Giovani “senza futuro” ma anche “senza pensione”. A lanciare l’allarme è il Consiglio nazionale giovani che ha presentato una ricerca realizzata assieme ad Eures sulla “Situazione contributiva e futuro pensionistico dei giovani”.
Il messaggio è chiaro: i giovani saranno costretti a lavorare fino a età avanzata, ben oltre i 70 anni, senza possibilità di uscite anticipate, a differenza delle generazioni precedenti. Questa situazione deriva dal passaggio al sistema pensionistico totalmente contributivo, unito a stipendi sempre più bassi (nel 2021 i giovani sotto i 25 anni hanno guadagnato solo il 40% della retribuzione media complessiva) e a carriere precarie e discontinue, con i contratti a termine e atipici che ormai raggiungono quasi il 40% del totale.
In Italia, rispetto all’età pensionabile attuale, sarà necessario lavorare 9 anni in più, mentre in Danimarca saranno 8,5 anni, in Grecia 4 anni. La media dell’Unione Europea è di 1,7 anni, con Francia e Germania appena al di sotto (rispettivamente 1,5 e 1,3 anni), mentre in paesi come Spagna, Austria e Svezia non ci sarà alcuna differenza tra coloro nati nel 2000 e chi è nato 50 anni prima.
In pensione oltre i 70 anni
La ricerca condotta rivela che un giovane che è entrato nel mondo del lavoro nel 2020 a 22 anni raggiungerà l’età pensionabile a 71 anni, un dato non solo il più alto tra i principali Paesi europei ma che comporterà comunque assegni pensionistici modesti. Questo scenario è il risultato dell’effetto combinato delle carriere discontinue e dei bassi salari, in un contesto in cui gli assegni pensionistici saranno calcolati in modo esclusivamente contributivo.
Nel dettaglio, nel 2021 i giovani sotto i 25 anni hanno guadagnato in media solo 8.824 euro, corrispondenti al 40% della retribuzione media, mentre quelli tra i 25 e i 34 anni hanno guadagnato in media il 78% della retribuzione media. Parallelamente, la percentuale di contratti a tempo determinato e atipici è aumentata nell’arco di dieci anni, arrivando a sfiorare il 40% del totale.
Under 35: in pensione a 74 anni con assegno di 1500 euro
Le proiezioni per i lavoratori dipendenti sotto i 35 anni indicano che, se continueranno a lavorare fino al 2057, il ritiro avverrà a quasi 74 anni (73,6), con un assegno pensionistico di 1.577 euro lordi al mese (1.099 al netto dell’IRPEF). Questo importo è 3,1 volte superiore all’assegno sociale.
Per i lavoratori in partita IVA, proiettando fino al 2057 e un ritiro a 73,6 anni, l’assegno pensionistico sarebbe di 1.650 euro lordi al mese (1.128 al netto dell’IRPEF), pari a 3,3 volte l’importo dell’assegno sociale.
“Una stima – spiega Alessandro Fortuna, Consigliere di Presidenza con delega alle politiche occupazionali e previdenziali – che evidenzia la grave distorsione del sistema pensionistico, così come attualmente definito, che non soltanto proietta nel tempo le diseguaglianze reddituali, rinunciando a qualsivoglia dimensione redistributiva, ma addirittura risulta punitivo verso i lavoratori con redditi più bassi, costretti a permanere nel mercato del lavoro (al di là dell’anzianità contributiva) per tre o addirittura sei anni più a lungo dei loro coetanei con redditi più alti e ad una maggiore stabilità lavorativa”.
Gli effetti della precarizzazione
“La crescente precarizzazione e discontinuità lavorativa, associata a retribuzioni basse e mancanza di garanzie sociali, colpisce in particolare i giovani e le donne, rendendo più difficile il loro percorso di ingresso nel mercato del lavoro, la stabilità contrattuale e i livelli retributivi” ha affermato la presidente del Cng, Maria Cristina Pisani.
“La questione demografica e il passaggio al sistema ‘contributivo puro’ mettono ulteriormente a rischio la sostenibilità del nostro sistema pensionistico. Questa tendenza impone ai cittadini di lavorare più a lungo per ricevere pensioni meno generose rispetto alle generazioni precedenti” ha sottolineato Pisani.
Secondo l’analisi di Eures, prosegue la presidente del Consiglio Nazionale dei Giovani “la combinazione di discontinuità lavorativa e retribuzioni basse per i lavoratori under 35 determinerà un ritiro dal lavoro solo per vecchiaia, con importi pensionistici prossimi a quello di un assegno sociale. Una situazione che sarà socialmente insostenibile”.
La spesa pensionistica in Italia raggiunge il 17,6% del Pil, seconda in Europa
Secondo l’ultimo rapporto Eurostat, la spesa pensionistica in Italia nel 2020 ha rappresentato il 17,6% del PIL, posizionandosi come la seconda più alta nell’UE27 dopo la Grecia. Questo valore è significativamente superiore alla media dell’UE27, che è del 13,6%.
“Anche le stime OCSE confermano la tendenza di aumento dell’età pensionabile che allungherà sempre di più la vita lavorativa dei giovani “, aggiunge Pisani. “Per i giovani entrati nel mondo del lavoro nel 2020 all’età di 22 anni in Italia si prevede raggiungeranno l’età pensionabile solo a 71 anni, il dato più alto tra i principali Paesi europei”.
Il modello puramente contributivo si rivela sostenibile solo all’interno di un mercato del lavoro caratterizzato da stabilità e crescita retributiva.
“Alla luce di questi dati, come Consiglio nazionale dei giovani, – prosegue Fortuna – continuiamo ancora una volta a rivendicare l’introduzione di una pensione di garanzia per i giovani che preveda strumenti di sostegno e copertura al monte contributivo per i periodi di formazione, discontinuità e fragilità salariale dei giovani.
Per evitare il rischio di povertà che minaccia intere generazioni, è necessario accompagnare interventi con modifiche strutturali che assicurino un accesso stabile e di alta qualità al mercato del lavoro. Queste azioni permetteranno anche di restituire sostenibilità a un modello previdenziale basato sullo scambio generazionale.
Necessità di un dibattito aperto
La situazione attuale sta avendo un impatto significativo sul futuro previdenziale dei giovani, e la transizione verso un sistema pensionistico “contributivo puro” rischia di mettere ulteriormente in pericolo la sostenibilità del sistema pensionistico italiano. La Presidente Pisani ha così esortato ad avere un dibattito più approfondito sulla questione che tenga conto delle esigenze delle giovani generazioni.
“Abbiamo bisogno di un dibattito nazionale più aperto e inclusivo sulle pensioni. È una questione di giustizia intergenerazionale e di sostenibilità del nostro sistema sociale.”