“La moda trarrà grandi profitti dai suoi capi digitali“, parola di Morgan Stanley. E come dare torto alla grande banca d’affari americana se una borsa di Gucci virtuale è già stata venduta a un avatar a un costo maggiore di quello di una vera? E se l’asta di un’opera d’arte digitale ha recentemente spuntato un prezzo più alto di un quadro di Francisco Goya?
Benvenuti nel presente, quello delle generazioni Z (nati dopo il 1995) e Alpha (nati dopo il 2010) e in quello di numerose grandi aziende che, durante la pandemia, mentre la maggior parte di noi imparava a fare la pizza e sognava di uscire per una passeggiata, studiavano il mercato del nuovo mondo, quel Metaverso, dove ambisce ad approdare anche l’inventore di Facebook, Mark Zuckerberg che ha ribattezzato il suo gruppo con il nome di Meta. Pare che l’Eldorado del terzo millennio infatti non sarà oltre l’orizzonte del mare e nemmeno nello spazio profondo, ma in casa nostra, negli algoritmi di un computer, in un paio di super occhiali. Sarà un luogo di ambienti virtuali condivisi, a cui le persone potranno accedere via internet facendosi rappresentare da un proprio avatar 3D. Se avremo un salotto però dovremo comprarlo, così come un’auto o un abito, una borsa o un’opera d’arte, o magari una bella finestra con vista su Orione.
L’immagine sarà importante per qualificare il nostro status e, prima di altri, i marchi del lusso si stanno attrezzando per proiettarci al top. D’altra parte l’effimero muove il mondo e l’America è stata scoperta cercando una rotta più breve per l’India da cui importare gemme preziose, sete e spezie.
Un assaggio di questo metafuturo (su cui, timidamente, si può anche nutrire qualche dubbio) ci viene offerto già oggi dai social gaming (i giochi online e i concerti cui presenziano avatar di persone reali) e dagli Nft (non-fungible tokens), che sono oggetti digitali dotati di un certificato di autenticità e unicità, garantito da una tecnologia chiamata blockchain (letteralmente “catena di blocchi”, un registro digitale).
Gli Nft in sostanza sono il nostro bene esclusivo, il vestito unico, il quadro d’autore, l’auto super del nostro avatar di cui dovremmo poter disporre su qualsiasi piattaforma. A differenza delle cripto monete, che imitano i soldi e quindi sono beni fungibili (scambi denaro per avere altro) gli Nft sono beni infungibili.
Secondo Gucci è “solo una questione di tempo” prima che le principali case di moda entrino a far parte del mondo Nft e di altri aspetti della moda digitale. Come riferiscono alcune riviste specializzate, durante il mese della moda che si è concluso a ottobre, si è visto che molti marchi stanno infatti già lavorando con gli Nft per inserire capi virtuali all’interno delle loro produzioni.
Gucci, ma anche Burberry e Nike stanno proponendo collezioni originali per gli avatar dei videogiochi e i capi possono costare fino a 9.500 dollari.
Si consideri che le skin (che sono le aggiunte estetiche che personalizzano il look dei personaggi dei videogiochi) sono uno degli elementi più ricercati dai gamer di tutto il mondo e il loro mercato, secondo il sito Wired, vale circa 40 miliardi all’anno.
Nessuno, pare, vuole mandare il suo avatar a un concerto virtuale senza fargli indossare qualcosa di consono, che lo rappresenti in modo adeguato.
Tornando alle stime economiche, nel report di Morgan Stanley, si legge che la domanda digitale per i marchi della moda e del lusso dovrebbe crescere dai minimi attuali, fino a 50 miliardi di dollari di vendite extra entro il 2030. “I flussi di ricavi dai media digitali per i brand del lusso oggi sono poca cosa”, scrivono, ma “crediamo che questo stia per cambiare”.
Gli analisti della banca americana avvertono che “Metaverse” richiederà con ogni probabilità molti anni di sviluppo, ma che gli Nft e i social gaming presentano già due opportunità a breve termine per le grandi firme.
Il mercato diretto dei marchi del lusso si potrebbe così espandere di oltre il 10% in 8 anni, e portare a una crescita del 25% degli utili al lordo di interessi e tassi di tutto il settore.
Per fare queste valutazioni Morgan Stanley prende spunto dal videogioco Roblox dove un partecipante su cinque aggiorna quotidianamente il proprio avatar. Tutti i giorni un look diverso, una frenesia di cambiamento davvero notevole, che fa tintinnare le casse, qualsiasi sia il rumore che fanno le cripto monete.
A conferma delle valutazioni di MS è il fatto che proprio Gucci ha aperto, in maggio, su Roblox il Gucci Garden, uno spazio virtuale che ha permesso ai giocatori di esplorare una serie di sale a tema, dove una Queen Bee Dionysus Bag, venduta inizialmente per l’equivalente di 6 dollari ma disponibile per un’ora soltanto, ha rapidamente scalato i gradini del resell arrivando a costare 350,000 Robux, l’equivalente di 4115 dollari, ossia 800 dollari in più della borsa fisica che si acquisterebbe in negozio. E non era neppure un Nft trasferibile su altre piattaforme.
Già nel 2019 Louis Vuitton aveva creato delle skin per League of Legends, ma anche Valentino e Marc Jacobs si erano cimentati con versioni digitali di alcuni loro capi per Animal Crossing.
Il marchio inglese Auroboros disegnato da Paula Sello e Alissa Aulbekova ha debuttato di recente con la prima collezione prêt-à-porter digitale su Drest, una app per videogiochi: quattordici pezzi ispirati a film di fantascienza, tra cui Ex Machina e Avatar.
Balenciaga oggi collabora con Fortnite (videogioco prodotto Epic Games), dove c’è la possibilità di assistere ai concerti delle più note star del rap o di partecipare a una sfilata. La casa di moda farà skin da usare in battaglia, borse, abiti e zaini che potranno essere acquistati anche all’interno di appositi negozi situati dentro l’ambiente digitale.
Morgan Stanley nel suo report cita infine la vendita da parte di Dolce e Gabbana di 9 Nft per 5,7 milioni di dollari, che, benché di “piccola entità”, dimostra l’enorme potenziale dei beni virtuali e ibridi nei prossimi anni.
“Ci aspettiamo che l’intero settore tragga beneficio dall’avvento di Metaverse, ma crediamo che i marchi “soft-luxury” (pret-a-porter, pelletteria, scarpe) siano particolarmente ben posizionati rispetto ai brand “hard-luxury” (gioielleria ed orologi)” conclude il report.
Se questo è l’antipasto non riusciamo nemmeno a immaginare il pasto del Mataverso di cui stiamo sentendo per ora solo l’odore. Una domanda però s’impone, almeno per quelli della generazione X o peggio ancora per i baby boomers: ma con i nostri abiti digitali avremo gli stessi problemi di capienza degli armadi che abbiamo oggi nella vita reale?