Diventa sempre più evidente il legame tra la questione europea e quella nazionale, ovvero di come le fratture politiche ed economiche tra l’Italia e gli altri paesi dell’Unione si ripercuotano inevitabilmente in spaccature all’interno del nostro stesso Paese.
Marco Piantini, nel saggio La parabola d’Europa. I trent’anni dopo la caduta del Muro tra conquiste e difficoltà edito da Donzelli nel 2019 con prefazione di Giorgio Napolitano e postfazione di Giuliano Amato, racconta per esteso la storia politica economica finanziaria e sociale dell’Unione europea degli ultimi trent’anni. Dalla caduta del Muro di Berlino, con tutto il carico di sogni e speranze generatosi come contraltare a quello fisico e materiale dei cumuli di macerie, all’evoluzione e, per certi versi, involuzione delle democrazie occidentali. Dal progresso tecnologico e digitale, vero trampolino di lancio della globalizzazione, alle incertezze della società attuale, italiana ed europea.
Un libro che raccoglie e sviluppa riflessioni e interventi dell’autore maturati o esternati in anni e sedi differenti, voluto dallo stesso Piantini per due motivazioni principali:
- Offrire elementi di riflessione e analisi su quella che viene solitamente indicata come la “vecchia” politica e sulla sua alternativa, ossia la “nuova” politica post-novecentesca.
- Esternare la preoccupazione sulle sorti dell’Unione europea e dell’Italia in Europa.
Un legame oramai inscindibile, quello che unisce il nostro paese all’Unione e agli altri paesi membri, che potrebbe essere riconsolidato solo dopo aver sciolto i nodi del rapporto difficile, ma anch’esso indispensabile per il rilancio dell’UE, tra Germania e Italia.
Piantini ritiene che entrambi i paesi soffrano, al pari dell’intera Unione, di una “crisi di senso” dello sviluppo capitalistico. Al di là delle idee, delle ideologie, dei sogni e delle speranze, il confronto con la realtà impone di affrontare la questione europea come questione politica del nostro tempo, collegata alla crisi delle democrazie liberali. E Piantini fa bene a ricordarlo.
Le divisioni e i pregiudizi affiorati nel dibattito politico di entrambi i paesi (Italia e Germania) sono stati paradigmatici di ancor più grandi divisioni nell’Unione europea. Responsabilità di classi dirigenti molto più concentrate su una visione nazionale che non su una visione di ampio respiro. I problemi comuni degli Stati europei sì è preferito considerarli straordinari. La corsa a risolvere insieme “situazioni di emergenza” non ha avuto il sostegno di una visione di insieme solida e condivisa per il futuro. Al contempo, si è addossata spesso all’Europa, intesa come entità distinta da ogni singolo paese, l’incapacità di ben governare «ciò che la storia e la geografia ci assegnano nei confini nazionali, e talvolta anche in quelli regionali o locali».
Una visione caricaturale della “cattiva Germania” ha limitato l’impatto di critiche fondate ai limiti della visione politica egemone in Germania e in Europa. Per Piantini è necessario uscire dalla narrazione semplicistica e far maturare un confronto serrato e di merito a livello europeo e bilateralmente. Condizione utile a rendere più palesi gli errori compiuti in particolare in ambito di politiche economiche e di un contraddittorio e lento sviluppo dell’assetto del sistema di governo dell’euro. La moneta unica viene indicata dall’autore come uno straordinario progetto di unità tra i popoli europei e di salvaguardia per il futuro in termini di sostenibilità finanziaria e coesione sociale ma «il costo del non completamento del suo sistema di governo è molto alto, e può mettere a repentaglio l’unità dell’Unione europea».
L’Europa tutta e ogni Paese membro devono prendere coscienza e atto che la sola Nigeria tra pochi decenni avrà più abitanti dell’UE, e che oggi la sola Cina spende il 20% degli investimenti globali in ricerca. Ancora, che con i trend attuali in circa trent’anni le economie di Cina e India varranno più di tutte quelle dell’attuale G7. Per Piantini c’è bisogno dell’Italia, di un’Italia unita e credibile, per condurre nei prossimi anni una battaglia culturale e politica a favore di un’Europa che costruisca il proprio futuro in termini di progresso. Necessitano la continuità e la flessibilità italiane. La continuità avuta sinora nelle linee essenziali di politica estera ed europea. La flessibilità intesa come capacità di presenza, azione e mediazione, impostata su linee guida fondamentali ma adattabile nelle forme e nei contesti.
Marco Piantini sottolinea come l’Italia e i suoi governi, nel tempo, non siano stati capaci di sviluppare politiche nazionali degne di un grande paese e come abbiano poi caricato di ogni questione l’Europa. Prevedibile quindi l’euroscetticismo che ne è derivato. Ma il grande paradosso per l’europeismo italiano è che mai come oggi è forte la domanda di standard, regole e livelli di vita europei, eppure mai prima d’ora l’euroscetticismo era stato così invasivo.
È impossibile pensare realisticamente a un ritorno indietro della politica contemporanea. Ma è lecito esigere una rifondazione degli ideali della politica e chiedere un rinnovato impegno per l’Europa come motore di inclusione sociale e di partecipazione democratica. L’abuso del termine “populismo” è stato un alibi perfetto per una politica scarsa di contenuti e incapace di riconoscere che «la complessità è il perimetro della democrazia».
Lo sviluppo economico ha determinato una crisi di senso che accompagna una ricchezza senza precedenti, nella sua sproporzionata e iniqua distribuzione. Una ricchezza che in molti casi non crea opportunità e «finisce per essere percepita da tanti come inutile». Ne derivano irrisolte questioni materiali e identitarie, segnali di un «possibile declino della civiltà europea».
Piantini espone nel dettaglio la sua analisi della crisi inglese sfociata poi nella richiesta di uscire dall’Unione, ovvero la Brexit. Una crisi sviluppatasi tra la vicina Calais, con un campo migranti diventato simbolo delle disastrose impreparazioni sul tema migrazioni, e la torre di Grenfell andata a fuoco a Londra causando morte e disperazione, «un concentrato del penoso quadro abitativo e sociale quasi al centro del polmone finanziario europeo».
Calais e Grenfell sono, per l’autore, due cupi richiami di questi anni, di quanto potrebbe restare nel lungo tempo della politica europea:
- Incredulità: per come la storia del mondo sia andata avanti in questi decenni, per come l’interdipendenza si presenti con gli occhi dei migranti alle porte di casa e riesca ancora incredibilmente a sorprenderci.
- Rabbia: per il disagio sociale, accresciuto dalla trasformazione delle nostre città da luoghi ricchi di tolleranza a luoghi impoveriti dall’indifferenza.
L’autore è fuor di dubbio un europeista convinto e, a tratti, nostalgico delle emozioni per questo grande “sogno” collettivo, o meglio comunitario, in parte realizzato, in parte naufragato. Vede nei diritti, conseguiti e conseguibili, e nella dimensione della cittadinanza e della socialità l’unica via concreta e percorribile per rianimare la politica europea. Una politica, a livello nazionale e comunitario, che non si concentri sul successo personale di un singolo leader, chiunque esso sia, bensì sia espressione di un “movimento collettivo” che abbia un serio e valido progetto volto, soprattutto, alla creazione di un nuovo welfare. Intorno alla scienza e allo sviluppo che la tecnologia permette deve nascere una società nuova, rinnovata, che veda una riduzione del tempo di lavoro e una crescita nell’accesso a servizi di avanguardia, «luoghi di vita e lavoro pensati secondo principi fondamentali».
Solo i regimi autoritari sono in grado di offrire punti fermi e certi che facilmente fanno presa sui cittadini disorientati e impauriti. La democrazia invece è per sua stessa natura mutevole e incerta. Ora è il momento di cambiare quella strutturatasi nei paesi europei a partire dal crollo del Muro e della divisione tra Occidente e Oriente.
Questa, per Marco Piantini, la vera sfida del Terzo Millennio, che dovrà perentoriamente condurre i Paesi e l’Unione alla “nuova” democrazia. Pena la disfatta totale.