Dici Pizza e dici Napoli, dici risotto e dici Milano, dici Arancini e dici Palermo, dici Tortellini e dici Emilia Romagna. L’Italia è una miniera di tradizioni gastronomiche di sapori territoriali. Ma alcuni piatti in particolare assumono una valenza più che territoriale, diventano una bandiera identitaria di una lunga storia che si dipana nel tempo legata alle radici culturali di un’area e soprattutto a una difesa a oltranza delle tradizioni dei suoi abitanti.
I pizzoccheri di grano saraceno sono forse la più eloquente testimonianza del radicamento di costumi degli abitanti della Valtellina e della loro strenua difesa. La loro prima testimonianza è legata a doppio filo alla coltivazione del grano saraceno, chiamato Formentone, nell’area geografica che si sviluppa per circa 150 chilometri parallela al crinale alpino lombardo che separa le Alpi Centro-orientali (Alpi Retiche occidentali) dalle Alpi Sud-orientali (Alpi e Prealpi Bergamasche e Alpi Orobie) nella provincia di Sondrio. In quest’area si trova traccia certa della coltivazione del grano saraceno in un testo del 1616, in cui il governatore della Valle dell’Adda (appartenente al cantone dei Grigioni in Svizzera) scriveva che «Il saraceno veniva coltivato soprattutto sul versante retico delle Alpi, in particolare nel comprensorio di Teglio, in quanto caratterizzato da un clima più mite grazie ad una maggiore esposizione al sole».
La coltivazione del grano saraceno mantenuta in vita per salvaguardare la memoria dei Pizzoccheri
E tale coltivazione proseguì fino al XIX secolo, diffondendosi anche in aree disagiate e improduttive della regione, poiché la specie matura in breve tempo e si adatta bene sui terreni alpini. In seguito all’annessione della Valtellina al Regno Lombardo-Veneto, e con l’aprirsi della regione agli scambi commerciali, la produzione di farina di grano saraceno però entrò in declino, a favore di altri sfarinati più richiesti dal mercato e ben più produttivi. Fino a scomparire quasi del tutto. Non, tuttavia, nella provincia di Sondrio, dove la coltura del grano saraceno è continuata da allora fino ai tempi nostri in aree circoscritte per un ristretto nostalgico uso famigliare o per la vendita diretta ai consumatori locali. Il motivo era, ed è, quello di mantenere in vita una tradizione gastronomica degli antichi padri, la produzione dei pizzoccheri.
L’usanza di preparare i pizzoccheri è certamente contemporanea all’introduzione del grano saraceno in Valtellina e in provincia di Sondrio. Le citazioni si trovano in alcuni antichi testamenti del XVIII secolo, in cui venivano lasciati agli eredi gli attrezzi da cucina, fra cui «una scarella per li Pizzoccheri e il rodelino per li ravioli» (1750) oppure «le resene per li Pizzoccheri» (1775).
Nel 2016 arriva il riconoscimento dell’Unione Europea di Indicazione Geografica Protetta (IGP)
Ma a questo punto bisogna fare un distinguo. I pizzòccheri della Valtellina preparati con farina di grano saraceno miscelata con altri sfarinati. simili alle tagliatelle, ma di colore grigiastro, che nel 2016 hanno ottenuto dall’Unione europea il riconoscimento di indicazione geografica protetta (IGP), non vanno confusi con i pizzoccheri di Chiavenna, che sono invece una particolare varietà di gnocchi, preparati con farina di frumento e pane secco ammollato nel latte.
Dai documenti si ricava e che i pizzoccheri della Valtellina erano legati ad eventi, tradizioni ed enogastronomia del luogo d’origine, tanto che il loro condimento tradizionale è preparato con ingredienti locali e tipici (burro, formaggio, verdure quali verze e patate. Nel corso degli anni sono diventati poi protagonisti di eventi e sagre popolari. La più celebre è quella de il “Pizzocchero d’oro” che si festeggia a Teglio, il paese che ha dato loro i natali.
L’etimologia della parola è per il momento dubbia. Il nome “pizzoccheri” sembra derivare dalla radice “pit” o “piz” col significato di pezzetto o ancora dalla parola pinzare col significato di schiacciare, in riferimento alla forma schiacciata della pasta. Altre ipotesi farebbero risalire il termine alla parola “pinzochera” usata già nel ‘300 da Dante Alighieri e Giovanni Boccaccio, per indicare la povertà e la semplicità, che sono le caratteristiche di questo tipico piatto valtellinese.
L’Accademia del Pizzocchero di Teglio, la difesa di una tradizione originale e identitaria
Per custodire e tutelare la ricetta dei pizzoccheri, e la loro importanza nella storia e nella cultura valtellinese a Teglio è nata l’Accademia del Pizzocchero che tiene in vita il ricordo ma anche il presente e il futuro di questo piatto fortemente identitario della cultura contadina del luogo. Dal sito dell’Accademia apprendiamo che l’origine del piatto dei pizzoccheri non è testimoniata da una data o un evento precisi, ma da una serie di riferimenti culinari riportati da H.L. Lehmann, nella seconda parte della sua opera Die Republik Graubündeni, riguardante l’area dei Grigioni di cui la Valtellina in quell’epoca era parte.
L’autore cita i “Perzockel” come una sorta di tagliatelle fatte di saraceno e di due uova. La pasta veniva cotta nell’acqua, poi si aggiungeva il burro e si spargeva subito il formaggio grattato. Nelle case contadine e nei maggenghi, – si legge in una nota storica dell’Accademia – era più usuale produrre gnocchi con gli stessi ingredienti invece delle tagliatelle, poiché spesso non si disponeva di un tavolo dove fare la sfoglia. Per questo, l’impasto degli gnocchi rappresentava un modo per superare tale difficoltà.
È però dai primi dell’Ottocento che sulle tavole della popolazione più benestante appare il piatto più simile a quello attualmente conosciuto. L’impasto viene steso e poi si ricavano delle tagliatelle grossolane di grano saraceno con parti variabili di farina bianca secondo le usanze dei vari paesi, cotte in abbondante acqua salata, in cui vengono poste patate, verze o coste o fagiolini a pezzi. I pizzoccheri venivano poi scolati con il mestolo bucato (cazafuràda) e posti in una biella con strati di due tipi di formaggio a scaglie: uno più magro chiamato “féta” ed un semigrasso più stagionato. Il tutto veniva condito con una sferzata di strutto ben scuro accompagnato da aglio. In alcune zone anziché l’aglio si usava e si usa tuttora cipolla e salvia.
In Valtellina, è usanza cospargere i pizzoccheri caldi e fumanti con un’abbondante dose di Pesteda condimento aromatico tipico della tradizione gastronomica valtellinese a base di aglio, sale, pepe, foglie di achillea nana (girupina o gerupìna) e timo serpillo (peverel) preparato secondo l’antica tradizione che viene tramandata, e segretamente custodita, di generazione in generazione. Un piatto impegnativo indubbiamente per il rapporto burro-pasta che è di uno a due, burro che poi viene fritto con l’aglio, e per l’importante apporto grasso degli altri formaggi, ma un piatto che nella sua rusticità è testimonianza autentica e non artificiale dell’alimentazione di un mondo povero che aveva bisogno di sostanza.
Come sempre accade quando un piatto originale assurge a notorietà nazionale ben oltre i suoi confini di origine ed è apprezzato per il suo sapore e la sua bontà, si assiste anche a un fiorire delle più dispartiate ricette. C’è la versione con i funghi (porcini, champignon, finferli, pioppini), con i funghi e la panna, con le zucchine e lo speck, con i fagiolini e la salvia, con le patate e formaggio, col sugo di pomodoro e ricotta, con i carciofi e il guanciale croccante, perfino, in una versione che unifica lo stivale, con il condimento alla siciliana a base di mandorle e aglio. Che dire, gioie e dolori della notorietà.
Ma poiché con la storia e la cultura non si scherza noi proponiamo ai lettori di mondo food l’unica ricetta che rispetta il significato della loro identità gastronomia, ed è quella ufficiale dell’Accademia dei pizzoccheri di Teglio. Nel paese un gruppo di ristoranti associati all’Accademia del Pizzocchero garantiscono pizzoccheri preparati e cucinati nel pieno rispetto della ricetta originale certificata, con prodotti valtellinesi di prima qualità: dalla farina, al burro, ai formaggi. Nella foto il piatto di Pizzoccheri del ristorante Galeda di Teglio associato all’Accademia.
La ricetta originale dei Pizzoccheri dell’Accademia di Teglio
Ingredienti per 4 persone
400 g di farina di grano saraceno
100 g di farina bianca
200 g di burro
250 g di formaggio Valtellina Casera DOP
150 g di formaggio da grattugiare, come il Grana o il Parmigiano
200 g di verze
250 g di patate
1 spicchio di aglio
pepe
Procedimento
Mescolare le due farine, impastarle con acqua e lavorare per circa 5 minuti. Con il matterello tirare la sfoglia fino a uno spessore di 2-3 millimetri dalla quale si ricavano delle fasce di 7-8 centimetri. Sovrapporre le fasce e tagliarle nel senso della larghezza, ottenendo delle tagliatelle larghe circa 5 millimetri.
Preparazione del piatto
Cuocere le verdure in acqua salata, le verze a piccoli pezzi e le patate a tocchetti, unire i pizzoccheri dopo 5 minuti (le patate sono sempre presenti, mentre le verze possono essere sostituite, a seconda delle stagioni, con coste o fagiolini).
Mentre la pasta cuoce, friggere il burro con l’aglio lasciandolo colorire per bene.
Dopo una decina di minuti raccogliere i pizzoccheri con la schiumarola e versarne una parte in una teglia ben calda, cospargere con formaggio di grana grattugiato e Valtellina Casera DOP a scaglie, proseguire alternando pizzoccheri e formaggio. Irrorare di burro e, senza mescolare, servire i pizzoccheri bollenti con una spruzzata di pepe.
N.B. Sostituendo la quota di farina bianca con farina senza glutine, oppure utilizzando unicamente farina di grano saraceno, si può ottenere una ricetta idonea anche per i celiaci. L’assenza di glutine richiede una lavorazione un poco più energica per poter ottenere un impasto dalla consistenza omogenea.