Dopo due anni di difficoltà i Pir tornano a fare gola agli investitori. Lo rivelano i dati di Assogestioni sul secondo trimestre 2021 e lo confermano i numeri pubblicati da Plus24 sul mese di luglio. Complici la cavalcata di Piazza Affari e la sempre maggiore fiducia che si respira sul mercato italiano, i Piani Individuali di Risparmio sembrano risorti a nuova vita. Siamo ancora lontani dai fasti del 2017 – anno in cui furono introdotti dal Governo Renzi – e del 2018, ma la forte frenata registrata nei due anni successivi e in parte nel primo trimestre del 2021 pare essere ormai alle spalle. Grazie anche alla spinta dei Pir alternativi, le sottoscrizioni sono in ripresa e il “segno più” è tornato a fare capolino, dando nuova speranza al settore e all’intero comparto del risparmio gestito.
GLI ULTIMI DATI SUI PIR
Dopo il -316 milioni registrato nei primi tre mesi del 2021, nel secondo trimestre dell’anno in corso i gestori hanno ricominciato a sorridere. La raccolta netta è infatti risultata positiva per 106 milioni di euro, una cifra a cui occorre aggiungere i 349 milioni di flussi in entrata dei Pir alternativi introdotti nel maggio 2020 dal decreto Rilancio allo scopo di far affluire risorse alle piccole e medie imprese non quotate.
I risultati del secondo trimestre di Assogestioni sono stati confermati anche a luglio, quando la raccolta netta dei Pir, in base ai dati forniti da Plus 24, è stata positiva per 60 milioni di euro. Nonostante da inizio anno il bilancio resti negativo (-272 milioni), i segnali di una graduale ripresa dei Piani Individuali di Risparmio sembrano esserci tutti. Appare “evidente che qualcosa nel settore stia cambiando e dopo mesi e mesi trascorsi nella più totale disaffezione e indifferenza da parte degli investitori”, commenta Advisor Online.
Scendendo nei dettagli, alla fine del primo semestre, il sistema dei 68 fondi Pir tradizionali contava su masse pari a 19,67 miliardi di euro, un dato che testimonia un aumento trimestrale del 5,9% grazie alla spinta derivante dall’andamento andamento positivo dei mercati. Piazza Affari ha infatti fatto la sua parte, non solo con il +18% messo a segno dal Ftse Mib da inizio anno, ma soprattutto con il +33% registrato dal Ftse Italia Mid Cap e con il +54% del Ftse Aim.
Sempre in termini di masse, il leader del mercato dei Pir nei primi 6 mesi del 2021 era ancora Banca Mediolanum, con una quota di mercato del 21.3%, seguito da Intesa Sanpaolo (20.6%), Amundi (15%), Arca (12%) e Anima (10%). A luglio invece, le società che hanno incassato di più sono state Arca Sgr (12,8 milioni), Neam Am (12,1 milioni) e Banca Generali (11,8 milioni).
Parlando invece delle singole categorie, nel secondo trimestre, l’incidenza dei prodotti azionari è salita al 29% (+1%) rispetto al primo trimestre, mentre i fondi bilanciati sono scesi al 44% (-1%) e i fondi flessibili si sono attestati al 27% (dal 26%).
I PIR TRA PASSATO E FUTURO
Prima di parlare di prospettive future, sembra opportuno fare un breve riassunto delle puntate precedenti. Nel risparmio gestito, il 2017 è passato alla storia come “l’anno dei Pir”. Nei 12 mesi successivi alla loro introduzione i Piani Individuali di risparmio hanno registrato infatti una raccolta positiva per 11 miliardi di euro. Un risultato confermato anche nel 2018, quando i flussi in entrata arrivarono a quota 4 miliardi di euro. Da lì il baratro: con la legge di Bilancio 2019, il Governo Conte 1 decise di introdurre pesanti modifiche alla normativa sui Pir, stabilendo che un 3,5% del patrimonio dovesse essere investito in quote o azioni di fondi di venture capital e un ulteriore 3,5% in strumenti finanziari di piccole e medie imprese (PMI) ammesse alle negoziazioni su AIM Italia. Cambiamenti che hanno condotto il mercato verso una paralisi talmente profonda da spingere il Governo Conte 2 a varare un ritorno alle origini, cancellando i due vincoli del 3,5% sull’Aim e sul venture capital e stabilendo un unico obbligo: quello di riservare il 5% del valore complessivo dello strumento (sempre il 70%) in strumenti finanziari di imprese diverse da quelle inserite degli indici Ftse Mib e Ftse Mid di Borsa italiana o in indici equivalenti di altri mercati regolamentati. Nel giugno del 2020, infine, sono arrivati anche i Pir alternativi, simili ai “cugini tradizionali”, ma con differenze riguardanti le soglie di investimento, il target di investitori, i vincoli di concentrazione dei risparmi e la gamma di prodotti da poter inserire nel fondo.
Quali sono le prospettive per il futuro? Messosi alle spalle le continue rivoluzioni, il mercato dei Pir pare destinato a chiudere il 2021 in attivo. Le stime sulll’anno in corso di Equita Sim parlano infatti di una raccolta netta positiva per mezzo miliardo di euro per i Pir ordinari e addirittura di 2-3 miliardi l’anno per i Pir alternativi.
“I Pir restano strumenti attraenti e vanno nella direzione di canalizzare il risparmio in partecipazioni che creino valore sostenibile per le pmi e per gli investitori. Inoltre, grazie alla combinazione tra governo Draghi e Recovery Plan, riteniamo che l’Italia sia tra i Paesi più interessanti in cui investire al momento, anche alla luce di un profilo di rischio drasticamente migliorato, e ciò potrebbe portare un ritorno di capitali verso l’Italia”, sottolinea di Luigi de Bellis, co-responsabile ufficio studi di Equita.
In questo contesto c’è un ultimo aspetto da sottolineare. All’inizio del prossimo anno, coloro che hanno sottoscritto il proprio Pir nel 2017 vedranno scadere il vincolo quinquennale imposto sull’investimento e potranno beneficiare dell’esenzione fiscale dalle imposte sulle rendite finanziarie sulle imposte di successione. Considerando che 5 anni fa il Ftse Mib era a quota 19mila e che nelle ultime settimane siamo arrivati a 26mila, il rendimento potrebbe essere più che vantaggioso.