Con Bradley Wiggins il record dell’ora torna nelle mani di una star del ciclismo mondiale. Non capitava dai tempi di Eddy Merckx. Se per il baronetto, che ha dato l’addio alla strada nell’ultima Roubaix, è il sigillo di una carriera che l’ha visto nel 2012 ai vertici assoluti, per il primato dell’ora è un detentore che ridà alla prova la popolarità di un passato lontano. Pur essendo l’affascinante sfida dell’uomo che pedala solo in un velodromo con l’obiettivo di coprire in 60 minuti la maggiore distanza possibile, questa prova era caduta nel dimenticatoio tra il disinteresse della gente anche per i nomi quasi sconosciuti di chi si cimentava. Si attendeva perciò la zampata di Wiggins e il primo britannico a vincere il Tour non ha deluso anche non ha superato la barriera dei 55 km.
Al Lee Valley VeloPark di Londra il Baronetto ha fatto segnare 54,526 chilometri dopo 219 giri, superando il precedente primato del connazionale Alex Dowsett fissato a 52,937 km il 2 maggio scorso a Manchester. Quello di Wiggins su Dowsett è il secondo miglioramento più ampio nella storia del record: i 1589 metri in più sono dietro solo al primato del francese Jules Dubois (38,220 km) stabilito nel 1894 ai danni dell’inventore della prova Henry Desgrange (2895 metri in più). E’ anche la terza prova nella storia se si considerano anche i 9 primati stabiliti con le biciclette speciali: migliore di lui solo Christopher Boardman (56,375 km) e Tony Rominger (55,291 km). Era quella la stagione delle nuove bici – alcune autentici bolidi circensi – che sfruttando l’esplosione tecnologica degli anni Ottanta applicata al mondo dei pedali, avevano permesso di sfondare con Francesco Moser il tetto dei 50 km fino a scavalcare anche quota 56 con Chris Boardman nel settembre 1996 sulla pista di Manchester, l’Unione ciclistica internazionale (Uci), per rendere il record dell’ora una prova storicamente credibile e comparabile, all’alba del 2000 impose di tornare alla cosiddetta bicicletta di Merckx, sempre più evoluta ovviamente ma nel solco della tradizione, disconoscendo tre lustri di primati, considerandoli solo come “miglior prestazione sull’ora”.
Il record dell’ora tornava nelle mani di Eddy Merckx che lo aveva stabilito sulla pista di Città del Messico il 25 ottobre 1972 con 49,431 km. Ma la decisione dell’Uci di considerare i record stabiliti da Moser a Boardman, passando attraverso quelli di Obree, Rominger e Indurain, come semplice “miglior prestazione dell’ora” ebbe l’effetto di relegare quasi nel dimenticatoio questa prova che in passato aveva affascinato i più grandi corridori di ogni epoca. Tutto cominciò con Henry Desgrange, il patron fondatore del Tour, che a 28 anni a Parigi percorse per primo 35,325 km. Era l’11 maggio 1893. Per quasi 14 anni detenne il record anche Fausto Coppi, che il 7 novembre 1942 al Vigorelli di Milano alzò l’asticella del primato a 45.798 km. Una distanza che fu superata solo nel 1956 da un altro fenomeno del pedale, Jacques Anquetil che sul magico velodromo milanese, il 29 giugno, percorse 46,159 km. Non passarono tre mesi che il 19 settembre Ercole Baldini lo migliorò di 235 metri. Poi all’orizzonte apparve la stella di George Rivière, un francese che sembrava destinato a una strepitosa carriera ma che finì in un burrone nel Tour del 1960, un dramma che lo portò prima su una sedia a rotelle e poi a morire ad appena 40 anni. Una meteora luminosa che fece in tempo a sbriciolare due record dell’ora, nel secondo superando per prima la barriera dei 47 km all’ora. Era il 23 settembre 1959. La pista sempre quella di legno del Vigorelli. Il primato di Rivière durò fino al 1967 quando venne migliorato da Ferdinand Bracke, un belga, eccellente crono-man, che sul velodromo olimpico dell’Eur a Roma raggiunse i 48,093 km. Erano gli anni in cui stava emergendo un cannibale della forza di Eddy Merckx. Un campionissimo che vinceva tutto e che nel 1972 mise nel mirino il record dell’ora che nel frattempo era stato conquistato nel 1968 da un danese, Oleg Richter con 48,653 km. Merckx nel 1972, sfruttando anche l’aria rarefatta dell’altura di Mexico City, sbriciolò tutti i precedenti primati sfiorando i 50 km orari. Per superarlo ci vollero le prime ruote lenticolari, ovvero a disco pieno, di Moser oppure l’utilizzo sul manubrio di appendici da triathlon di Boardman.
Bici speciali, come quella che permetteva la posizione a uovo di Obree, che – come si è detto – vennero “bocciate” dall’Uci a partire dal 2000. Ma con le nuove regole la sfida perse attrazione e il record fu aggiornato solo due volte: il 27 ottobre 2000 da Christopher Boardman – che anche con una bici normale, prima di ritirarsi, seppe comunque segnare 49,441 chilometri superando dopo 28 anni Merckx – e il 19 luglio 2005 con Andrej Sosenka (49,700). Ma Negli anni Duemila, ad Andrej Sosenka (49,700 km nel 2005) hanno fatto seguito anni di silenzio. Fino al 2014, quando Jens Voigt (e un nuovo cambio nel regolamento che legittimava l’utilizzo delle bici da pista) ha riacceso l’interesse. Dal tedesco (51,115 km) in poi, negli ultimi 8 mesi, il record è stato battuto 3 volte: Mathias Brandle (51,850 km), Rohan Dennis (52,491) e Alex Dowsett (52,937 km). Da Desgrange a Dowsett, si sono aggiunti 17,612 km. Ma in questa corsa verso nuovi record mancava la griffe di un fuoriclasse. Mancava appunto Wiggins, che sognava di lasciare la sua firma come i grandi del passato. Il baronetto voleva superare il 55 km. Non ce l’ha fatta ma è convinto che la sua impresa – un’autentica tortura, come l’ha definita il ciclista inglese appena sceso dalla sua “Bolide hour record”, un progetto da 200mila firmato Pinarello – durerà comunque un ventennio. Un’affermazione che dovrebbe stuzzicare ancor più Fabian Cancellara, un altro big della strada che da tempo ha messo il record dell’ora nel mirino.