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La riforma delle Bcc e l’importanza della way out

Imagoeconomica Sara Minelli

In un articolone sul Fatto Quotidiano, Massimo Mucchetti si rivolge a Luca Lotti per “dimostrargli”, conti alla mano, che la way out prevista dalla riforma delle BCC non converrebbe neanche alla Banca di Cambiano, nella quale lavora uno stretto parente dello stesso Lotti.

Non entro nel merito dei conti “ad bancam” che fa Mucchetti, perché credo che non sia questo il compito di un parlamentare o di un qualunque rappresentante delle istituzioni. È ovvio che non si debbano adottare provvedimenti che favoriscano un singolo soggetto, ma non si devono nemmeno portare in Parlamento argomenti e proposte volti a danneggiarlo.

Faccio comunque notare che la proposta di way out, nella forma dello scorporo della Spa dalla Cooperativa, è stata avanzata da vari parlamentari, tra cui il sottoscritto e Davide Zoggia, un bersaniano veneto, che nulla c’entrano con le banche toscane, ed è stato approvato senza problemi in Commissione Finanze alla Camera. Il minimo che si può dire è che per “dimostare” – si fa per dire – che la way out non è una soluzione conveniente, Mucchetti dovrebbe guardare non alla sola Cambiano, ma a tutte le banche che sono potenzialmente interessate al provvedimento. Altrimenti l’argomento vale davvero poco.

Ma veniamo alle questioni di interesse generale. Sarebbe stato opportuno accogliere la proposta iniziale di Federcasse, che non prevedeva una via d’uscita e obbligava tutte le Bcc ad aggregarsi attorno ad un’unica Spa? Ovvio è che quell’ipotesi sarebbe stata una camicia di forza, un’eccessiva compressione delle autonomie delle singole banche e dei singoli territori. Ed è altrettanto ovvio che gli oppositori seriali del governo se la sarebbero presi con un presunto neocentralismo del governo, con un piano perverso volto a comprimere le ricchezze dei nostri territori, accumulati in più di un secolo di storia e di sacrifici. La cosa sarebbe apparsa tanto innaturale che qualcuno si sarebbe probabilmente inventato un interesse di un qualche membro del governo in una Bcc – o magari nella stessa Federcasse. Non bene, ma benissimo ha fatto dunque il governo a prevedere una via d’uscita rispetto ad un’ipotesi eccessivamente vincolistica.

Andando all’osso, e sempre prescindendo dallo specifico caso di una singola banca, gli svantaggi che Mucchetti vede nell’ipotesi di scorporo sono due. Il primo è che la banca Spa paga più tasse della banca cooperativa. La scoperta dell’acqua calda: le cooperative pagano meno tasse delle Spa. Com’è noto, tale vantaggio fiscale è accettato nel nostro ordinamento e anche in quello europeo, perché lo si ritiene compensato da alcuni vincoli che le cooperative si autoimpongono rispetto alla distribuzione degli utili e all’indivisibilità delle riserve. Per questo motivo, i pur severi censori europei della concorrenza ritengono che il vantaggio fiscale delle cooperative non sia da considerarsi aiuto di stato. Non è dunque affatto ovvio che l’organizzazione cooperativa rappresenti un punto di vantaggio. Dipende dalle circostanze ed è questo il motivo della “biodiversità” che caratterizza i mercati in molti settori. Nello specifico, il nucleo centrale del provvedimento sulla Bcc prevede la costituzione di una holding capogruppo che avrà la forma della Spa e dunque pagherà anch’essa più tasse, così come le Spa che si costituiranno a valle delle cooperative che opteranno per la way out. Insomma le maggiori tasse ci saranno sia nell’ipotesi base della holding capogruppo sia nella way out. Se non diciamo questo, diciamo le cose a metà e non diamo un’informazione corretta.

L’altro svantaggio individuato da Mucchetti consiste nel fatto che, all’atto dello scorporo, dovrà essere versata allo Stato una tassa, assai salata, pari al 20% del patrimonio. L’osservazione lascia sconcertati: la proposta iniziale del governo era quella di consentire la liberazione delle riserve senza alcuna tassazione. Si disse, in particolare da parte della minoranza del Partito Democratico e dello stesso Mucchetti, che questo era un ingiustificato regalo a queste banche e un danno per le future generazioni. Il tema fu sollevato anche dalle grandi centrali cooperative, con toni assai più urbani e convincenti, e indusse la Commissione Finanze della Camera a modificare la proposta del governo introducendo l’ipotesi della way out tramite lo scorporo dell’attività bancaria. Ad avviso di chi scrive, e di molti dei parlamentari che ragionarono su questo punto, non era affatto necessario prevedere una tassa. Passò tuttavia una linea diversa, ancora una volta sponsorizzata da una certa parte politica, in base alla quale in assenza della tassa – o con una tassa più bassa del 20% – si sarebbe verificato un indebito vantaggio alle cooperative che avrebbero scelto la way out. Dunque, la tassa del 20% è stata introdotta per andare incontro a chi la way out non la voleva, e comunque individuava nell’assenza di un’imposta un vantaggio per le Bcc che avrebbero fatto questa scelta. Ora Mucchetti fa i conti (e pensa di farli meglio degli addetti ai lavori), e argomenta che con questa tassa si crea addirittura uno svantaggio competitivo tale da far prevedere il fallimento delle banche che facessero la way out. Se questo argomento fosse stato sollevato prima, durante l’iter alla Camera, e lo si fosse ritenuto attendibile, avremmo potuto facilmente risolvere il problema: sarebbe bastato fissare la tassa ad un livello più basso, ad es. al 10%.

È comunque evidente che i casi sono due. O i conti di Mucchetti sono sbagliati e allora la faccenda finisce lì. Oppure i suoi conti sono giusti, e in questo caso il Parlamento – non certo Luca Lotti – avrebbe lavorato per creare uno svantaggio per le banche come quella di Cambiano, che non vogliono aggregarsi al pesante carro di Federcasse. In ogni caso non si capisce come si possa affermare che la Camera o il Governo abbiano lavorato per interessi diversi da quello dell’intera collettività.

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