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La crono a Milano consegna il Giro d’Italia al canadese Hesjedal

A inizio Giro lo conoscevano in pochi. Il suo palmarès di ex biker era tra i più scarni. Nemmeno si sapeva con esattezza se il suo cognome iniziasse per “H” o semplicemente con la “E”. Tre settimane dopo, oggi siamo qui a celebrarlo, primo canadese a vincere la corsa rosa: Ryder Hesjedal, mettendo a frutto la sua migliore predisposizione per le gare contro il tempo, ha ribaltato a suo favore negli ultimi dieci chilometri del Giro la classifica finale relegando al secondo posto Joaquin Rodriguez, leader fino alla penultima tappa.

“Ho scritto una pagina di storia”, ha detto il vincitore indossando la maglia rosa del trionfo. Non è bastato a Rodriguez il taglio del chilometraggio che per motivi di viabilità si era ridotto, all’improvviso, da 30 a 28,2 km. Il verdetto finale che né il Giau, né lo Stelvio, nello scenario imponente delle Alpi e delle Dolomiti, erano stati in grado di emettere, è venuto sui piatti rettilinei di viale Scarampo e di corso Sempione. A Porta Venezia il destino dello spagnolo in maglia rosa era segnato: al traguardo di piazza Duomo il cronometro lo condannava con un ritardo di 47” sull’aitante rivale, il canadese che sverna alla Hawaii: per 16” lo spagnolo perdeva un Giro povero di campioni che lo ha visto sempre protagonista, ancora una volta condannato sul filo di lana da quella, per lui maledetta, cronometro piazzata dagli organizzatori all’ultima tappa come fu alla Vuelta del 2010 con Vincenzo Nibali che gli soffiò il successo finale.

Terzo posto per Thomas De Gendt, il belga che, dopo la cavalcata trionfale sullo Stelvio, si era inserito nella lotta per il primato: ottimo cronoman, De Gendt, quinto all’arrivo, ha rosicchiato altri secondi sia a Hesjedal sia a Rodriguez ma non ha potuto compiere il miracolo. La galoppata per le strade milanesi gli è servita per agguantare il podio estromettendo Michele Scarponi, che è andato meglio che a Herning ma che nelle crono soffre sempre. Un podio conquistato in extremis che mai De Gendt e la sua equipe la Vacansoleil pensavano di poter raggiungere, tanto è vero che il belga è stato l’unico degli uomini di classifica a raggiungere Milano in pulmino invece che con il più rapido elicottero come hanno fatto Hesjedal e Rodriguez.

Era dal 1995 che il Giro non vedeva un italiano ai primi tre posti. Un’assenza che certifica il tramonto di Ivan Basso e i limiti di Michele Scarponi, uomo di classifica a cui manca però l’acuto del dominatore. Forse la Lampre, se avesse dato più fiducia a Cunego – che sentendosi secondo nelle gerarchie della squadra guidata da Beppe Saronni si è lanciato in attacchi temerari da autentico kamikaze – avrebbe raccolto più di quello che le ha dato Scarponi. Pozzovivo, che ha illuso molti con lo scatto da pirata a Lago Laceno, esce da questo Giro con dignità ma anche confermando le note difficoltà a reggere alle fatiche di una corsa a tappe come Giro e Tour. Che cosa di azzurro ci lascia allora questo Giro? Di certo la maglia di Matteo Rabottini come miglior scalatore, che ha vinto una delle tappe più belle di quest’anno, quella dei Piani dei Resinelli. E zuccherino di consolazione finale, la vittoria di Marco Pinotti nell’ultima crono milanese corsa alla media di 51,117 km all’ora. Il corridore ingegnere ha messo alle spalle specialisti come il britannico Thomas Geraint (secondo a 39”), il neozelandese Jesse Sergent (terzo a 53”) e il danese Alex Rasmussen (quarto a 1’). Sorprende che tra i primi non ci sia Taylor Phinney: ma l’americano anche questa volta ne ha combinate una delle sue, sbagliando strada. Ma se anche manca lo statunitense, che era dato favoritissimo nella crono, l’ordine d’arrivo della tappa e la vittoria canadese nella generale del Giro parla chiaro di una geografia del ciclismo sempre più allargata a tutti i continenti. Ma la globalizzazione purtroppo fa sempre meno rima con campione.

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