L’intelligenza artificiale è ormai una realtà talmente consolidata e pervasiva da essere entrata nella nostra quotidianità senza che neanche ce ne accorgessimo: usiamo applicazioni di assistenza virtuale, consultiamo le raccomandazioni personalizzate degli algoritmi di streaming, paghiamo con la carta al supermercato e questo pagamento viene valutato dall’Ia e via dicendo. “Questa ubiquità segna un punto di transizione significativo, poiché la tecnologia continua a evolversi e ad influenzare in modo sempre più profondo la nostra vita di tutti i giorni”, spiega l’Osservatorio sui conti pubblici guidato da Gianpaolo Galli nella sua indagine dal titolo “Intelligenza Artificiale: cos’è e dov’è”. Lo studio si concentra sul profilo economico e imprenditoriale dell’intelligenza artificiale e dall’analisi emerge che a dominare il panorama dell’Ia sono gli Stati Uniti, anche se l’Europa si “difende bene”. E l’Italia? È molto indietro, eccezion fatta per il numero di pubblicazioni su riviste scientifiche.
La geografia dell’Intelligenza artificiale: gli Usa dominano la scena
L’intelligenza artificiale parla americano. Nell’ultimo decennio gli investimenti in IA sono aumentati di 13 volte e dal 2016 a oggi sono state create più di 41.500 nuove imprese che sviluppano vari aspetti dell’IA. Dove? Oltre la metà (21mila) sono nate negli Stati Uniti, paese che ha di gran lunga la leadership nel campo. Seguono l’India con 5.616 imprese (in gran parte outsourcing di imprese occidentali), il Regno Unito con 4.646 imprese, il Canada con 2.576 e la Cina con 2.430. In termini di apporto di capitale di rischio alle imprese che sviluppano IA, la leadership rimane statunitense (273 miliardi di dollari), seguita a distanza dalla Cina (76 miliardi), Israele (18 miliardi), India (17 miliardi), Regno Unito (16 miliardi).
E il primato in classifica non muta nemmeno guardando alle grandi imprese e alle grandi università da cui provengono i fondatori delle nuove iniziative. Per quanto riguarda le imprese si tratta di aziende americane, con in testa Google, Microsoft, Facebook, McKinsey e Apple, mentre parlando delle università in testa ci sono MIT e Stanford, con le uniche eccezione dell’Università di Tel Aviv e di quella di Toronto.
Andando avanti coi dati, lo scenario è sempre lo stesso: gli Usa investono in IA 160 dollari pro capite a fronte dei 24 dollari dell’Eurozona a 9 e dei 12 della Cina; negli Stati Uniti, nel 2021, è nata quasi un’impresa ogni milione di abitanti. In Europa, 0,38 ogni milione in Cina lo 0,08 ogni milione. Anche sui brevetti “rimane fermo il predominio degli Stati Uniti”, paese nel quale in un anno le imprese ottengono 28,5 brevetti ogni milione di abitanti. Anche in questo caso il valore dell’Eurozona è molto più basso (2,1 ogni milione di abitanti), ma doppio rispetto a quello della Cina”, spiega l’Osservatorio Cpi.
Riassumendo: per il momento l’intelligenza artificiale sembra un affare soprattutto statunitense grazie allo stradominio delle big tech e a una mole di investimenti che sembra difficile da raggiungere.
L’Italia e l’intelligenza artificiale
L’Italia è lontana anni luce dai numeri che abbiamo elencato. Non solo rispetto agli Stati Uniti e alla Cina, ma anche rispetto all’Europa. Il nostro Paese investe in Intelligenza Artificiale 2 euro pro capite, meno di 120 milioni complessivi, mentre anche per numero di imprese pro capite (0,10) sta molto sotto l’Eurozona (0,38, lo ricordiamo). Brevetti rapportati alla popolazione? 0,4 ogni milione di abitanti, “un valore che è un quinto di quello medio dell’area dell’euro”, evidenzia lo studio dal quale emerge che l’Italia non sfigura in un unico indicatore che è quello delle citazioni di articoli IA su riviste scientifiche. Sempre in rapporto alla popolazione, l’Eurozona primeggia con 132 citazioni in un anno per milioni di abitanti. Seguono a poca distanza gli Stati Uniti con 100 citazioni ogni milione di abitanti e l’Italia con 95 citazioni.
“È difficile dire se questo dato rifletta una effettiva superiorità accademica dell’Italia rispetto agli Stati Uniti (cosa che appare un po’ improbabile) oppure il fatto che, se negli Stati Uniti una buona idea si traduce in una buona impresa, in Italia (e per molti versi anche nel resto d’Europa) finisce su una rivista scientifica a causa di un ecosistema complessivamente meno adatto alla creazione di nuove imprese. Forse l’Italia, e l’Europa, dovrebbero preoccuparsi di più di questo aspetto che di quello di diventare un hub della regolazione”, concludono gli esperti.
L’evoluzione normativa sull’intelligenza artificiale: Usa, Ue e Cina
E a proposito di regolamentazione, negli Stati Uniti dopo anni di frammentazione normativa fra i vari Stati, il 30 ottobre scorso il Presidente Joe Biden ha emanato un ordine esecutivo che si propone di promuovere “l’innovazione responsabile” con un focus su nuovi standard di sicurezza per l’IA, protezione della privacy, promozione dell’eguaglianza e dei diritti civili, supporto a consumatori e pazienti, e sostegno ai lavoratori affetti dalla trasformazione dell’IA. L’iniziativa mira anche a promuovere l’innovazione e la concorrenza, a garantire un uso responsabile da parte delle istituzioni pubbliche e a rafforzare la leadership americana in campo internazionale.
“Da questa parte dell’oceano, dopo anni di studi ed un rapporto dell’High Level Group on AI, il 9 dicembre 2023 si è registrato un primo accordo fra la Commissione Europea e il Parlamento su l’AI Act, che si caratterizza per un approccio molto ambizioso e definisce una serie di regole vincolanti per regolamentare l’uso dell’IA in diversi contesti. Nelle intenzioni, l’AI Act rappresenta una pietra miliare nel regolamentare l’IA su vasta scala, ponendo l’Unione europea all’avanguardia nella definizione di norme chiare e vincolanti per governare l’uso responsabile di queste tecnologie avanzate”, ricorda il report che poi si sposta in Cina, sottolineando che, in quest’ultimo caso, la regolamentazione dell’IA passa attraverso un approccio che riflette l’attenzione al controllo delle informazioni, alla prevenzione della dissidenza politica e alla limitazione delle operazioni delle aziende straniere nel mercato nazionale. “La normativa cerca di bilanciare il controllo interno con una maggiore flessibilità per le aziende cinesi che operano a livello internazionale nel settore dell’IA generativa”, sottolinea l’Osservatorio.