«La mafia non è affatto invincibile, è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine», diceva Giovanni Falcone. Con l’arresto di Matteo Messina Denaro dopo trent’anni anni di latitanza, lo Stato ha inflitto a Cosa Nostra un colpo durissimo che forse non l’ha uccisa, ma sicuramente le ha aperto una ferita profonda. «Forse possiamo dire che la Cosa Nostra del passato è morta. La Cosa Nostra strutturata, quella dei corleonesi non esiste più», spiega a FIRSTonline Marcelle Padovani, giornalista francese che da quarant’anni racconta la mafia e l’antimafia in Italia, analizzandola da una prospettiva particolare. La prospettiva di chi ha conosciuto da vicino servitori dello Stato che alla lotta alla mafia hanno dedicato la loro vita e l’hanno persa. Come Giovanni Falcone, che insieme a Padovani scrisse “Cose di Cosa Nostra”, un libro diventato icona dell’antimafia e testamento professionale del giudice ucciso a Capaci il 23 maggio del ‘92. Proprio a lui, la giornalista ha dedicato un secondo libro “Giovanni Falcone, trent’anni dopo” pubblicato nel 2022.
Con Marcelle Padovani abbiamo parlato del passato e del futuro della mafia e degli effetti che l’arresto di Matteo Messina Denaro potrebbe avere su Cosa Nostra.
Giovanni Falcone, nell’iconico libro “Cose di Cosa Nostra” scritto in collaborazione con lei, dice che “in Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere”: cosa ha pensato quando ha saputo della cattura di Messina Denaro, dato il suo ruolo nella strage di Capaci dove il giudice perse la vita?
«La prima cosa a cui ho pensato è che quando si parla di mafia i “trent’anni” sono diventati una scadenza memorabile che ricorre sempre più spesso. Lo scorso anno abbiamo celebrato l’anniversario dei trent’anni dall’assassinio del giudice Giovanni Falcone. Sono passati trent’anni dall’arresto di Totò Riina, il 15 gennaio del ‘93, e adesso festeggiamo la fine della latitanza di Messina Denaro, conclusasi anch’essa dopo trent’anni».
Sulla sua figura sono state costruite storie che in certi casi sfociano persino nella leggenda. Ma chi è, davvero, Matteo Messina Denaro?
«È un personaggio che ho sempre ritenuto interessantissimo, perché totalmente in contrasto con il tradizionale ritratto del boss mafioso, soprattutto con quello del padrino corleonese. Sotto il profilo fisico Messina Denaro è longilineo, allenato, tiene alle apparenze. Ma è soprattutto un uomo di cultura. Nelle lettere scambiate tra il 2004 e il 2006 con l’ex sindaco di Castelvetrano, Antonino Vaccarino, che firmava, su suggerimento dello stesso Messina Denaro ,”Tuo Svetonio” col nome del celebre storico romano, il latitante Matteo rivendicava come suo scrittore di riferimento il romanziere francese Daniel Pennac. Il suo livello culturale è distante anni luce da quello di boss come Totò Riina e Bernardo Provenzano, ma questo non gli ha comunque impedito di diventare un criminale e di far parte della criminalità organizzata. Dalla sua figura arriva inoltre la conferma del fatto che il boss mafioso viene protetto dal suo ambiente, là dove ha le sue radici. È una cosa che mi colpisce molto. Messina Denaro era totalmente immerso nel territorio trapanese, godeva della solidarietà non solo della borghesia mafiosa, ma anche della popolazione. E non è un caso che sia stato preso a Palermo, vicino ma allo stesso tempo distante da Trapani. Appena è uscito dal suo ambiente sono riusciti ad arrestarlo. Un terzo aspetto da considerare quando si analizza la figura del boss è che è stato lui a cambiare il mood e le scelte di Cosa Nostra, trasformandola in un’associazione economica e imprenditoriale».
Si riferisce alla fine della strategia stragista e all’inizio di quella che viene chiamata Mafia Spa?
«Da anni Messina Denaro investiva nella green economy, nell’eolico, nel turismo, ma faceva anche veri e propri investimenti finanziari. Era già l’incarnazione di quello che da decenni si pensava dovesse diventare Cosa Nostra: una mafia economica, inserita nel capitalismo. Ma soprattutto una mafia che ha abbandonato la strategia sanguinosa, gli attentati. Basti pensare che nel 1981 solo a Palermo ci sono stati più di 100 morti per mafia. Oggi saranno in tutta la Sicilia 4 o 5 in un anno. Questo è un parametro importante per valutare come è cambiata Cosa Nostra negli anni. Con Messina Denaro comincia la Mafia Business, è un cambiamento che Cosa Nostra fa per sopravvivere. Gli attentati a Falcone e Borsellino, la strategia delle stragi non hanno sconfitto lo Stato, hanno sconfitto Cosa Nostra. La linea corleonese è stata la sua morte. A quel punto la mafia siciliana si è resa conto che per sopravvivere doveva fare qualcosa di diverso. Ed è in quel momento che Messina Denaro ha traghettato Cosa Nostra verso gli affari e l’economia».
E cosa diventerà adesso Cosa Nostra dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro?
«È difficile dirlo. Forse possiamo dire che la Cosa Nostra del passato è morta. La Cosa Nostra strutturata, quella dei corleonesi, che abbiamo conosciuto grazie alle confessioni di Tommaso Buscetta, non esiste più. Il “contro Stato”, l’organizzazione formata dalla commissione, dalle province e dai capi mandamento che lui ha descritto è finita. La nuova mafia è qualcosa di diverso e possiamo identificarla soprattutto con la ‘Ndrangheta e la Camorra, cioè con delle organizzazioni meno strutturate, meno rigide, ma più attente al profitto. Non vogliono distruggere lo Stato, ma cercano di avere un rapporto con esso che permetta loro di fare profitto. Questa nuova “politica mafiosa” sotto un certo punto di vista è positiva perché evita i morti e le stragi, dall’altro però rende la situazione ancora più complessa perché crea un problema serio che coinvolge le imprese e le amministrazioni. Parliamo di realtà in cui c’è già una tendenza all’illegalità che si manifesta nell’evasione fiscale, nelle fatture false, nella corruzione. L’arrivo dei mafiosi, che sono esperti in queste pratiche, potrebbe avere un’incidenza sulla natura stessa dell’economia. Questo non siamo ancora in grado di appurarlo, ma ci dobbiamo porre il problema perché si tratta di un fenomeno che può avere effetti importanti sulle società e sulle economie occidentali».
Lei ha sostenuto più volte che il metodo Falcone, basato sulla meticolosa ricerca dei flussi di denaro in capo ai mafiosi, sia più valido che mai: l’arresto di Messina Denaro può essere ritenuto una controprova?
«Assolutamente sì. Falcone aveva capito da buon investigatore empirico e pragmatico qual era che la chiave era il denaro. Lui non era ideologizzato, anzi aveva una curiosità “da vicino di casa” nei confronti di Cosa Nostra che derivava dalla sua esperienza diretta. Aveva vissuto in un quartiere dominato dai mafiosi, spesso tra gli inquisiti si è ritrovato persone che giocavano con lui quand’era bambino. Avendo avuto questo rapporto culturalmente privilegiato, ha cercato di capire qual era il metodo più serio per sconfiggere l’adesione culturale a Cosa Nostra e per reprimere efficacemente il fenomeno mafioso. Essere efficaci significava essere precisissimi nelle indagini. Chi lavorava con lui era stupefatto dalle sue richieste. L’attuale procuratore di Roma Francesco Lo Voi ha raccontato di essere rimasto a bocca aperta di fronte alle cose che Falcone gli chiedeva di controllare sotto il profilo matematico, statistico, finanziario. Ed è grazie a questo metodo che si è arrivati al Maxiprocesso e alle condanne durissime inflitte ai mafiosi. Grazie al suo modo di lavorare, Falcone ha potuto rivendicare di non aver mai dovuto rimettere in libertà nemmeno uno dei suoi arrestati. Tant’è che tutte le condanne del Maxiprocesso sono state confermate dalla Cassazione. E proprio dopo la sentenza finale, arrivata il 30 gennaio del ‘92, Cosa Nostra ha ucciso Salvo Lima e Giovanni Falcone».
Abbiamo parlato di come è cambiata Cosa Nostra negli anni. Le chiedo, invece, come cambia la lotta alla mafia dopo l’arresto di Messina Denaro?
«Tutti dobbiamo renderci conto e dare il giusto riconoscimento all’antimafia. In Italia c’è un’antimafia davvero formidabile, fatta di persone preparate, che hanno studiato approfonditamente la mafia. Nei Carabinieri, nella Polizia, nella Guardia di Finanza ci sono professionisti che sanno tutto sulla mafia e sulla lotta alla mafia. La qualità degli apparati investigativi italiani non ha eguali a livello internazionale. Lo stesso vale per l’apparato legislativo di contrasto al crimine organizzato. A me capita di parlare con magistrati tedeschi, svizzeri, francesi e tutti ammirano la capacità che l’Italia ha di sconfiggere legalmente la mafia. L’Italia non ha inventato tribunali speciali, espedienti che esulano dalle normali regole del processo penale, ma ha codificato il reato di associazione mafiosa. Ha adattato la sua legge al contrasto alla mafia, così come aveva fatto in passato con la lotta al terrorismo».
Torniamo a Messina Denaro, pensa che parlerà o si rinchiuderà nel silenzio?
«A favore della tesi che potrebbe parlare c’è il fatto che lui è una persona molto religiosa. Frequenta la Chiesa, ha un rapporto privilegiato con un prete di una parrocchia di Palermo. Il suo essere molto credente potrebbe indurlo a cercare un riscatto terreno e spirituale, avvicinandosi alla razionalità dello Stato e alla giustezza delle sue scelte. La cosa che mi sembra lo possa escludere è invece il fatto che è molto malato e che dunque potrebbe essere tentato di difendere il suo modo di vivere fino alla fine. Bisogna considerare infine che è possibile che non abbia sottomano il cosiddetto tesoro di Riina, sempre che esista davvero».
Che effetto avrà sull’immagine dell’Italia all’estero il colpo grosso della cattura di Messina Denaro?
«Un effetto estremamente positivo. La stampa anglosassone e quella tedesca hanno incensato l’Italia. Quella francese, contaminata da quella italiana, pur riconoscendo lo straordinario traguardo, è invece alla ricerca dei retroscena, si chiede cosa può esserci dietro. Nell’insieme l’immagine dell’Italia ne esce rafforzata e questo potrebbe avere un’influenza positiva anche sulle trattative che ci saranno a livello europeo sul PNRR, sugli aiuti, sul Patto di stabilità».