I nodi bancari vengono al pettine in Europa. Il Financial Times dedica il suo editoriale del week end ancora a Deutsche Bank, e si chiede se – al di là delle difficoltà contingenti – la banca abbia ancora un modello di business funzionante (‘viable’). La sua base commerciale in Germania posa su basi d’argilla, le imprese tedesche sono piene di contanti e non hanno bisogno di credito. Le attività di investment banking non rendono e hanno lasciato un’eredità pesante di cause legali con i regolatori (americani, quelli europei difficilmente disturbano i grandi giocatori) e partite di incerta valutazione.
Le autorità tedesche, intanto, si sono accorte che la strada del sostegno pubblico è preclusa dalla minaccia del bail in – grazie alla linea irragionevolmente dura imposta nei salvataggi di banche italiane. Invece di essere lo strumento per gestire le crisi, il meccanismo unico di risoluzione è diventato una camicia di forza che priva le autorità degli strumenti minimi per gestire le crisi in modo ordinato. La possibilità del bail in mette in fuga gli investitori e aggrava la sfiducia, precludendo il ricorso al mercato per raccogliere capitale.
Intanto a Basilea altri nodi vengono al pettine. Il sistema dei modelli interni di valutazione dei rischi, inventato alla fine degli anni novanta dalle grandi banche europee per ridurre i coefficienti di capitali, è arrivato al capolinea, gli americani ne denunciano l’opacità e ne chiedono la revisione. Cosa giusta, naturalmente, ma farlo adesso – mentre l’intero sistema bancario europeo affonda in una crisi sistemica di sfiducia – è un suicidio. Servirebbe una serie riflessione sui modi per guidare il sistema bancario europeo – dunque, non solo italiano – fuori dalle secche dove è caduto, per colpe proprie ma anche per gravi errori dei regolatori. Il fatto che questi siano perlopiù incapaci di vedere quel che sta succedendo e che la Commissione europea attraversi una crisi di legittimazione senza precedenti, rendono la situazione più difficile.