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La guerra degli occhiali rilancia il private equity tricolore

Il colosso EssilorLuxottica, l’avanzata dei cinesi, la vicenda Safilo-Dior e i marchi del lusso sempre più concentrati in Kering e Lvmh: tutto indica una polarizzazione del business. Ma c’è ancora spazio per buoni affari…

La guerra degli occhiali rilancia il private equity tricolore

L’industria italiana, ha scritto Giuseppe Berta, oggi è chiamata a “ballare alla musica che suonano gli altri”. Ovvero “può offrire soltanto segmenti delle proprie produzioni alle condizioni stabilite dai soggetti che hanno in mano le chiavi del mercato finale”. Insomma, per poter prosperare (o anche solo resistere) è “necessaria un’estrema flessibilità e capacità organizzativa. Ce la faremo? Non so”. Parole che si adattano bene alla realtà dell’industria degli occhiali, un’eccellenza del made in Italy, grazie a Luxottica ma anche ad una miriade di artigiani/industriali del Nord-Est.

Anche qui l’anno che si è chiuso ha portato grandi novità: la fusione Essilor-Luxottica che ha lasciato aperte tante questioni in tema di governance tra Leonardo Del Vecchio e i soci francesi in vista della resa dei conti ad aprile; l’affondo di Lvmh che ha dato il via con Marcolin ad una joint-venture, di nome Thelios, in cui si accinge a concentrare le iniziative nel settore di tutti i suoi marchi, a partire da Dior, con grave danno per Safilo, che, per rimediare al divorzio con Dior, si sta sottoponendo ad una drastica cura dimagrante, segnata dal taglio di 700 posti di lavoro tra Martignacco (Udine) e Longarone. La debolezza strutturale del capitalismo italiano, insomma, si fa sentire anche in uno dei settori in cui, all’apparenza, è più forte.

Ma non è il caso di fasciarsi la testa, ci insegna una case history che dimostra come il Bel Paese non sia votato alla resa. Merito di un private equity tricolore, Ethica Global Investments, promosso da un pool di imprenditori, una trentina circa, che hanno unito le loro forze per valorizzare le eccellenze manifatturiere italiane, quelle che spesso coprono la produzione di componenti che nessun altro sa fare meglio di noi. “Siamo un private equity un po’ particolare – spiega l’amministratore delegato Ruggero Jenna – Ci interessa il profitto, naturalmente. E non è escluso che prima o poi venderemo alcune partecipate. Ma ci interessa un discorso industriale a lungo termine”, in diversi settori: dall’automotive (il 73% della Osar di Robassomero), al settore idrosanitario (la Gia di Trecate). Ma l’impresa più ambiziosa, almeno per ora, riguarda la componentistica degli occhiali.

Ethica Global Investments ha acquisito, tramite aumento di capitale, il 40% circa di Elledue, holding di controllo di Ideal (già in concordato, un centinaio di dipendenti a Quero nel bellunese), attiva nell’ingegnerizzazione e produzione di componenti di minuteria metallica per occhiali, e di Biemme (60 dipendenti a Valdobbiadene), leader nelle finiture superficiali, galvanica e verniciatura per l’occhialeria. L’operazione è stata realizzata tramite un aumento di capitale dedicato, finalizzato al rafforzamento patrimoniale, nonché a sostenere il rilancio e la crescita delle due società operative. Gli altri azionisti di Elledue sono Giuliano Casanova, precedente proprietario della Biemme con il 20%, e un gruppo di investitori privati che detengono il restante 40%. Il nuovo Gruppo esprimerà nel 2019 un fatturato consolidato di circa 14 milioni di euro e si propone importanti obiettivi di crescita interna ed esterna per il futuro. Il programma prevede infatti di salire ad un giro d’affari di 30 milioni in un paio di anni, diventando così uno dei fornitori leader dell’occhialeria di qualità.

Il mondo degli occhiali – continua Jenna – si sta polarizzando: da una parte i prodotti sotto i 100 euro, per lo più cinesi, che non possono permettersi componenti di qualità. Dall’altra gli occhiali dai 150 euro in su sempre più sotto il controllo dei grandi del lusso, come Kering o Vuitton che si stanno riappropriando della produzione senza possedere una sola fabbrica ma distribuendo le commesse tra le varie aziende”. Insomma, anche qui il made in Italy opera ormai nell’ambito di strutture multinazionali.

Non è un dramma perché “lavorare per gli altri, gruppi internazionali in testa, può essere un ottimo affare”, spiega Jenna. E così “a fronte degli importanti cambiamenti nel settore dell’occhialeria, con le griffe che gestiscono direttamente le proprie produzioni abbiamo deciso di investire su una supply chain integrata in modo da assicurare ai clienti crescenti livelli di qualità, servizio e design. Oltre all’asset più importanti: l’affidabilità del servizio in un settore legato alla moda i cui i tempi di consegna sono determinanti”. Anche questo rende credibili l’impresa del private italiano, di cui fanno parte tra gli altri Francesco Sala e Nicola De Biase: diventare un leader del lusso senza delocalizzare.

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