I mercati bocciano le scelte del governo italiano e Piazza Affari paga il conto, -3,72%, 20.711 punti. Vanno a picco le banche, le più esposte al debito sovrano, mentre lo spread s’impenna: Banco Bpm, -9,43%; Intesa -8,44%; Bper -8,34%; Ubi -7,84%; Banca Generali -7,84%; Unicredit -6,73%. Da segnalare, fuori dal listino principale il crollo di Astaldi, -28,07%, dopo la presentazione della domanda di concordato preventivo “con riserva”. La capitalizzazione di Borsa è passata da 636 a 615 miliardi: 20 miliardi in meno in un solo giorno.
La sola big cap positiva è Saipem +0,68%.
Frana l’obbligazionario. Il rendimento del decennale sale al 3,15% e lo spread con il Bund sale dell’11,01%, portandosi a 267.20 punti base. Si allarga il differenziale anche sul titolo a due anni e in seduta supera 165 punti base, crescendo di circa 40 punti, prova che si scommette con reticenza sul paese anche a breve termine.
La decisione di fissare al 2,4% il rapporto deficit/pil nella nota di aggiornamento al Def, sembra una sfida aperta all’Unione Europea e mina la fiducia degli investitori, producendo un effetto contagio sulle banche a livello continentale. Chiudono in rosso anche gli altri listini europei: Francoforte -1,5%, Parigi -0,85%, Madrid -1,45%, Londra -0,47%, Zurigo -0,38%. Cala l’appeal dell’euro, che perde posizioni nei confronti del dollaro, cambio in area 1,162. Wall Street, dopo un’apertura sottotono a causa dei finanziari, preoccupati dal crisi italiana, trova la via del rialzo a metà mattinata e al momento si muove in territorio positivo.
Il petrolio continua a macinare guadagni, in attesa delle sanzioni all’Iran: il Brent sale dell’1,77%, 82,36 dollari al barile.
Protagonista di questo venerdì nero però è soprattutto Piazza Affari e le turbolenze potrebbero non fermarsi qui. Dopo l’approvazione al parlamento italiano, il documento programmatico della legge di bilancio dev’essere presentato entro il 15 ottobre alla Commissione europea, che a sua volta deve dare un via libera preliminare entro il 30 novembre. Per fine ottobre sono attesi i giudizi di S&P e Moody’s sul rating dell’Italia (attualmente BBB con outlook stabile per S&P e Baa2 per Moody’s). Un programma da far tremare i polsi. Il primo appuntamento politico per capire che aria tira è lunedì a Lussemburgo, alla riunione mensile dei ministri finanziari dell’Eurogruppo cui parteciperà il ministro dell’Economia Giovanni Tria, mentre martedì c’è la riunione dei 28 ministri Ue.
L’asticella fissata al 2,4% potrebbe indurre l’Ue alla richiesta di ulteriori misure. “Non abbiamo alcun interesse ad aprire una crisi – dice il commissario agli Affari economici, Pierre Moscovici – ma non abbiamo neanche interesse a che l’Italia non riduca il suo debito, che resta esplosivo”. E poi: “se gli italiani continuano a indebitarsi, cosa succede? Il tasso di interesse aumenta, il servizio del debito diventa maggiore. Gli italiani non devono sbagliarsi: ogni euro in più per il debito è un euro in meno per le autostrade, per la scuola, per la giustizia sociale”. Il governo giallo-verde però la pensa diversamente: “Sono molto confidente sul fatto che quando i mercati potranno conoscere nei dettagli la nostra manovra – dice il premier Giuseppe Conte – lo spread sarà assolutamente coerente con i fondamentali della nostra economia”. Secondo Prometeia invece la scelta al 2,4% non avrà alcun effetto positvo sulla crescita. Per gli economisti di Bank Of America infine non è tanto importante concentrarsi sul numero del rapporto deficit/pil, ma capire a fondo sulla base di quali numeri è costruito in termini di attese di entrate e uscite.”Un credibile 2,4% – scrivono – è meglio di un 1,16% su ipotesi irrealistiche. Certo il rischio è quello che, quando i dettagli arriveranno, si scoprirà che la combinazione sia la peggiore possibile: il 2,4% basato su ipotesi che difficilmente possono verificarsi”.