Se oggi la strategia Premium di FCA si basa sullo sviluppo in Italia dei marchi di fascia alta Maserati e Alfa Romeo, e non più sulle vetture targate Fiat, le cui produzioni europee sono ormai allocate per la gran parte in Polonia, Serbia e Turchia, non così si presentava la situazione una trentina di anni fa quando le due società, l’ Alfa Romeo e la Maserati, furono acquisite dalla Fiat quasi nello stesso periodo.
All’ epoca l’ interesse alle due società non fu dettato da una strategia industriale (come dimostrarono gli anni immediatamente successivi) ma dalla volontà di impedire che nel sistema produttivo italiano dell’ automobile entrassero nuovi attori.
Se è noto che la Fiat scese in campo per rilevare l’ Alfa Romeo soltanto dopo che la Ford aveva manifestato la volontà di acquistarla, meno conosciute sono le motivazioni che la portarono ad entrare in Maserati.
Ecco come andarono le cose.
Alejandro De Tomaso, l’ imprenditore argentino ex pilota ed ex rivoluzionario antiperonista, costruttore delle mitiche dream car Mangusta e Pantera, rilevò nel 1975 la Maserati, attraverso la GEPI (l’ allora carrozzone finanziario pubblico per il salvataggio e la ristrutturazione delle aziende private), dal fallimento della precedente gestione Citroen e nel 1976 la Innocenti, che confluiva con la Maserati in una nuova società denominata “Nuova Maserati”. L’ operazione avveniva anche in questo caso attraverso la GEPI e su iniziativa del Governo per le forti pressioni sindacali e scontri con le maestranze causati dalla dismissione dello storico stabilimento Innocenti di Lambrate da parte della British Leyland, che lo aveva rilevato anni prima con il marchio Leyland Innocenti.
Negli anni 80 la Maserati, mentre a Modena continua la produzione della Quattroporte, nello stabilimento di Lambrate assembla due vetture che ebbero un certo successo commerciale : la Maserati Biturbo con il motore prodotto a Modena, e la Mini Innocenti con un motore a 3 cilindri della Daihatsu.
I volumi produttivi, sia delle Maserati che della Mini, furono però tali che non riuscirono mai a saturare la capacità produttiva ed il personale dei due stabilimenti.
Le aspirazioni di De Tomaso traguardavano però i confini italiani e si rivolgevano anche all’ America.
Insieme a Lee Iacocca, l’ amministratore delegato della Chrysler, lancia nel 1984 un progetto per uno stabilimento Chrysler-Maserati da costruire negli Stati Uniti, progetto che si dissolverà quattro anni dopo quando Chrysler rinuncia all’ iniziativa.
La ragione dell’ abbandono della Chrysler stava quasi sicuramente nei bilanci : a fronte di un fatturato di circa 200 miliardi di lire nel 1988 la Maserati registrava una perdita di esercizio di circa 37 miliardi.
De Tomaso, svanita l’ opzione americana, doveva correre ai ripari, e qui fece una di quelle mosse tipiche della sua vita, non solo come imprenditore, ma anche come giovane rivoluzionario, compagno di Guevara, fuggito dall’ Argentina per evitare il carcere (e mai più ritornato, come mi narrò una sera al ristorante dell’ hotel Canal Grande di Modena di sua proprietà) o come meccanico-pilota della squadra corse che conquistò una ragazza che gareggiava anche lei sui circuiti europei con lo pseudonimo di Isabelle, in realtà una giovane ereditiera americana diventata in seguito sua moglie.
Nell’ estate del 1989 De Tomaso fece circolare la voce che allo stabilimento di Lambrate erano interessati i giapponesi, ma soprattutto che l’ ing. Vittorio Ghidella aveva visitato la Maserati a Modena per una sua eventuale acquisizione.
Bastò questa mossa per far muovere la Fiat. Per la società di Torino sarebbe stato intollerabile ritrovarsi Ghidella come un player automobilistico in Italia proprio dopo i motivi delle sue dimissioni da amministratore delegato della Fiat Auto e l’uscita dal Gruppo.
Ghidella, il manager che aveva risanato il settore auto dopo il 1980 con il lancio di vetture di successo come la FiatUno e la Lancia Thema, aveva infatti raggiunto un accordo nel 1983 con la Fiat che prevedeva il passaggio allo stesso del 40 per cento delle azioni della Ferrari dopo la scomparsa di Enzo Ferrari.
Ma al momento della rottura del rapporto con l’ azienda nell’ autunno del 1988, con l’ accusa di vedere in prospettiva una Fiat solo “autocentrica”, Ghidella fu invitato a recedere anche dalla sua quota nel capitale sociale di Maranello, ovviamente dietro congruo compenso.
In questo contesto Fiat avviò la trattativa con De Tomaso per rilevare la società Nuova Maserati, con gli stabilimenti di Modena e Lambrate, che si concluse nel dicembre 1989 con un accordo prima di collaborazione e poi di acquisizione con la costituzione di una nuova società, la “Maserati spa”, con il 49 per cento del capitale sociale di Fiat ed il rimanente di De Tomaso.
L’ accordo, per un costo complessivo per Fiat di 350 miliardi di lire, prevedeva peraltro il totale passaggio delle quote azionarie di Maserati spa alla Fiat stessa soltanto al termine della ristrutturazione della società e della chiusura dello stabilimento di Lambrate la cui gestione restava a carico di De Tomaso, ufficialmente e formalmente, essendo la casa torinese in quegli anni già esposta su un altro fronte caldo milanese, quello di Arese.
Nel gennaio 1993 De Tomaso, dopo una estenuante trattativa sindacale condotta in prima persona, sigla con il sindacato metalmeccanico l’ accordo di chiusura dello stabilimento di Lambrate con un piano di ricollocazione al lavoro dei circa 1000 operai; un piano che gestito successivamente da una task force del Comune di Milano fu completamente realizzato nel giro di 3-4 anni anche grazie all’ introduzione per la prima volta nell’ ordinamento della cassa integrazione in deroga, la cosiddetta “cassa Maserati”.
Purtroppo il giorno seguente la firma dell’ accordo sindacale, De Tomaso fu colpito da un ictus cerebrale che gli impedì di occuparsi ancora dell’ azienda. Venne così accelerato il passaggio del restante 51 per cento del capitale della Maserati a Fiat, che nel maggio successivo assunse la piena gestione della società.
Negli anni seguenti la produzione della stabilimento di Modena si muoverà entro una forbice tra le 4.000 e le 6.000 vetture anno; la svolta si avrà con la scelta di Marchionne di potenziare il brand Premium di FCA allocando progressivamente dal 2012 le produzioni delle nuove Maserati nel polo torinese degli stabilimenti di Mirafiori e Grugliasco con un obiettivo di una produzione annua di 50.000 vetture.
Ma questa è storia del presente.