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La pacificazione della Libia, il petrolio, le donne e l’Italia

FIRSTonline

La Libia ha bisogno dell’Italia e dell’Europa per superare la crisi e avviare un processo di ricostruzione democratica che riesca finalmente a portare stabilità in un Paese afflitto dal terrorismo, dalla guerra civile, da una crisi politica, economica e sociale che dopo le primavere arabe e la caduta dell’ex dittatore Mu’ammar Gheddafi non hanno mai dato tregua alla popolazione dello Stato Nordafricano.

Ma la Libia ha bisogno anche e soprattutto delle sue donne per rialzare la testa e avviare un progetto di pacificazione di lunga durata che non può prescindere dal riconoscimento dei diritti politici, sociali e culturali della popolazione femminile, che per troppi anni è stata costretta a subire gli stereotipi della tradizione e l’oscurantismo del regime.

Questi gli argomenti principali trattati nel corso del seminario “La strada stretta della ricostruzione democratica in Libia e della pace nel Mediterraneo. Il ruolo delle donne libiche”, tenutosi il 17 ottobre presso la Camera dei Deputati e organizzato da Minerva non profit con il sostegno del Ministero degli Esteri. Molti i relatori che si sono avvicendati sul palco per trattare temi fondamentali per il futuro di Tripoli, un futuro fortemente interconnesso con quello dell’Unione Europea, Italia in primis. All’incontro erano presenti,  numerose figure politiche e istituzionali di Italia e Libia, come le vice-presidenti di Camera e Senato, Marina Sereni e Linda Lanzillotta, il Vice Direttore Generale per i Paesi del Mediterraneo e del Medio Oriente Giuseppe Perrone (futuro ambasciatore italiano a Tripoli), l’Ambasciatore libico in Italia Ahmed Elmabrouk Safar, il Presidente della Commissione Affari Esteri del Senato Pier Ferdinando Casini, il Responsabile Osservatorio Terrorismo ISPI, Arturo Varvelli, e il Giornalista de La Repubblica Vincenzo Nigro. Presente una nutrita delegazione, tutta al femminile, formata da parlamentari e rappresentanti di associazioni libiche pronte ad affrontare a viso aperto i problemi più importanti che vivono in madrepatria: dalla divisione politica al terrorismo, dalla sicurezza alla crisi economica.

Le donne libiche

Tra le varie problematiche trattate, il  tema principale dell’incontro è stato senza dubbio quello relativo al ruolo, presente e futuro, delle donne in Libia. “Dopo la caduta del Regime – ha affermato la vice-presidente della Camera Marina Sereni – avevamo sperato in una maggiore libertà per le donne libiche, che hanno svolto un ruolo fondamentale della cacciata di Gheddafi”. E invece, ha sottolineato l’Onorevole, i movimenti oscurantisti “hanno posto un giro di vite contro l’emancipazione femminile” che si scontra anche con stereotipi e tradizioni familiari difficili da estirpare.

Nel corso dell’incontro sono state fornite alcune percentuali. Oggi, l’80% delle organizzazioni non governative libiche è presieduto da donne. Nel congresso, la quota femminile è pari al 17%, la percentuale raggiunge il 16% in Parlamento, il 10% nella Costituente e l’1% nelle municipalità.

Dei passi avanti dunque ci sono stati, ma il rischio è che la crisi, vanifichi gli sforzi effettuati nel corso dei decenni. Naeima Mohammed Gebril, Membro del “Libyan Political Dialogue” non ha usato mezzi termini: “Sono testimone della rivoluzione, sono l’unica donna ad aver partecipato alla costituzione del Consiglio Nazionale Provvisorio. I governi che si sono susseguiti avevano delle ministre e delle rappresentanti nelle municipalità. Ma stiamo cominciando a perdere le conquiste passate e questo è preoccupante per il futuro della donna in Libia”.

Le cifre fornite in precedenza dimostrano che le donne, oltre ad aver avuto un ruolo attivo nel processo rivoluzionario, hanno cominciato a farsi spazio nella politica e nelle istituzioni. Ma, secondo Gebril non è abbastanza: “Bisogna muoversi dal basso, non dall’alto verso il basso. Non bisogna coinvolgere solo le elite. Dobbiamo muoverci sulla base popolare”.  Insieme alla leadership, deve cambiare anche la società e la vita che al suo interno svolgono milioni di donne normali.

Per questo motivo, secondo tutte le relatrici presenti, la definizione della nuova Costituzione sarà un banco di prova essenziale per cercare di porre in equilibrio i principi Shari?ah e i diritti delle donne libiche. Sarà proprio in quel contesto, che le donne dovranno “alzare la voce” per partecipare attivamente al processo di ricostruzione democratica. “I conflitti hanno fatto sì che la donna non abbia voce in capitolo – ha evidenziato l’attivista Amal Alhaai -, subendo violenze anche a livello della vita sessuale, limitazioni nei movimenti e negli spostamenti, costrette a sposarsi anche se minorenni. Senza parlare dell’estremismo. Ci sono delle spaccature anche tra le donne alla luce delle differenze religiose e regionali. L’enpowerment della donna è fondamentale.Bisogna prendere dei provvedimenti fattivi per immettere le donne nel processo di liberazione”.

La crisi politico-economica e il ruolo dell’Italia

La Libia è la porta d’accesso all’Europa. Un Paese strategico non solo dal punto di vista geografico, ma anche economico. Per decenni Roma e Tripoli hanno mantenuto uno stretto legame che ha consentito ad entrambi i Paesi di coltivare i propri interessi economici. Poi è arrivata la crisi causata dalle problematiche ormai note a chiunque. Ma non si può pensare che i problemi libici non siano affar nostro. “La sicurezza e la pace nel Mediterraneo sono direttamente collegati con il processo di ricostruzione democratica e di pacificazione libico. La questione libica è centrale nell’arena internazionale”, ha affermato l’ambasciatore Safar.

Dello stesso avviso anche il futuro ambasciatore italiano in Libia, Perrone: “Per noi la pacificazione libica è una priorità, una Libia stabile è essenziale per la nostra stabilità. I nostri interessi sono convergenti, i nostri legami sono profondi e non possiamo permetterci una Libia instabile. Siamo uniti dal Mediterraneo. Consapevole di ciò, il Governo italiano si è impegnato per fare in modo che la comunità internazionale svolga un ruolo importante nel processo di democratizzazione attraverso principi condivisi”, tanto più che la stessa comunità internazionale ha svolto nel passato un ruolo fondamentale nell’esplosione della crisi libica.

Uno dei problemi fondamentali della Libia è la sicurezza, una questione fortemente interconnessa con la crisi economica del Paese. Finché non si riuscirà a mettere in sicurezza il territorio l’economia libica non potrà ripartire.

Lo studioso dell’ISPI Arturo Varvelli, ha spiegato che: “La Libia sta affrontando due crisi: la prima riguarda la sicurezza, la seconda l’economia e la società. Con la caduta di gheddafi è caduto anche lo Stato. C’è una difficoltà nella transizione libica, che ha connotati diversi rispetto alle altre transizioni nordafricane”.

Impossibile non fare un accenno al petrolio. Dalla caduta di Gheddafi nel 2011, l’industria petrolifera libica è crollata. Pochi giorni fa, il presidente della National Oil Company libica, (Noc), Mustafa Sanallah, ha annunciato che la produzione di greggio ha superato i 550 mila barili al giorno, prevedendo un rialzo’ alla fine dell’anno a 900 mila barili al giorno, il livello più alto mai registrato dal giugno del 2013, anche se lontano anni luce dai livelli precedenti al 2011 (erano 1,4 milioni di barili estratti subito dopo la rivoluzione).

“L’economia libica è fortemente dipendente dalla vendita di idrocarburi all’estero – ha continuato Varvelli –  il blocco dei pozzi e il crollo dei prezzi del petrolio hanno causato una  sostanziale riduzione delle entrate. La Libia potrebbe essere dunque prossima ad una crisi fiscale. Già metà delle riserve straniere sono state bruciate in questo lungo periodo di transizione”. Una situazione che potrebbe spingere le varie parti a continuare sulla strada della negoziazione.

All’Italia spetta un ruolo fondamentale nel processo di pacificazione di Tripoli. Il Presidente della Commissione Affari Esteri, Pier Ferdinando Casini, ha sottolineato quale sia la volontà del nostro Governo: “Vogliamo una Libia unita, non vogliamo una tripartizione. intendiamo salvaguardare l’unità. Sappiamo che il Paese ha grandi risorse economiche  e, se stabile, risorse importanti per noi è per voi, ricordiamo la partnership con le imprese italiane”. L’Italia ha dunque intenzione di fare la sua parte, anche sul tema immigrazione, provando a spingere l’Europa a fare lo stesso.

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