X

La fotografia di Gianni Berengo Gardin in mostra a Napoli. C’è l’Italia dei paesaggi e della creatività

Napoli, dopo Brescia e Roma, ospita una straordinaria mostra del fotografo Gianni Berengo Gardin, la sua prima personale di fotografia a Napoli. Composta da oltre 200 lavori in bianco e nero la rassegna resta aperta fino al 6 luglio al Museo di Villa Pignatelli. È arrivata dal Maxxi di Roma realizzata in collaborazione con Contrasto, Fondazione Forma per la Fotografia e Archivio Gianni Berengo Gardin. Maestro della fotografia, noto in tutto il mondo per reportage e decine di mostre, «L’occhio come mestiere» è la sintesi di decenni di lavoro. « Molti mi dicono che sono un artista, ma non ci tengo a passare per artista, sono un fotografo artigiano » ha detto una volta di se stesso. Quello che è esposto a Napoli ne è una testimonianza, sebbene parziale. Nel suo lungo racconto dal dopoguerra a tempi più recenti, Berengo Gardin punta l’obiettivo su un’Italia che cambia senza smarrirsi. La fatica umana, i paesaggi, i luoghi del lavoro, i popoli, sono colti nella loro immediatezza e spontaneità. L’ambiente, come le terre della Puglia o della Toscana, sono lo specchio reale di un territorio protetto perché coltivato, perché consente di vivere. Di progredire con l’aiuto dei figli mandati a studiare all’Università o dai preti, pure loro fotografati. Si riflette su luoghi incontaminati, non stravolti dallla mano dell’uomo, tutt’altro. Volti segnati dallo sforzo quotidiano in campi arati o da arare che la macchina fotografica mette bene in risalto e senza uso di colore.

La fotografia non mente

La mostra è anche un omaggio alla città di Napoli e alla Campania. Le foto di Pompei, Capri, dell’entroterra come del centro storico di Napoli o le vedute sul mare e sul Vesuvio, danno la dimensione di ambienti suggestivi e storici mescolati a piacere o sofferenze. Un viaggio lungo 30 anni nel capoluogo campano, dai ‘60 ai ‘90 con Napoli cementificata e poetica, ribelle e domata, turistica e lazzara. Il senso estetico dell’osservazione è compiuto grazie a scatti non banali in una città dove gli artisti spesso si lasciano contagiare dalla vivacità della popolazione. E Villa Pignatelli, oggi bellissiòo Museo nazionale, appartenuta alla famiglia Rothschild prima del passaggio allo Stato, ne è la suggestiva cornice. Le foto colgono la centralità dell’uomo e della sua collocazione nello spazio sociale. La natura concretamente ma in modo poetico è rapportata ad «una» idea di fotografia. Si scorge «la potenza e la specificità del suo modo di costruire la sequenza narrativa, che non si limita a semplici descrizioni dello spazio ma costruisce naturalmente storie» dice la presentazione. Il fotografo artigiano, con il suo bianco e nero non mente. Come quando punta l’obiettivo sullo sconcio delle grandi navi nella laguna di Venezia, ma poi accanto c’è la Venezia romantica e malinconica. L’omaggio al lavoro, all’Italia della creatività e dell’ingegno industriale lo troviamo nei reportage da Ivrea, sede della storica Olivetti, nelle foto della Milano dell’arte, dell’emigrazione, delle lotte operaie, degli intellettuali: Gio Ponti, Ugo Mulas, Dario Fo. Emerge un Paese contrastato e forte allo stesso tempo. Si è catturati dalla vita delle donne nelle terre della Basilicata, dalle mondine del vercellese, dal rivoluzionario progetto con Franco Basaglia e Franca Ongaro Basaglia che nel 1980 portò alla chiusura dei manicomi, dai caffè artistici di Trieste. Infine gli incontri e l’amicizia con figure chiave della cultura contemporanea come Dino Buzzati, Peggy Guggenheim, Luigi Nono, Cesare Zavattini, Mario Soldati, Renzo Piano. «Ho incontrato molti importanti intellettuali italiani che sono diventati amici e hanno influenzato moltissimo la mia fotografia. Il più importante è stato Mario Pannunzio». Sul Mondo diretto dal grande giornalista, Berengo Gardin pubblicò centinaia di foto come avrebbe fatto in seguito su L’Espresso, Le Figaro, Epoca. Il fotogiornalismo come descrizione autentica di luoghi e vicende trattate sempre con umanità. I giovani e le scolaresche, in particolare, dovrebbero visitarla questa Mostra. Ne abbiamo visti,durante la visita, ma sono loro che hanno bisogno della “messa a fuoco ” del Maestro, lunga 70 anni, per capire com’eravamo.

Related Post
Categories: Arte Cultura