È davvero la fine di un’era. Da mezzanotte di sabato 15 aprile la Germania dirà definitivamente addio alla produzione di energia nucleare con lo stop dei suoi ultimi tre reattori. Per il partito Verde del Paese, si tratta di un sogno che si realizza da tempo. Nel frattempo, in Asia, l’energia nucleare sta vivendo una rinascita, nonostante il disastroso incidente di Fukushima nel 2011. Motivo per cui Angela Merkel, la seconda cancelliera più longeva della storia del paese, scelse di accelerare l’uscita dal nucleare.
Nonostante si tratta di una decisione annunciata già da tempo, la chiusura delle ultime tre centrali nucleari (Emsland, nello Stato settentrionale della Bassa Sassonia, il sito di Isar 2 in Baviera e Neckarwestheim, nel sud-ovest) sorprende molto gli altri Paesi. Perché Berlino, insieme ad altri stati europei, sta cercando di diversificare le sue fonti di approvvigionamento così da poter rendersi totalmente indipendente dal gas russo. La Germania è storicamente uno dei maggiori “clienti” della Russia, con il gas di Mosca che rappresentava circa il 55% dei consumi solo nel 2021. Ora la percentuale è scesa intorno al 16% ma solo perché la Russia ha parzialmente chiuso i rifornimenti in seguito alle sanzioni europee scattate con l’invasione dell’Ucraina.
Il dibattito sul nucleare ha diviso anche il governo tedesco
Lo stop però non sembra riguardare, il dibattito sul tema che ha animato il paese in questi 62 anni, anzi. La crisi energetica e la guerra in Ucraina lo hanno addirittura inasprito, dividendo anche le forze interne alla coalizione semaforo formata da socialdemocratici, verdi e liberali, che governa il paese. Nel loro accordo di coalizione – Spd, Verdi e Fdp – avevano concordato di attenersi all’abbandono del nucleare in Germania, di conseguenza, le ultime centrali nucleari avrebbero dovuto chiudere alla fine del 2022.
Ma l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha cambiato tutto, perché le forniture di gas russo alla Germania si sono interrotte e il governo temeva una carenza di energia. Il cancelliere Olaf Scholz decise di prolungare il periodo di funzionamento delle centrali fino al 15 aprile 2023.
Germania, addio al nucleare? Ma un terzo dell’elettricità viene dal carbone
È anche vero che il nucleare, nei primi tre mesi del 2023, ha contribuito al 4% del fabbisogno di elettricità del Paese contro il 51% delle rinnovabili come eolico e solare – in crescita costante – e il 28% del carbone (in aumento per compensare l’assenza di gas russo), la più inquinante delle fonti fossili: bruciando carbone, a parità di unità di energia prodotta, si ha un rilascio in atmosfera quattro volte più elevato di anidride carbonica rispetto all’uso del metano.
Il governo federale intende però accelerare sulle rinnovabili. L’obiettivo è raggiungere l’80% entro il 2030 e compensare l’offerta fluttuante di energia eolica e solare costruendo circa 50 nuove centrali elettriche a gas nella classe da 500 megawatt. Dovremo installare “da quattro a cinque turbine eoliche al giorno” nei prossimi anni per coprire il proprio fabbisogno”, ha avvertito il cancelliere Olaf Scholz. Ma riuscirà a centrare l’obiettivo?
Il nucleare in Europa: chi ha spento i reattori e chi vuole accenderli
Rispetto alla Germania, altri Paesi europei sono stati più rapidi nel dire addio all’energia nucleare. La Svezia ha fatto da apripista, ponendo fine all’energia nucleare poco dopo Chernobyl, così come l’Italia, che ha deciso di chiudere le sue ultime due centrali nucleari dopo il disastro. In Italia, la decisione è rimasta in vigore anche se spesso si è tornato a discuterne; in Svezia, l’eliminazione graduale è stata annullata nel 1996. Oggi, sei centrali nucleari producono circa il 30% del fabbisogno elettrico del Paese.
Altri Paesi europei, come i Paesi Bassi e la Polonia, hanno in programma di espandere i loro sistemi di energia nucleare, mentre il Belgio sta posticipando il suo previsto phase-out. Con 57 reattori, la Francia è sempre stata il primo Paese europeo per l’energia nucleare e intende continuare ad esserlo.
Complessivamente, 13 dei 27 Paesi dell’Ue intendono utilizzare l’energia nucleare nei prossimi anni, e alcuni di essi intendono espandere le proprie capacità.
Argomenti a favore dell’energia nucleare
Che l’atomo sia un tema estremamente divisivo non è una novità. L’Europa si è ritrovata spaccata in due di fronte all’autorizzazione della tassonomia per la finanza sostenibile. La Francia si è fatta promotrice di un’alleanza nucleare con altri 12 Stati – tra questi c’è anche l’Italia – per promuovere a gran voce il nucleare come una fonte di energia importante in vista della transizione ecologica, perché a zero emissioni.
Ma come può il nucleare essere annoverato tra le fonti di energia rinnovabile? In realtà, a essere compreso nella direttiva non è direttamente l’energia prodotta dalla fissione nucleare ma l’idrogeno a basse emissioni di CO2, prodotto da elettrolisi. Che a sua volta può essere alimentata, secondo Parigi, dall’energia nucleare.
Mentre la Germania dice addio al nucleare, l’Asia espande la sua capacità
Ciononostante, Cina, Russia e India in particolare stanno progettando la costruzione di nuove centrali nucleari. La Cina, che produce già più energia nucleare della Francia, vuole costruire altre 47 centrali.
Anche il Giappone vuole tornare a produrre più energia nucleare, nonostante il terremoto del 2011 abbia causato la rottura di diversi reattori nucleari in successione, provocando una serie di esplosioni con fughe radioattive. Dopo quel disastro tutte le centrali nucleari giapponesi furono fermate per effettuare controlli e adeguare i protocolli di sicurezza.
Da allora, però, alcuni reattori sono stati rimessi in funzione. Ora il governo giapponese ha deciso: Il Paese, povero di risorse, vuole costruire nuovi reattori e lasciare in funzione quelli vecchi fino a 70 anni. “Dobbiamo sfruttare appieno l’energia nucleare”, ha dichiarato di recente il Primo Ministro Fumio Kishida. Tuttavia, l’industria nucleare giapponese al momento si trova a fronteggiare una carenza di ingegneri nucleari, di aziende specializzate e di materiali, che rendono il ritorno all’operatività abbastanza complesso.