Ci sono almeno quattro tavoli aperti – per quest’anno – tra la Rai e il Governo (attraverso il MISE) che, una volta conclusi, segneranno radicalmente il futuro del Servizio Pubblico. Il primo, che ha avuto inizio lo scorso novembre, si riferisce alla stesura del nuovo Contratto di Servizio che dovrà entrare in vigore il prossimo anno; il secondo riguarda il nuovo Piano industriale (previsto dallo stesso Contratto all’art.25) che, come ha dichiarato nei giorni scorsi l’AD Carlo Fuortes in Vigilanza Rai, si dovrebbe concludere entro il prossimo giugno; il terzo si dovrebbe occupare della “messa a terra” di quella parte del vecchio Piano industriale già approvato nel precedente Cda targato Foa /Salini sulla ristrutturazione per generi e, infine, il quarto tavolo dovrebbe investire la riforma della governance di Viale Mazzini, attualmente in discussione presso la Commissione trasporti del Senato dove si vorrebbero riunificare le attuali 7 proposte avanzate da quasi tutti i partiti.
La nuova missione della Rai
Su tutti questi poi grava una incognita trasversale che si riferisce alle risorse sulle quali la Rai potrà contare per tracciare un possibile percorso di investimenti e sviluppo. Vediamo in ordine e sintesi come si stanno prefigurando i diversi temi sul tappeto a partire dai documenti originali di cui siamo in possesso e come poi si accordano nel loro crono programma di attuazione. Il Contratto di Servizio, derivato a sua volta dalla Convenzione tra il Ministero e la Rai del 2017, è il testo fondamentale sul quale si reggono tutti gli obblighi che la Concessionaria Rai è tenuta a seguire (in cambio dei quali riceve il canone) per i prossimi 5 anni a partire dalla definizione puntale della sua “missione”. Già su questo primo quanto fondamentale punto emergono le criticità che sarà necessario affrontare. In premessa al documento Bozza Linee Guida CdS 2023-27 dell’11 novembre scorso, si legge che “Il nuovo Contratto di Servizio nasce in un contesto molto diverso da quello del 2017.
La differenza sta tutta in pochi numeri che racchiudono la nuova vita digitale degli Italiani: il traffico dati unitario per SIM passa da 2.23 GB/mese di marzo 2017 a 11.62GB/mese di marzo 2021, con un aumento del 50% circa di anno in anno e del 200% in 4 anni (dato mobile)”. La nuova “missione” della Rai dunque si dovrà calibrare in un contesto di profondi mutamenti di mercato, di tecnologie e di telespettatori/consumatori in rapida evoluzione nelle modalità di fruizione dei nuovi prodotti audiovisivi.
Il dibattito è tutto incentrato sul dimensionamento puntuale di questa “nuova era” del Servizio Pubblico che certamente dovrà trovare una nuova e più efficiente legittimazione della sua presenza sul mercato dove l’avanzata dello streaming prosegue impetuosa. Si tratta di definire “cosa e come” potrà/dovrà fare la Rai in cambio di quanto riceve (canone) e di quanto “guadagna” (pubblicità). Il tema della “missione” sarà dunque il perno intorno al quale necessariamente dovrà ruotare tutto il resto, a partire dalle risorse che alla Rai sono assegnate per lo svolgimento dei compiti indicati dal Contratto. Il documento citato traccia poi il “percorso” del nuovo Contratto dove “In questo nuovo contesto, il ruolo del Servizio Pubblico Multimediale riparte da 4 aggettivi ambiziosi: rilevante, inclusivo, sostenibile, credibile”. È una scommessa molto importante e non sarà affatto semplice vincerla e gli ostacoli sono già dietro l’angolo. Il primo si riferisce proprio al canone e alla ventilata e plausibile minaccia di tornare alla riscossione tramite bollettino all’Ufficio Postale. Qualora questa ipotesi fosse verificata si prevede un massiccio ritorno all’evasione della cosiddetta “tassa più odiata dagli italiani” con danni stimati in decine di milioni di euro.
Il Piano Industriale della Rai
È importante tenere bene distinti il Contratto Servizio dal Piano Industriale e la loro rispettiva cadenza temporale. Quest’ultimo rientra appieno nel dettagliato elenco dei doveri e impegni richiesti alla Rai, tant’è che è previsto da un apposito comma del citato art.25, let.u, laddove si legge che “La Rai è tenuta a presentare al Ministero, per le determinazioni di competenza, entro sei mesi dalla data di pubblicazione del presente Contratto nella Gazzetta Ufficiale, un piano industriale di durata triennale che, sulla base della definizione di adeguate risorse, rese disponibili dalle quote di canone destinate al servizio pubblico, per lo svolgimento delle attività di cui al presente Contratto, preveda – in coerenza con le previsioni della Convenzione – interventi finalizzati a conseguire … etc. etc “. In questo punto specifico si pone una legittima obiezione: si dovrebbe procedere prima alla condivisione/approvazione di un nuovo Contratto di Servizio e, successivamente, alla stesura di un Piano Industriale conseguente e non viceversa come invece pare stia avvenendo.
Infatti, per quanto noto a seguito delle audizioni dell’AD in Vigilanza delle scorse settimane, sembrerebbe che si stia invece procedendo in direzione inversa. Nei giorni scorsi, a Viale Mazzini, si sono svolti due incontri importanti: il primo con l’ADRAI (Associazione dirigenti RAI) e il secondo con l’USIGRAI (sindacato dei giornalisti RAI) dove sono state presentate le linee guida del nuovo Piano Industriale 2022-24. Se non che, il Piano industriale di cui ora si dibatte è quello che emerge come vincolo dal Contratto precedente tutt’ora in vigore (2018-2022).
La domanda è quindi come accordare un nuovo Piano industriale con un Contratto che ancora si deve impostare? Il rischio di uno sfasamento è forte: ci potrebbe essere un Piano che non tiene conto di un nuovo Contratto che, bene che possa andare, si dovrà firmare il prossimo anno. Infatti, per quanto siamo in grado di riferire, le linee guida del nuovo Piano sono prevalentemente orientate a limitare il suo raggio di azione entro i limiti delle risorse disponibili che saranno, come leggiamo nella documentazione esclusiva in nostro possesso: “ … un elemento dirimente nella definizione del futuro per industriale 2020-2024” e il Piano “… sarà condizionato in modo determinante dalla possibilità di accedere a risorse finanziarie coerenti, risorse umane con competenze aggiornate e strumenti normativi adeguati”.
Con questo approccio si torna al punto di partenza: con quale “mission” e con quali risorse economiche (e forse anche normative, di cui vedremo avanti) potrà essere sostenuto un nuovo Piano industriale che ancora non è noto a quali obblighi (gravosi) dovrà rispondere con il nuovo Contratto?
La riorganizzazione per generi
Veniamo ora al terzo “tavolo”: la messa a terra di quella parte del precedente Piano elaborato e approvato dal Cda Foa/Salini. Di tutto quel progetto, articolato e complesso oltre che notevolmente impegnativo, è stata estrapolata una parte: la cosiddetta “riorganizzazione per generi” con la quale si prevedeva di aggiornare e superare il modello strutturato per reti e testate. Con l’arrivo di Carlo Fuortes questa traccia è stata ripresa ed ora si trova nella fase di attuazione: sono state approvate 10 nuove direzioni suddivise per genere e nominati i relativi direttori:
- Intrattenimento prime-time, Stefano Coletta
- Intrattenimento day-time Antonio Di Bella
- Cultura ed educational Silvia Calandrelli
- Fiction Maria Pia Ammirati
- Sport Alessandra De Stefano
- Cinema Francesco Di Pace
- Approfondimento Mario Orfeo
- Kids Luca Milano
- Contenuti RaiPlay. Elena Capparelli
- Documentari Fabrizio Zappi
Il caso Report e la nuova NewsRoom
Su questo nuovo assetto organizzativo, per quanto abbiamo potuto verificare, i problemi sono appena all’inizio e, non a caso, stanno ad impattare proprio su uno dei fronti più delicati del ruolo della Rai: l’informazione.
Nei giorni scorsi è esploso il caso Report nel momento in cui è stata resa nota l’intenzione di Mario Orfeo, direttore del genere approfondimento news oltre i Tg e Gr, di rivedere gli spazi informativi di Rai Tre con tutte le polemiche annesse. Da tenere in considerazione che, sempre parlando di Piani, il precedente conteneva il “Piano per l’informazione Rai 2019-21, allegato 4” rimasto poi lettera morta nonostante contenesse importanti riflessioni sulla quantità/qualità di notizie diffuse dal Servizio Pubblico e prevedesse la sua più significativa innovazione: la creazione di una NewsRoom unica in grado di gestire in modo organico e coordinato tutti gli oltre 1.700 giornalisti Rai suddivisi in 8 testate tra televisione, radio e Web con un costo (2018) di oltre 320 mln di euro escluse Rai Sport e Gr (fonte P.I. Rai, marzo 2019). Ora, le nuove direzioni dovranno competere tra loro ad accaparrarsi spazi, competenze e responsabilità nonché i relativi budget di assegnazione e, per quanto possibile immaginare, potrebbe non essere una transizione indolore e veloce.
La riforma della Rai
Infine, il quarto tavolo si dispone in modo assai più complesso e con tempi difficili da prevedere, si riferisce alla riforma della Rai a partire dal suo sistema di governance. Attualmente, sono in discussione al Senato ben otto proposte tutte orientate a superare la tanto discussa Legge 220 del 2015 con la quale si ratificava la pressoché totale dipendenza del meccanismo di nomina dei vertici dell’Azienda sotto il controllo del Governo. Le diverse iniziative parlamentari puntano sul superamento di questo vulnus normativo per andare verso la definizione di un organo terzo (una Fondazione) in grado di garantire indipendenza e autonomia dalla “politica”. Lo stato dei lavori attuale è incardinato sulla ricerca di un possibile convergenza tra i diversi testi depositati con l’obiettivo di giungere ad una proposta in grado di raccogliere il più vasto consenso possibile. Ma, come noto, il retroscena di questo dibattito è tutto collocato in questa complicata finale di stagione politica dove già si vedono all’orizzonte le prossime consultazioni elettorali di inizio 2023. Forse, come ci riferiscono nostre fonti, è rimasto poco tempo per sperare di giungere ad un risultato apprezzabile ed è molto verosimile che ad occuparsi di questo “tavolo” sarà il nuovo Parlamento.
La conclusione di questa panoramica dei quattro tavoli di lavoro non può esaurirsi senza tenere in debito conto quanto potrà accadere se dovesse procedere l’adozione della direttiva UE sulla concorrenza laddove si prevede che le Aziende incaricate di fornire energia elettrica non debbano più riscuotere oneri o canoni non derivanti dalla loro specifica attività. La data è fissata: entro il quarto trimestre 2022, come ha dichiarato recentemente un portavoce della Commissione. Questo significa il ritorno al pagamento del canone in forma diretta, tramite il classico bollettino postale. Si intravvede un massiccio ritorno all’evasione del canone, stimato in decine di milioni di Euro. I quattro tavoli hanno tutti in elemento in comune: la “zampa risorsa canone” e se traballa questa anche le altre ne possono risentire. Se poi a tutto questo aggiungiamo quanto è in corso di attuazione a seguito dell’adozione del DDl 208 dello scorso novembre che ha recepito le nuove indicazioni sul TUSMAR (Testo Unico della RadioTelevisione) laddove sono stati previsti nuovi limiti di affollamento pubblicitario, non certo a favore della Rai, il quadro sembra completo per rendere il 2022 un anno di particolare interesse per il futuro del Servizio Pubblico.