fa, al contrario di quel che si registra per Bund e BTp. Probabilmente è da mettere in relazione con la massiccia manovra di supporto della Fed e con la debolezza dell’economia. Una debolezza che, naturalmente esiste anche altrove (e magari in maggior misura), ma il mercato obbligazionario americano è più reattivo, e non sembra preoccuparsi di un deficit pubblico che già partiva, prima del bazooka, da un 7% del Pil.

I tassi reali, ancorché discendenti o negativi, dovrebbero in teoria essere ancora più bassi: sono ben al di sopra dei tassi di (de)crescita delle economie. Deficit e debiti pubblici salgono e saliranno, ma le Banche centrali si terranno i titoli: stanno cambiando i paradigmi delle politiche economiche.

I cambi sono poco variati: quando siamo tutti nella stessa barca, non c’è ragione di grandi strappi nei rapporti fra le valute. Il perseguimento di convenienze valutarie è l’ultimo dei problemi per Paesi preoccupati della competitività-prezzo. Lo yuan potrebbe apprezzarsi ancora, visto il graduale ritorno alla normalità in Cina. Sui mercati, il calo del differenziale dei tassi reali a lunga fra dollaro ed euro dovrebbe indebolire la moneta americana, ma nella direzione opposta opera il suo ruolo di bene-rifugio.

Il crollo delle Borse ha, parzialmente, ritracciato, ma è difficile pensare che la risalita continui o che abbia trovato un nuovo equilibrio; in presenza di un virus ancora non domato e di una economia prostrata il riprezzamento del valore delle azioni appare un’ardita scommessa: gli utili aziendali crolleranno per molti ordini di grandezza più dell’economia in questa crisi epocale.

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