Era la notte del 1499, l’ultimo giorno di Carnevale che precedeva la quaresima. Gli abitanti di Motta di Livenza, piccolo centro in provincia di Treviso, cittadina “Figlia primogenita della Serenissima Repubblica” collocata sulla Postumia, l’antica arteria dell’Impero Romano, erano usi abbandonarsi così come d’abitudine in altre parti d’Italia a grandi scorpacciate di cibo prima di entrare nel periodo di astinenza che precedeva Pasqua.
Del fatto pensò di approfittare l’esercito turco che sicuro di cogliere di sorpresa la popolazione intenta a ricche libagioni aveva studiato di assaltare la cittadina aprendosi così un varco strategico che lo avrebbe portato poi facilmente alla conquista degli altri borghi del veneto orientale e finalmente dell’odiata Venezia.
Ma gli abitanti di Motta Livenza opposero una resistenza eroica, combatterono per tutta la notte e tutto il giorno successivo e respinsero gli invasori. Venezia era salva!
Da allora il mercoledì delle ceneri a Motta Livenza è diventato il “mercore grot” (che in dialetto significa mercoledì triste, nel ricordo dei morti della battaglia) e viene celebrato da tutte le famiglie e nei ristornanti con un piatto a base di aringhe e polenta la “Renga”. L’usanza del piatto si è poi estesa un pò a tutta l’area veneta.
Perché l’Aringa che non appartiene certo alla cultura gastronomica veneta? E qui si apre un altro capitolo di storia. Stabilito che l‘aringa sotto sale era un pasto nutriente, economico e duraturo per i marinai ma soprattutto perle popolazioni meno abbienti si stabilì una confluenza di interesse fra i pescatori del Nord Europa che le aringhe le pescavano e che dovevano immediatamente lavorare il pesce e conservarlo e le popolazioni del sud che disponevano di saline.
Per cui da Venezia che era il principale sbocco mediterraneo di questo mercato di scambio partivano barili di sale per il Nord e in cambio arrivavano barili di aringhe salate. Nelle osterie di Parona, in provincia di Verona, gli osti si specializzarono nel cucinare le aringhe perché i burchieri (i conduttori delle burche, imbarcazioni fluviali che navigavano per il trasporto persone lungo il Brenta fra Padova e Venezia e si spingevano per il trasposto merci sull’Adige fino a Verona, erano costretti a sostare più volte per l’espletamento delle operazioni doganali. Era uso ottenere vitto e alloggio in cambio di qualche cassa di aringhe sotto sale.
Ma non era tutto rose e fiori. Nelle campagne più povere anche l’aringa era un miraggio per quei disgraziati contadini, il cui pasto era a base solitamente di fagioli e polenta come dice un detto popolare: “I fasioi e la polenta xè la carne de la gente poareta” (i fagioli e la polenta sono la carne della gente povera). Ma pur nella povertà i contadini si arrangiarono per avere l’illusione di un pasto più saporito: l’usanza era di appendere un’aringa a uno spago attaccato a una trave del soffitto che finiva sul centro della tavola e con questa strusciare a turno i piatti di polenta per dare loro sapore.
Fortunatamente oggi le cose sono cambiate e Motta Livenza dedica alla Renga addirittura una Sagra durante la quaresima.
Salvatore Catrini chef e patron del Bistrot Altamarea a Concordia Sagittaria (VE), centro ricco di storia alla congiunzione tra le antiche Vie Annia e Postumia, a 20 minuti da Motta Livenza, è nato in Sicilia ma la sua patria d’azione è il Veneto dove i suoi genitori si trasferirono quando era ancora piccolissimo. E si è ambientato così bene che da chef ha costruito una filosofia del cucinare per la quale i sapori sono in grado di raccontare un territorio meglio di tante guide e di tante parole. Il suo invito è a entrare nel cuore pulsante del Veneto Orientale e lasciarsi sedurre dalla sua tradizione culinaria imperniata sui doni dell’Adriatico. Tutto questo si traduce in una cucina innovativa che esalta i sapori tradizionali, nell’attenzione all’estetica e alla composizione del piatto per nutrire anche la mente e i n vini selezionati per completare e arricchire i gusti. Nel suo Bistrot Altamarea “il rispetto delle materie prime – dice – è il fondamento essenziale per realizzare la cucina italiana più vera: “odori e sapori autentici sapientemente assemblati, con la creazione di equilibri inaspettati con l’obiettivo di servire una cucina sana e buona, il più possibile “naturale”.
E si è così immedesimato nella filosofia della cucina locale che da siculo, l’anno scorso, è riuscito a vincere il primo premio della sagra della Renga con una rivisitazione della Renga in chiave mediterranea con il piatto che oggi propone ai lettori di Foodfirstonline.
La RICETTA DELLA RENGA
Ingredienti per 4 pax
2 Aringhe argentate
500gr di patate
1 scalogno
1 mazzo di puntarelle
1 sacchettino di nero di seppia
50gr di burro
Olio sale e pepe q.b.
Preparazione:
Pelare le patate, tagliarle a tocchi; farle rosolare con burro e scalogno aggiungendo acqua e portando a bollore.
Una volta cotte, frullare con minipimer aggiungendo un filo di olio extravergine d’oliva e aggiustando il gusto con sale e pepe
Cuocere la Renga per tre minuti in acqua bollente e ricavarne i filetti.
Pulire la cicoria, tenere qualche foglia cruda per decorazione e ricavare le puntarelle dal cuore.
Scottare le puntarelle tagliate a metà per lungo su una padella antiaderente, aggiungendo un pizzico di sale e pepe.
Ridurre il nero di seppia con un mestolino di fumetto in un pentolino.
Presentazione
Comporre il piatto adagiando sul fondo un mestolo di crema di patate sul quale adagiare il filetto di Renga tagliato in tre e le puntarelle, sporcare con tre gocce di nero di seppia e le foglioline di cicoria
BISTROT ALTAMAREA
VIA ROMA 43,
CONCORDIA SAGITTARIA
0421 273820