Forse gli italiani non hanno ancora posto la necessaria attenzione sul significato del referendum del 20 settembre sul taglio dei parlamentari. Molti sostenitori del SÌ affermano che, in fondo, si tratta di una modifica modesta che non influenzerà l’evoluzione della nostra democrazia parlamentare, che certo non è molto efficiente, ma che, con questo taglio secco, non avrebbe ulteriori peggioramenti.
Stupisce che alcuni autorevoli costituzionalisti, come l’ex presidente della Corte Costituzionale, Valero Onida, al contrario di quanto avvenuto in altre occasioni, non si avvedano dei rischi. Onida, ad esempio, in un articolo su Il Sole 24 Ore, inizia a stupirsi del fatto che se per caso dovesse prevalere il NO si allargherebbe il solco tra cittadini ed istituzioni avendo il Parlamento approvato questa riforma (solo nella quarta votazione) con una maggioranza “bulgara”. Strano veramente che nel precedente referendum del 2016 il prof Onida non abbia avvertito questo vulnus, visto che anche in quel caso la riforma costituzionale era stata approvata ben quattro volte dai due rami del parlamento.
Inoltre, Onida sostiene che il taglio dei deputati e dei senatori, lasciando immutate le prerogative delle due assemblee, potrebbe avere risultati positivi sulla qualità del lavoro degli onorevoli, o al massimo non avere alcun effetto migliorativo rispetto alla situazione attuale. Non si capisce per quale ragione Onida non prenda in considerazione anche l’ipotesi di un peggioramento rispetto alla situazione attuale. Peggioramento che invece appare più che probabile sia per la stabilità dei governi (in balia di pochi senatori), sia per la rapidità dei lavori delle commissioni, sia infine per l’autonomia dei singoli eletti, che saranno sempre più dipendenti dalle segreterie dei partiti. Partiti che, deboli come sono, certo non rinunceranno facilmente a gestire in toto la delegazione parlamentare. Insomma, Onida sembra avere una doppia logica: una per gli amici ed una per gli avversari.
Dire, come affermano alcuni esponenti grillini, che questo è solo il primo passo, e che poi seguiranno altre riforme, non lascia affatto tranquilli. Gli stessi grillini avevano presentato a corredo del taglio dei parlamentari due riforme costituzionali (oltre a parlare di riforma elettorale ). E si tratta del “vincolo di mandato” e del referendum popolare propositivo in opposizione alle leggi varate dal Parlamento? Queste sì che sarebbero un duro colpo per la funzione del Parlamento e per la democrazia rappresentativa. Volendo prendere a prestito una frase di Churchill, si può dire che “la democrazia parlamentare è certamente pessima, ma migliore di qualsiasi altro sistema politico finora sperimentato”. Insomma, è meglio che ci teniamo una democrazia parlamentare cercando di migliorarne il funzionamento (e questo è possibile), invece che cercare di sostituirla con una non ben chiara democrazia diretta, come dice Casaleggio.
Alcuni temono le conseguenze politiche di una eventuale vittoria del NO sul Governo e sulla tenuta dei 5 Stelle. Credo che una sonora sconfitta al referendum, oltre a quella prevista delle loro liste alle regionali, possa solo contribuire a far fare un bagno di realtà a gente che finora ha inseguito le proprie elucubrazioni, dando dimostrazione di non saper affatto governare. C’è bisogno di qualche esempio? A parte Roma e Torino devastate dal non governo di due sindache furbette e velleitarie, i provvedimenti governativi dei pentastellati sono stati il decreto Dignità, il reddito di cittadinanza con relativa cancellazione della povertà, la nomina di incapaci negli enti pubblici, come quello che dovrebbe occuparsi del mercato del lavoro, il blocco totale di ogni politica razionale per l’ambiente da parte del ministro Costa. Tutta roba che ci ha spinto in recessione prima del Coronavirus. Al di fuori dell’economia si ricorda l’abolizione della prescrizione del ministro Bonafede, che rende i cittadini esposti ai voleri di una magistratura irresponsabile, e le uscite di Di Maio in appoggio dei gilet gialli francesi, o la sgangherata apertura alla Cina, e infine la nostra irrilevanza in Libia dove i Turchi hanno preso il nostro posto.
Non è improprio pensare alle conseguenze politiche dell’esito del referendum. Una vittoria del SÌ porterebbe solo acqua al mulino dei 5 Stelle. E questo anche per Salvini e Meloni non sembra un grande risultato. Forza Italia sembra più orientata a dire NO. Il Cavaliere vuole prima vedere i sondaggi. Però ogni tanto potrebbe anche fare un gesto dettato dal suo indubbio voler bene all’Italia e alla democrazia.
Non vorrei essere troppo pessimista. Ma se vincerà il SÌ, soprattutto a causa della paura di esporsi da parte di tanti borghesi e politici democratici, il paese potrebbe avviarsi verso regimi più simili a quelli di Turchia e Russia, che non a caso molti esponenti dei 5 Stelle vedono con favore. Una vittoria del NO costringerebbe i grillini a fare i conti con la realtà, scegliere con chi allearsi, e organizzarsi per proporre cose sensate invece di inseguire fantasie distruttive.