L’entrata in vigore del nuovo “Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governante nell’Unione economica e monetaria” dà una base giuridica più robusta ai precedenti Regolamenti (i 6 che vanno sotto il nome di six-pack, in vigore dal 13 dicembre 2011; ed i successivi 2 che vanno sotto il nome di two-pack, e sono in vigore dal 30 maggio scorso). Tutte queste norme (un centinaio di pagine, con un’infinità di nuovi adempimenti!) che la Commissione aveva proposto nel novembre 2011, mirano a rinforzare ed estendere l’originario “Patto di stabilità e crescita” (Amsterdam, 1997).
Rappresentano per ora la principale reazione alla crisi dell’eurozona e misurano la diagnosi prevalente a Bruxelles sulle sue cause: non essere riusciti a prevenire squilibri macroeconomici dovuti soprattutto (ma non solo) a politiche di bilancio non compatibili con i vincoli posti dalla priorità attribuita alla stabilità monetaria.
Per evitare il ripetersi di tutto ciò, abbiamo quindi nuove procedure di sorveglianza e valutazione preventiva da parte della Commissione (two-pack) della politica economica dei Paesi membri e dei loro problemi (six-pack).
Per capire cosa succede questa settimana e in futuro, ricordiamo che entro il 15 ottobre scorso, ogni Paese ha presentato alla Commissione la propria “legge di stabilità 2014”. Il mese successivo, cioè venerdì 15 novembre la Commissione ha pubblicato le sue valutazioni. Che verranno discusse dai ministri dell’Eurogruppo il prossimo 22 novembre. L’obiettivo è che il processo di approvazione – nazionale e comunitario – con gli eventuali correttivi, termini entro il 31 dicembre.
L’importanza dei rilievi della Commissione sono diversamente rilevanti a seconda che il Paese stia rispettando il vincolo di bilancio del 3% (e l’Italia è tra questi); oppure sia in procedura per deficit eccessivo: in questo secondo caso, le raccomandazioni della Commissione sono vincolanti.
E la Germania cosa c’entra?
Il quadro della sua finanza pubblica non desta preoccupazioni. Ma si apre qui un altro capitolo: ai sensi del Regolamento 1176/2011 (il penultimo del six-pack) che riguarda la “prevenzione e correzione degli squilibri macroeconomici”, la Commissione ha predisposto (e pubblicato il 14 febbraio 2012) un “Alert Mechanism Report” che individua una serie di indicatori e relative soglie significative a dare un allarme preventivo di futuri squilibri macroeconomici da prevenire e se necessario correggere. E’ in questa tabella che figura – tra i tanti indicatori proposti – la soglia +6/-4% del PIL riferita alla bilancia corrente dei pagamenti. Ed è questo l’indicatore che ha fatto scattare – come indicato dalla Commissione UE il 15 novembre scorso, la necessità di un’analisi approfondita relativa alla Germania; ai sensi degli articoli 3 e 4 del Regolamento 1176/2011.
In conclusione, nessun giudizio è stato formulato sull’economia o sulla politica economica della Germania, ma solo l’attivazione di un “meccanismo di allerta”.
Come funzione l’economia tedesca
Molti commenti hanno invece già affermato che la Commissione condivide la preoccupazione USA di una Germania che presenta un imbarazzante surplus di partite correnti, cioè danneggia l’economia degli altri Paesi, per un eccesso di proprio risparmio (torna qui il riferimento al saving glut cinese, anni fa utilizzato per spiegare i guai dell’economia americana). Ma è vero tutto ciò?
A prima vista, le statistiche presentate dalle bilance dei pagamenti servono per misurare eccessi di spesa o di risparmio; e quindi gli impulsi (più o meno sostenibili) dati all’economia mondiale da ciascun Paese. Ma se guardiamo a come sta cambiando l’economia globale, ciò che è pur sempre vero a livello nazionale lo è di meno se ragioniamo in termini di filiere industriali (supply chains) e di proprietà multinazionali della produzione.
Sono tutti aspetti nuovi che cominciano solo ora ad essere studiati in modo approfondito.
Merita considerare due studi recenti sul nuovo ruolo della Germania: il primo (del settembre 2013) è della BIS e discute di “Global and euro imbalances: China and Germany”; il secondo (dell’ottobre 2013) è del Fondo Monetario Internazionale e definisce “The Germany-Central European Supply Chain”.
Nel primo studio, la differenza sia in termini reali sia in termini finanziari tra Cina e Germania è ben sottolineata. La possibilità di una procedura UE contro la Germania è ricordata, anche se si precisa che dalle analisi del FMI non risultano politiche tedesche “scorrette”, e che negli ultimi anni il surplus crescente della Germania, non è più nei confronti dell’area-Euro.
Lo studio del FMI misura invece la crescente integrazione tra l’industria tedesca e quella dei suoi paesi confinanti (Polonia, Ungheria; Repubblica Ceca, Slovacchia): la loro industria è complementare a quella tedesca e ne rappresenta l’offerta di componenti, destinati più a servire il mondo (come esportazioni tedesche) che la domanda interna tedesca. In altre parole, l’economia di questi Paesi soffrirebbe se la Germania puntasse a sostituire con domanda interna l’attuale crescita delle sue esportazioni.
Allegati: La Germania � troppo competitiva?