Ironia della storia: flussi migratori ribaltati, e così sono i talenti del Vecchio continente, attanagliati dalla crisi, ad emigrare verso il Nuovo mondo, e non più viceversa. E’ la versione moderna della (ri)colonizzazione, che costringe gli ex conquistatori a tornare sui “luoghi del delitto”, ma stavolta non per imporre il loro potere ma per rifugiarsi, grazie all’appiglio della lingua e della vicinanza culturale, nei nuovi eldorado del business.
Succede dunque, per esempio, che la stampa spagnola parli addirittura di “esodo” per descrivere il fenomeno della migrazione dei giovani (e non solo) iberici in terra argentina: nel 2011 50mila persone hanno lasciato mamma Spagna per raggiungere lo Stato sudamericano, la cui economia corre a ritmi da record (è il secondo Paese al mondo come tasso di crescita dietro alla sola Cina). I motivi? Ovvi. La disoccupazione allarmante in cui è precipitato il Regno di Juan Carlos: 20%, la più alta d’Europa. Per non parlare di quella giovanile, che raggiunge il doppio della media continentale (40%), ben al di sopra rispetto per esempio all’8% dei Paesi Bassi. Inoltre, in Spagna il 15% dei giovani tra i 15 e i 24 anni non lavora nè studia (10% la media Ue). Quindi, tanto vale tentare l’avventura oltre Oceano.
Secondo l’Ocse, accade addirittura che cittadini originariamente argentini, emigrati in Europa durante la crisi del 2001 e naturalizzati spagnoli, stiano ora facendo ritorno a Buenos Aires e dintorni.
Lo stesso accade per i Paesi anglosassoni. Non tanto l’Inghilterra, ma l’Irlanda, dopo il fallimento di Lehman Brothers ha visto aumentare le “fughe” all’estero dal 2009 in poi. In un primo momento erano solo gli immigrati polacchi a far ritorno a casa, ora invece il fenomeno interessa gli irlandesi stessi. Nel 2011, sempre secondo i dati Ocse, 40mila di loro (di cui una percentuale impressionante di donne) hanno scelto di seguire le orme di James Cook, trasferendosi dall’altra parte del mondo, in Australia e Nuova Zelanda.
All’appello non poteva mancare nemmeno il Portogallo, scegliendo l’opzione più logica che ci fosse: il Brasile. Nell’ultimo anni settantamila lusitani hanno preso il volo Lisbona-San Paolo, ma non solo: qualcuno ha optato addirittura per l’Angola, la cui capitale Luanda, è, udite udite, una delle città più care del mondo (e con la qualità della vita più bassa). Ma nonostante questo, il gioco vale la candela: il salario medio è così superiore rispetto a quello portoghese che consente agli immigrati di vivere e persino di avere dei risparmi.
Il Brasile resta tuttavia la destinazione più naturale, vista anche la politica della locomotiva sudamericana, che per trainare ulteriormente la sua economia necessita di “cervelli” (ingegneri, tecnici, informatici, etc) che possano sviluppare le infrastrutture e il potenziale energetico. E infatti il governo di Brasilia, solitamente ostile alla concessione di visti facili, sta cambiando la sua strategia per accogliere personale qualificato: da gennaio a settembre 2011 ha rilasciato il 32% in più dei permessi di lavoro per stranieri (per un totale di 51.353).
Non solo lavoro, però. Come ha infatti rilevato Tito Boeri, professore di Economia alla Bocconi di Milano, il Brasile è anche “di gran lunga il Paese al mondo che ha attirato di recente più studenti, in particolare tesisti e dottorandi, con un distacco abissale sulla Cina. Anche se Usa e Regno Unito restano al primo posto”.
E gli italiani e i greci, che di ex colonie a cui appoggiarsi non ne hanno? Gli ellenici, nonostante la difficoltà della lingua, hanno ultimamente preso di mira la solida Germania (meglio andare a colpo sicuro..), mentre da noi non c’è una destinazione preferita: il made in Italy, si sa, lo trovi in ogni parte del mondo.
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