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La guerra taglia il gas e spinge il carbone. E il disastro climatico si avvicina

Foto di NoName_13 da Pixabay

Più rinnovabili e nuovi passi avanti sull’efficienza energetica, ma molto più carbone al posto del gas reso carissimo dalla guerra in Ucraina. E l’ambiente ci presenta il conto, drammatico: diventa ancora più difficile, forse impossibile, rispettare l’obiettivo di limitare ad un massimo di 1,5 gradi il surriscaldamento al 2100 rispetto all’era preindustriale. I segnali vengono dai principali centri mondiali di analisi climatica e ambientale: nelle prossime settimane aggiorneranno ufficialmente le loro diagnosi ma qualcuno va in avanscoperta dipingendo uno scenario ancor più inquietante di quel che si sapeva e si temeva.

Qui da noi, nel Vecchio continente, il paradigma del disastro ce lo regala, si fa per dire, la Germania. Con un perfetto riassunto delle mosse contraddittorie che rischiano di accelerare il patatrac.

Un passo avanti e due indietro

Gli ingredienti? Eccoli: in Germania una spinta sostanziosa alle rinnovabili e all’efficienza energetica c’è eccome, ma viene più che annullata dal nuovo massiccio ricorso, ufficialmente “temporaneo” ma non si sa, proprio al combustibile più nefasto per l’effetto clima: il carbone. I cugini tedeschi ne hanno bruciato, per spingere le centrali elettriche e per continuare ad alimentare come hanno sempre fatto i tradizionali usi nei settori industriali più energivori come la siderurgia, quasi il 20% in più rispetto all’anno precedente. Per la verità non sono i soli: sempre in questo versante del mondo la Polonia ha bruciato il 12% di carbone in più, mentre nel resto del pianeta rimane il triste primato della Cina che da sola continua a trasformare in calore e anidride carbonica la metà di tutto il carbone mondiale, con l’India che segue sempre più a ruota dopo averne raddoppiato il ricorso dal 2007 ad oggi.

Qualche giustificazione viene davvero dall’emergenza gas? Sta di fatto che i nostri partner teutonici si sono comportati in maniera ben diversa da quello che abbiamo fatto noi nella produzione termoelettrica. In Italia, dove l’impatto dell’effetto clima è addirittura più evidente che in altre parti d’Europa, le vecchie centrali elettriche a carbone sono state praticamente chiuse, e quel poco che è rimasto è frutto di una drastica (e costosa) riconversione alle ultimissime tecnologie di disinquinamento del minerale nero, come nel caso della centrale laziale di Civitavecchia. I tedeschi hanno invece preferito mettere prudentemente in stand by molte delle loro centrali a carbone o addirittura a lignite. E per sostituire il gas sottoposto al salasso della guerra le hanno prontamente riattivate, più che annullando nel 2022 i buoni risultati che hanno peraltro ottenuto nell’efficienza energetica del settore industriale, accompagnata da un ottimo risultato della produzione fotovoltaica, aumentata del 23% rispetto al 2021 grazie all’entrata in funzione di nuovi impianti e ad un sole che nel periodo è stato più generoso.

E così la Germania – come rimarca il think tank Agora Energiewende – ha clamorosamente mancato tutti gli obiettivi climatici prefissati per lo scorso anno, emettendo ben 150 milioni di tonnellate di CO2 rispetto ai 139 milioni di tonnellate previste dalle norme sulla protezione del clima che dovevano garantire l’allineamento agli obiettivi internazionali. Questo nonostante l’effetto combinato tra la maggiore efficienza del settore industriale e la stretta ai consumi determinata proprio dal caro gas abbiano determinato una diminuzione del 5% dei consumi complessivi.

Il nuovo altolà dalla Ue

Ad anticipare il nuovo warning planetario che senz’altro verrà nelle prossime settimane da tutti i più quotati analisti e intanto il rapporto dell’osservatorio sul clima della Commissione europea, il Copernicus Climate Change Service (C3S) nel suo rapporto sul 2022 che conferma tutti i segnali che circolano già da settimane: la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera 2022 ha raggiunto livelli che non si registrano da tempi praticamente immemorabili da quando il globo ha attraversato i suoi grandi passaggi epocali tra le glaciazioni e il ribollire delle altre ere geologiche. Con un triste record, che non si raggiungeva da almeno 2 milioni di anni, nel 2022 la concentrazione media di CO2 nell’atmosfera ha segnato 417 parti per milione (ppm), oltre due in più rispetto al 2021. Record storico a memoria d’uomo battuto anche per la concentrazione media del metano in atmosfera, arrivato sulla soglia dei 1900 parti per miliardo, oltre 10 in più rispetto all’anno precedente. A conferma che anche il gas naturale, da quasi tutti indicato come carburante di transizione verso l’energia pulita che verrà, va comunque maneggiato (e consumato) con la dovuta cura.

Anche l’Oceano si ribella

Nel frattempo segna un nuovo record anche i riscaldamento degli oceani, come rimarca qui in Italia l’ENEA citando lo studio Another year of record heat for the oceans appena pubblicato sulla rivista Advances in Atmospheric Science, realizzato da un team internazionale di 24 ricercatori tra cui due italiani: Simona Simoncelli dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e Franco Reseghetti dell’ENEA. Nel 2022 l’indice di calore dell’oceano (OHC, Ocean Heat Content) tra la superficie e i 2000 metri di profondità è aumentato rispetto al 2021 di circa 10 Zetta Joule (ZJ). Un valore equivalente “a circa 100 volte la produzione mondiale di elettricità del 2021, circa 325 volte quella della Cina, 634 volte quella degli Stati Uniti e poco meno di 9.700 volte quella dell’Italia”.

Le conseguenze? Drammatiche: un aumento della stratificazione, ovvero “ovvero la separazione dell’acqua in strati che può ridurre fino ad annullare il rimescolamento e gli scambi tra la superficie e le zone più profonde” con un aumento anomalo della salinità nelle zone già salate e al contrario una diminuzione nelle aree già relativamente dolci, alterando “il modo in cui il calore, il carbonio e l’ossigeno vengono scambiati tra l’oceano e l’atmosfera”. Nascono anche da qui molti degli gli sconvolgimenti climatici che modificano la biodiversità marina “inducendo ad esempio specie ittiche importanti a spostarsi, provocando situazioni critiche nelle comunità dipendenti dalla pesca e la loro economia” e soprattutto contribuiscono non poco alla crescita di quelle “anomalie a livello meteorologico” all’insegna dell’alternanza tra lunghe siccità e improvvise alluvioni che tanti problemi ha creato negli ultimi mesi anche al nostro paese.

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