Le dispute di lavoro hanno un che di teatrale. Quando Scarlett Johansson ha portato in tribunale la Disney lo scorso luglio, sostenendo di essere stata economicamente danneggiata per il suo ruolo in “Black Widow”, lo studio ha lanciato una spaventosa bordata contro l’attrice sottolineando il suo “evidente disinteresse per gli orribili e prolungati effetti globali della pandemia di Covid-19”.
A settembre le troupe cinematografiche hanno manifestato per chiedere condizioni migliori di lavoro, brandendo cartelli disegnati dai migliori scenografi americani. E quando WarnerMedia ha deciso di proiettare “Dune” sul suo servizio di streaming lo stesso giorno in cui è arrivato nei cinema, il 21 ottobre, il regista del film, Denis Villeneuve, ha sbottato dicendo che “guardare ‘Dune su un televisore… è come guidare un motoscafo in una vasca da bagno”.
La rivoluzione dello streaming ha fatto affluire molto denaro a Hollywood, mentre gli studios fanno a gara per attrarre abbonati. Netflix strombazza che la sua offerta di contenuti nel quarto trimestre sarà la più forte di sempre, con nuovi titoli come “Don’t Look Up”, con Leonardo DiCaprio e la stagione finale di “Money Heist”, una saga spagnola di svaligiamenti di banche.
Il 12 novembre Disney ha annunciato il suo ultimo blitz, con nuovi spettacoli per Disney+ che prevedono “Star Wars” e gli spin-off della Marvel. Secondo Bloomberg, la spesa totale per i contenuti dei servizi di streaming potrebbe raggiungere i 50 miliardi di dollari quest’anno.
Turbolenza su Hollywood
Eppure, nonostante tutta questa largesse, è un periodo turbolento per Hollywood, dato che tutti, dalle star di serie A alle persone che si acconciano i capelli, sono in guerra con gli studios cinematografici. Alcune delle controversie sono sorte a causa della pandemia, che ha sconvolto i programmi di produzione e di uscita.
Ma la tensione ha una causa più profonda. Mentre lo streaming sconvolge il business televisivo e cinematografico, il modo in cui gli artisti vengono compensati sta cambiando. La maggior parte dei lavoratori del cinema sta meglio, ma il potere delle megastar sta evaporando.
È iniziato con la pandemia. Mentre i cinema chiudevano, gli studios si affannavano a trovare schermi alternativi per i loro film. Alcuni, come l’ultimo film di James Bond della MGM, sono stati ritardati per più di un anno. Altri sono stati dati alle piattaforme di streaming, a volte senza l’accordo degli attori o dei registi.
Proprio quei soggetti il cui compenso è legato agli incassi del botteghino sono stati sono stati retribuiti o dietro le quinte (come ha fatto la WarnerMedia nel caso di “Dune”) o dopo diverbi pubblici (come con la Disney con Scarlet Johansson).
Un nuovo equilibri di potere
Eppure, ancora prima del Covid, lo streaming stava cambiando l’equilibrio di potere tra studios e creativi. In primo luogo, c’è in giro più denaro. “C’è una domanda e un bisogno travolgente di talenti, trainata dalle piattaforme di streaming e dalla quantità di denaro che stanno spendendo”, dice Patrick Whitesell, presidente esecutivo di Endeavour, la cui agenzia di talenti WME aveva Charlie Chaplin tra i suoi clienti.
Tre anni fa c’erano sei grandi offerenti per i nuovi progetti cinematografici: Netflix e i cinque maggiori studios di Hollywood. Ora, con l’arrivo di Amazon, Apple e altri, ce ne sono quasi una dozzina. Gli streamer pagano tra il 10 e il 50% in più degli altri, stima un altro agente.
Anche i lavoratori di supporto, come i cameramen e i tecnici del suono, hanno molto più lavoro. La concorrenza tra gli studios ha creato un “mercato dei fornitori di servizi”, dice Spencer MacDonald del Bectu, un sindacato britannico, il paese nel quale Netflix produce più spettacoli che in qualsiasi altro posto al di fuori del Nord America.
Negli Stati Uniti il numero di posti di lavoro nella recitazione, nelle riprese e nel montaggio crescerà di un terzo nei prossimi dieci anni, quattro volte di più del tasso di crescita totale dell’occupazione in America, stima il Bureau of Labour Statistics.
Una frenetica attività
La fama di prodotti degli streamer porta a un’attività indiavolata in tutte le professioni del settore. L’incidente mortale sul set di “Rust”, un film con Alec Baldwin, ha sollevato un dibattito sulla sicurezza del lavoro di fronte al ritmo frenetico delle produzioni. Ma le stagioni brevi e ben pagate degli streamer lasciano più tempo per i progetti collaterali che impreziosiscono il curriculum e rendono il lavoro più gratificante dal punto di vista creativo.
Lavorare per Netflix o Apple significa poter ottenere nomination per i premi in ogni ruolo e in ogni possibile categoria, dice uno scenografo e aggiunge che il prezzo di tutto questo è una settimana lavorativa di 90 ore. IATSE, un sindacato che rappresenta 60.000 lavoratori del cinema in America, ha raggiunto un accordo con gli studios per una migliore retribuzione e per migliori condizioni.
Più controverso è il modello di pagamento degli streamer, che sta creando nuovi vincitori e nuovi sconfitti. Le star erano abituate a ottenere un anticipo e ad accordarsi per un surplus “back end” che garantiva una quota dei guadagni futuri legati alle performance del progetto.
ùPer gli streamer, il valore di un progetto è più difficile da determinare, poiché risiede nella sua capacità di reclutare e trattenere gli abbonati piuttosto che portare gli spettatori a pagare un biglietto al botteghino.
Gli studios, inoltre, vogliono avere la libertà di mandare i loro contenuti direttamente in streaming senza dovere litigare con una star come la Johansson il cui compenso è legato agli incassi al botteghino. Il risultato è che gli studios stanno seguendo l’esempio di Netflix nel “comprare” i talenti con corposi anticipi, a cui fanno seguito bonus minimi o nulli legati all’esito del prodotto.
Vantaggi e svantaggi del nuovo modello retributivo
Questo modello avvantaggia molto la maggior parte degli artisti. “Le buonuscite sono ottime per i talenti — afferma Whitesell –. Si può negoziare il livello di successo di un contenuto, e poi farselo garantire”. Inoltre, invece di aspettare fino a dieci anni per i soldi, questi arrivano il giorno stesso in cui lo show esce”.
I 50.000 attori americani hanno guadagnato in media soltanto 22 dollari all’ora lo scorso anno, senza considerare le spese di spostamento, quindi la maggior parte di loro è felice di prendere i soldi in anticipo e lasciare che lo studio si assuma tutto il rischio. Un altro agente confida che alcuni clienti famosi preferiscano la riservatezza degli streamer sulle performance del film rispetto alla pubblica dissezione dei flop al botteghino.
Per gli attori e gli scrittori di punta, tuttavia, il nuovo sistema si sta rivelando penalizzante. “La gente viene sottopagata per un successo e strapagata per un fallimento”, dice John Berlinski, un avvocato dello studio Kasowitz Benson Torres che rappresenta gli attori di serie A.
I vecchi contratti erano una sorta di “biglietto della lotteria”, dice. Uno show di successo che va avanti per sei o sette stagioni può produrre un guadagno di 100 milioni di dollari; partecipare a un fenomeno come “Seinfeld” significa guadagnare un miliardo di dollari.
Alcuni showrunner star come Shonda Rhimes, che ha prodotto successi televisivi a ripetizione, attualmente sotto contratto a Netflix, possono chiudere accordi a nove cifre. Ma gli ideatori di spettacoli di successo hanno maggiori probabilità di finire con bonus di un paio di milioni di dollari all’anno.
E anche se gli attori stanno ricevendo dagli streamer quelli che sembrano enormi pagamenti — si dice che Dwayne Johnson riceva 50 milioni di dollari da Amazon per “Red One”, per esempio — in passato potevano anche arrivare a guadagnare il doppio da un accordo back-end.
I nuovi arrivati agli studios
Alcuni creativi lamentano che i nuovi arrivati semplicemente non capiscono lo show business. Con la sua “mentalità da compagnia telefonica”, AT&T, un gigante della TV via cavo che ha acquisito WarnerMedia nel 2018, ha trasformato lo studio più famoso di Hollywood in una sorta di lebbrosario, si lamenta un agente. Il nuovo capo della Disney, Bob Chapek, viene dalla divisione dei parchi a tema della società. Gli streamer della Silicon Valley sono più a loro agio con i fogli di calcolo che con la polvere di stelle.
Ma la loro riluttanza a venerare le A-lister ha anche una ragione economica. Lo star system, in cui persone comuni come Archibald Leach sono stati trasformati in idoli come Cary Grant, è stato creato dagli studios per eliminare dal business del cinema il rischio finanziario.
Un blockbuster, che oggi potrebbe costare 200 milioni di dollari per le riprese più altrettanti per il marketing, ha una lontana possibilità di andare in pareggio al botteghino. La scommessa è meno rischiosa se una star si porta dietro un suo pubblico di riferimento.
Le franchise
Oggi, gli studios stanno attenuando il rischio delle loro produzioni non con le star ma con la proprietà intellettuale. La Disney, che domina il box office, si affida a franchise come la Marvel, il cui successo non dipende da quali attori indossano i body di spandex. Il progetto più costoso di Amazon finora è uno spin-off da 465 milioni di dollari de “Il Signore degli Anelli” senza nessuna megastar. La più grande acquisizione di Netflix, 700 milioni di dollari, è il catalogo dello scrittore per bambini Roald Dahl (l’autore de La fabbrica di cioccolata).
Inoltre, l’approccio dello streaming per produrre successi è diverso. Mentre per vincere al botteghino bisognava puntare tutto su progetti mastodontici, il metodo di Netflix è “più simile a una passeggiata occasionale dove i ‘successi’ sono prima scoperti dai loro utenti, poi amplificati da… algoritmi”, nota MoffettNathanson, una società di analisti.
Netflix ha trasmesso 824 nuovi episodi nel terzo trimestre di quest’anno, quattro volte di più di Amazon Prime o Disney+. Il suo più grande successo, “Squid Game”, ha un cast che è in gran parte sconosciuto al di fuori della Corea del Sud. “La competizione non si limita a chi ha il miglior contenuto; conta anche chi ha la migliore tecnologia per scoprirlo”, dice MoffettNathanson. Nella nuova Hollywood star non si diventa, né si nasce: sono generate da un algoritmo.
Da: How Hollywood’s biggest stars lost their clout, The Economist, 6 novembre 2021