L’anno scorso, il 24 marzo, a Roma, 47 persone fra cittadini cinesi, filippini e italiani, furono arrestate dopo le indagini della Direzione distrettuale antimafia (Dda) durate sedici mesi. L’accusa principale era di traffico di droga, nello specifico metamfetamine (shaboo, yaba, ketamina), che venivano importate in Italia e inviate all’estero; ma anche sfruttamento della prostituzione con annessi e connessi.
La notizia non era straordinaria dal punto di vista della cronaca nera, ma fece scalpore perché le forze dell’ordine erano state aiutate nel blitz dal primo pentito cinese: mai accaduto prima.
Che aveva raccontato “di una solida struttura criminale di tipo associativo, gestita da cittadini cinesi, attiva nel traffico nazionale e internazionale di metamfetamine.”
Mafia cinese: dai traffici del passato al dominio globale
La “solida struttura criminale” non poteva che essere la mafia cinese, meglio conosciuta nella letteratura del genere, come Triadi, che, per la maggior parte degli osservatori dediti a questo tipo di classifiche, si troverebbero al terzo posto nella lista delle cinque associazioni criminali più pericolose, ricche e potenti del mondo. Per la cronaca, essa viene dopo la mafia giapponese, la Yakuza, che svetta al primo posto, e i russi della Fratellanza, che arrivano secondi. Per chi fosse interessato, gli italiani della ‘ndrangheta si troverebbero al quinto posto, dopo i cartelli messicani.
Delle Triadi e il loro peso nel mondo criminale e no, qualche settimana fa, è tornato a parlare Jean-Paul Mari, uno dei più brillanti giornalisti francesi, intervistando su Lejournal.info, Antoine Vitkine, noto documentarista per le tv d’oltralpe, che sull’associazione criminale cinese ha condotto un’inchiesta durata due anni e mezzo trasformata poi in tre film.
La prima cosa che viene fuori dalla conversazione fra i due professionisti è che ovunque ci sia una diaspora cinese ci sono anche le Triadi. E da sempre.
Nel XIX secolo quando i cinesi sbarcavano negli Usa per lavorare, per esempio, coloro che li trasportavano e li alloggiavano, per poi sfruttarli, costringendo alla prostituzione le loro donne, fino a ridurli in schiavitù, erano le Triadi. E anche oggi sono ovunque, più o meno influenti in funzione della importanza della diaspora. Il porto di Vancouver, per esempio, in Canada, luogo di una forte diaspora, è diventato ormai un bastione delle Triadi sulla costa ovest americana, dove i mafiosi fanno arrivare il Fentanyl, una droga trenta volta più forte dell’eroina, i cui componenti sono fabbricati in Cina, poi esportati in Canada e in Messico, dove i cartelli li trasformano in laboratorio, per poi trasportarli e venderli negli Usa.
Perché si chiamano Triadi?
Vitkine ricorda che il nome era stato inventato a Hong Kong dai coloni britannici, alla fine del XIX secolo. In realtà con esso gli inglesi volevano semplicemente definire le centinaia di “società segrete”, tipo massoneria, che, nate nella Cina del XVII secolo per rovesciare (senza successo) la dinastia Qing (1644-1911), continuavano a rappresentare nuclei di mutuo soccorso familiare e di clan alternativi allo stato. Fino a diventare poco alla volta veri e propri centri di potere che avevano come unico obiettivo, al di là dei mezzi usati, quello di arricchirsi.
Rappresentava tali “società segrete” un triangolo equilatero, emblema dell’armonia fra “cielo, terra, uomo”, il simbolo sul quale gli affiliati ancora oggi giurano al momento dell’iniziazione.
Folclore ovviamente, che, come per le altre mafie, copre solo violenza e affari sporchi.
Quali sono gli affari di oggi della mafia cinese?
Come viene spiegato nei documenti che si occupano dell’argomento, alla base del potere delle “Triadi” c’è tutto l’armamentario delle criminalità di ogni latitudine: la gestione del traffico clandestino di connazionali e lo sfruttamento della forza lavoro, estorsioni, traffico di tabacchi ed eroina, contraffazione di marchi, dal settore tessile a quello elettronico. Con il passare del tempo si sono aggiunti il gioco d’azzardo, il riciclaggio di denaro sporco, lo sfruttamento della prostituzione e la speculazione nel settore immobiliare, “attività sostenuta dalle immense risorse finanziarie che consentono ai mafiosi l’acquisto di esercizi commerciali anche a un prezzo superiore rispetto a quello reale, estromettendo di fatto la concorrenza e creando vere e proprie enclave di cinesi”.
Di recente acquisizione – si legge ancora nelle ricerche – “è il riciclaggio di rifiuti tossici, esportati illecitamente verso la Cina e trasformati in plastiche per oggettistica (tra cui giocattoli), da rivendere sul mercato europeo; quest’ultima attività è condotta in sinergia con le mafie italiane, con le quali, più che in passato, i clan cinesi hanno stretto affari”. La ‘ndrangheta in primo luogo.
Se gli affari della criminalità si somigliano un po’ tutti, ciò che fa la differenza dei cinesi con le altre mafie, con Cosa Nostra in primo luogo, sembra essere soprattutto il fatto che non esiste una Cupola dalla quale dipende tutta l’organizzazione. Si tratterebbe in realtà di un’organizzazione decentrata, liquida, in cui ognuno gruppo fa repubblica a sé. Almeno secondo le conoscenze che si hanno al momento.
A Hong Kong, per esempio, che rimane la base di questa mafia, sono stati censiti 58 gruppi di Triadi, alcuni dei quali non solo altro che bande di strada, ma altre, come “Sun Yee On”, “14K” e “Wo Shing Wo”, le prime tre per peso, ricchezze e violenza, raggruppano migliaia di affiliati. E ciascuno gruppo segue le proprie leggi e i propri interessi, senza rispondere a un’entità tipo Cupola, come accennato.
A Taiwan invece ce ne sono 300 di gruppi, che vanno dai 15 ai 3.000 componenti.
Cosa curiosa a Taiwan, al contrario di Hong Kong e nel resto del mondo, le Triadi non sono illegali, come racconta sempre Vitkine.
Nel senso che viene perseguita l’attività criminale, ma non l’associazione.
Così, il padrino dei padrini dell’”Alleanza celeste”, una delle tre più importanti organizzazioni mafiose, chiamato il “tiranno di ferro”, nel documentario può presentarsi in quanto presidente della Triade, pur avendo trascorso la metà dei suoi anni in prigione e di tornarci quattro giorni dopo l’intervista.
Le Triadi e i loro ambigui rapporti con il regime cinese
Tutto risale alla storia stessa dell’isola di Taiwan e dei rapporti che si sono instaurati con il tempo con la politica cinese.
I tre principali gruppi mafiosi presenti – “Bambù unito”, “I Quattro Mari” e la citata “Alleanza celeste” – si rivelano essere gli eredi di una vecchia Triade, la “Banda verde”, proveniente da Shangai, la quale ebbe un ruolo importante nella guerra civile cinese (1927-1950), in quanto espressione del Kuomitang, il partito nazionalista cinese, i cui capi Chiang Kai-shek e Sun Yat-sen, secondo alcuni, erano essi stessi affiliati. Nel 1927 gli affiliati della “Banda verde” contribuirono al massacro di 5.000 scioperanti comunisti di Shangai; e 92 anni dopo, nel 2019, a Hong Kong, hanno dato una mano a Pechino per disperdere il movimento degli Ombrelli, quelle gigantesche manifestazioni di cinesi “diversi” che volevano mantenere il proprio sistema democratico contro quello totalitario, una volta che la regione, come prevedevano gli accordi, nel 1997 era stata lasciata dalla Gran Bretagna e tornata alla Cina. Erano loro, la manovalanza delle Triadi a massacrare di botte i manifestanti. La violenza dell’attacco li terrorizzerà talmente tanto che a poco a poco la mobilitazione si spegnerà. E oggi Pechino può influenzare la politica di Hong Kong più o meno senza problemi sebbene qualche tizzone ardente resti sotto la cenere.
E in Cina? Qual è il posto delle Triadi a Pechino e dintorni? Quali sono i loro rapporti con il potere di Xi Jinping e il Partito comunista cinese?
È la domanda che scorre lungo tutti i tre film di Vatkine il quale espone due aspetti di quel rapporto.
Innanzitutto, è vero che Pechino teme le Triadi perché sono criminali, perché fanno concorrenza nella gestione del potere e per la loro capacità di destabilizzazione. Ma nello stesso tempo le Triadi sono molto utili al potere comunista per la loro influenza a Hong Kong e a Taiwan.
Da qui l’atteggiamento ambivalente di Xi Jinping: capisce il pericolo della criminalità e della corruzione, e quindi un po’ reprime le Triadi; ma le usa a Hong Kong, come nel caso delle manifestazioni degli Ombrelli, o altrove se serve, a secondo dei bisogni del momento. A Taiwan, per esempio, le Triadi vengono temute tanto che qualcuno arriva a considerarle la quinta colonna di Pechino perché – calcolano – se la Cina decidesse di attaccare l’isola potrebbe mobilizzare 3 brigate di mafiosi, cioè fra i 16 mila e i 24 mila uomini, tutti ben armati in una società in cui i 23 milioni di Taiwanesi non hanno accesso alle armi se non sono militari.
E in Italia? Che potere hanno nel nostro paese i mafiosi cinesi?
Intanto partiamo dai numeri: la comunità cinese conta nel nostro Paese circa 300mila persone, che la colloca in terza posizione tra quelle principali residenti non comunitarie, dopo quella marocchina e albanese. Hanno scelto essenzialmente di vivere in Lombardia dove è presente la più grande comunità cinese in Italia, circa 41 mila persone, pari al 15% della diaspora nel nostro Paese. Poi ci sono la Toscana e il Lazio. È una vecchia migrazione, arrivarono nel 1918, provenienti dalla Francia dove avevano lavorato nelle fabbriche destinate ai prodotti bellici.
E per tornare alle Triadi in Italia sono considerate, nei Dossier della Direzione investigativa antimafia (Dia) e del Servizio centrale di investigazione sulla criminalità organizzata (Scico), come la Quinta mafia e, specchio della diaspora, operano soprattutto in Lombardia, Toscana, Lazio e Emilia-Romagna.
Hanno iniziato, come in altri paesi, con le loro storiche attività, dalle estorsioni al traffico di rifiuti tossici fino al riciclaggio del denaro, come i loro “colleghi” italiani con i quali, come già accennato, per ora c’è solo collaborazione.
A questo le Triadi aggiungono la colonizzazione delle città attraverso l’apertura di esercizi commerciali e ristoranti dove inseriscono spesso e volentieri personale taglieggiato e costretto a lavori gravosi e umilianti.
Quindi una riflessione per concludere: ognuno di noi conosce nella propria città un negozio cinese dove vendono di tutto e a buon prezzo; o un artigiano cinese che è sempre a disposizione non conoscendo nessun tipo di feste. Ci chiediamo se non sarà difficile d’ora in avanti, quando entriamo in uno di questi locali o chiediamo di fare alla sarta cinese un orlo al pantalone di domenica pomeriggio, non pensare che siano così disponibili perché sono vittime di un gruppo mafioso.
Ovviamente non ne avremo mai le prove. Pentiti a parte.