Nelle ultime settimane 19 Paesi hanno alzato barriere protettive sull’agricoltura per un importo pari al 17,3% delle calorie scambiate nel mondo, con evidenti riflessi sull’ascesa dell’inflazione. Ma, avverte il Pam (il programma alimentare delle Nazioni Unite), il peggio deve ancora arrivare. Complice, naturalmente, l’invasione russa dell’Ucraina, che ha messo a rischio semine e raccolti di una delle aree più fertili del pianeta, con effetti drammatici per Africa e Medio Oriente, i principali clienti dei milioni di tonnellate (per ora più di 20, presto almeno il doppio) di grano, mais e girasole che, causa la guerra, non potranno viaggiare sulle rotte del Mar Nero. Per la Fao il blocco dell’export mette a rischio i consumi alimentari di 47 milioni di poveri nel sud del Mondo.
E così, sul piano economico, accanto alle conseguenze per l’embargo dell’energia, si apre un altro fronte, quello della fame. potenzialmente assai più drammatico e pericoloso, che potrebbe innescare nuove ondate migratorie verso l’Europa, come già ipotizzato dal Fondo Monetario.
Intanto, nell’attesa di trovare in tempo un correttivo alla situazione, i prezzi delle merci agricole, già sotto pressione per l’aumento dell’energia, sono lievitati: la tonnellata di grano tenero è salita da 294 euro alla vigilia dell’invasione a 390 euro il 3 maggio, quella di mais da 265 a 349. Ma l’aumento dei prezzi non finisce nelle tasche dei produttori, stremati dall’aumento dei prezzi di fertilizzanti, legati a doppio filo a quelli del gas naturale, e mangimi: in Argentina, altro granaio del mondo, molti produttori minacciano di non procedere alla semina perché i costi (+55% in dollari) sono insostenibili.
L’Ucraina granaio del mondo: i segreti del boom
Va così in pezzi un altro traguardo dell’economia globale, forse uno dei successi più eclatanti del mondo uscito dalla fine della Guerra Fredda. Nel corso degli ultimi dieci anni il volume dei cereali esportati da Kyiv è cresciuto di tre volte fino a rappresentare il 12% del mercato mondiale del grano, il 16% del mais, il 18% dell’orzo, il 20% della colza ed il 50% dell’olio di girasole. “L’anno scorso abbiamo prodotto 106 milioni di tonnellate di grano, il nostro record storico – ricorda Nykolay Gorbachov, presidente degli industriali del settore – e ne abbiamo esportato il 70%”. Mete principali l’Egitto, l’Indonesia, la Turchia ed i Pakistan. Ma altri Paesi, verdi Libano, Libia, Yemen e Tunisia hanno un grado di dipendenza superiore al 90%.
Il boom dell’agricoltura ucraina è il frutto della rapida trasformazione del sistema, negli ultimi anni passato dall’immobilismo sovietico all’integrazione sui mercati: il clima e la geografia favorevoli si sono combinati con un’organizzazione del lavoro efficiente alimentata dai capitali in arrivo un po’ da tutte le parti, attratti dai rendimenti in costante ascesa: il 25% in più nel solo 2021. E così si spiegano i massicci investimenti dei fondi sovrani, da quello dell’Arabia Saudita (125 mila ettari) alla cinese Cofco (800.000 ettari) fino a partecipazioni rilevanti di fondi americani, svedesi, olandesi, francesi, turchi e altri ancora. Merito di un basso costo del lavoro, ma anche dell’effetto della riforma agraria che distribuito la terra ai contadini che l’affittano ai grandi gruppi in cambio di investimenti e di una parte degli utili.
Il sistema funziona. Anzi, negli ultimi anni ha preso velocità con l’utilizzo dei droni (gli stessi oggi impiegati dall’esercito), forti investimenti nella logistica lungo il territorio (1.200 super silos per la conservazione dei raccolti) e nelle stretture portuali del mar Nero, lo sbocco ideale, economico e (un tempo) sicuro per esportare le soft commodities. Insomma, un sistema in crescita. “Ho la sensazione – spiega a Le Monde un operatore francese del settore – che proprio il successo della trasformazione capitalista dell’agricoltura ucraina abbia convinto Putin a muoversi adesso, prima di perdere la possibilità di far valere la forza russa”. Oggi questa formidabile macchina produttiva viaggia a mezzo servizio.
L’Ucraina spera di produrre il 60-70% del suo potenziale prebellico, grazie anche alla determinazione dei suoi contadini, memori dei racconti in famiglia sugli orrori dell’Holodomor, la grande fame del 1932-1933 imposta dalle privazioni del regime staliniano.
La crisi del mondo agricolo minaccia gli equilibri alimentari del pianeta
Il vero problema, ora, è di far viaggiare le merci e scongiurare i nuovi effetti della guerra che minaccia di far esplodere il protezionismo agricolo che già colpisce il mondo al di là delle catastrofi del Donbass. Piovono un po’ dovunque i divieti. L’Iran ha vietato l’export delle patate, la Turchia quello dei fagiolini. La penuria di olio di girasole ha spinto l’Indonesia a vietare l’export dell’olio di palma, il più comune sostituto per l’industria alimentare (ma anche per lo shampoo). Finora i governi hanno scelto così di difenderei consumatori rispetto ai produttori, assai meno potenti sul piano elettorale.
Si sono così poste, però, le premesse per una crisi del mondo agricolo che minaccia gli equilibri alimentari del pianeta. Secondo il Fondo Monetario, i 45 Paesi dell’Africa sub sahariana sono destinati a registrare un aumento dell’inflazione superiore al 12 % di qui a fine anno. Alcuni, ovvero 8 su 45, possono compensare le maggiori spese con i maggiori introiti derivanti da petrolio e gas naturale. Ma l’effetto positivo sarà solo parziale: molti Paesi, pur producendo petrolio debbono importare benzina a causa del fatto che non dispongono di impianti di raffinazione. E i maggiori costi della logistica, più l’aumento del costo del denaro che renderà più costoso (e difficile) ottenere nuovi fondi rendono la situazione davvero esplosiva.