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La Mongolia non fa scuola: i tassi restano bassi ovunque

Domanda da un milione di dollari (o anche più): esiste una banca centrale che sta procedendo in questi giorni al rialzo del costo del denaro? La risposta è sì. Ieri la banca centrale della Mongolia ha aumentato i tassi di un quarto di punto al 4,5% per difendere il tasso di cambio della moneta locale, il tugrik.

La Fed, che non si occupa di finanza mongola, ha invece sottolineato i rischi insiti negli squilibri delle banche italiane, una delle ragioni che sconsigliano un rialzo. “Nella discussione sulla stabilità finanziaria – si legge nei verbali della riunione di fine luglio – si è fatto notare che, sebbene lo stato di salute delle banche Usa sia buono, gli istituti europei, specie le banche italiane, sono sotto pressione per la debole congiuntura economica,i margini di interesse sottili e le preoccupazioni sulla qualità degli asset in portafoglio”. E così, a giudicare dai verbali della Fed, l’Italia contribuisce a render meno probabile il rialzo dei tassi a settembre, nonostante l’opinione in senso contrario di operatori come Bill Gross: “le banche centrali – ha scritto – continuano a mettere nell’economia olio sporco (ovvero denaro a costo quasi zero). Prima o poi, il motore si fermerà”.

Il dibattito tra falchi e colombe è destinato a durare almeno fino all’intervento di Janet Yellen venerdì 26 al meeting di Jackson Hole. Nell’attesa la prospettiva di un rinvio dell’aumento dei tassi Usa ha sostenuto la ripresa delle Borse e del corso delle materie prime favorite dal dollaro debole e dalla discesa dei rendimenti.

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