Il 3 ottobre di ventidue anni fa la Germania, appoggiata da Francia e Stati Uniti, otteneva di poter tornare unita sotto i colori di un’unica bandiera, quelli della Repubblica federale. Il passo in tale direzione, voluto fortemente dall’allora Cancelliere cristianodemocratico Helmut Kohl, si rivelò essere, qualche anno dopo, il prezzo che Berlino, più o meno consapevolmente, aveva pagato per la creazione di un’unione economica e monetaria con una banca centrale diversa (anche se istituita sul modello) della Bundesbank e, in ultima analisi, per l’abbandono del tanto amato marco. Il 3 ottobre del 1990 fu senz’altro una festa tedesca. Con gli anni ha assunto però sempre più il valore di una ricorrenza europea.
Senza quel passo, certo, probabilmente non ci sarebbe stata l’integrazione monetaria. Ma con quel passo, ricorda ora qualcuno dentro e fuori la Germania, si sono anche rafforzate le basi per un’integrazione sbilenca, con cambi fissi, un unico tasso di interesse, politiche economiche disomogenee, libertà di movimento dei capitali ecc. Se le premesse sono vere, bisogna allora ammettere che da almeno due anni, complice l’esplosione della crisi nell’Eurozona, festeggiare la riunificazione tedesca ha assunto un sapore a dir poco agrodolce; un sapore che, in Germania, è in grado, potenzialmente, di suscitare sentimenti revanscisti. Per evitare i quali, nel ventiduesimo anniversario di quell’evento, la classe dirigente della Repubblica federale riunificata ha voluto mettere in chiaro, ancora una volta, che, una più profonda integrazione europea è nell’interesse tedesco. Come dire, non è vero che fu un passo avventato abbandonare il marco, fu avventato, piuttosto, non procedere immediatamente, o comunque più velocemente, verso un’integrazione politica ed economica. E quell’errore, sembrano ricordare i politici tedeschi succedutisi sul podio della manifestazione ufficiale tenutasi quest’anno in Baviera, non l’abbiamo fatto (solo) noi. La Francia, in particolare, non volle andare oltre e i paesi mediterranei insistettero per essere ammessi a tutti i costi nel club, anche se non lo meritavano.
Quali che siano le colpe degli anni ’90, la classe politica tedesca sembra ora voler rimediare alle storture dell’architettura economica europea. Ma il rimedio, spiegano a Berlino, questa volta sarà tutto tedesco e saranno gli altri a dover seguire: unione politica, unione fiscale, ma solo con forti poteri di controllo, limitazioni alla libertà di trasportare i capitali all’estero e trasferimento di pezzi importanti di sovranità. La festa che dovrebbe celebrare la sovranità tedesca ricorda in realtà al resto d’Europa il sacrificio fatto dalla Germania più di vent’anni fa e mette di fronte i paesi dell’Euroarea alla realtà. Dopo aver sofferto le pene dell’inferno nei primi anni dopo l’introduzione dell’euro, la Germania non può ora permettersi un nuova disoccupazione a due cifre, né può permettersi di ereditare tante piccole Germanie dell’Est da risanare, né, ancora, vuole finire dritta in una bolla immobiliare come quella sperimentata in Irlanda e in Spagna negli scorsi anni. Questo Italia, Spagna e Francia devono averlo in mente.
E l’anniversario della riunificazione sta lì a ricordarlo. Abbiamo già dato, i sacrifici per raggiungere il nostro sogno li abbiamo fatti, non siamo disposti a lottare (perdendo altro denaro) per un’Europa che pochi paiono volere, sembrano voler dire i politici tedeschi ricordando quel tre ottobre di ventidue anni fa. Allora i cittadini tedeschi la riunificazione la volevano fin dal profondo dell’anima ed erano pronti ad ottenerla a tutti i costi. Al di là delle battute di Mario Draghi, non si può dire che l’elettorato europeo abbia oggi le idee così chiare.