REFERENDUM. DOPO LA FESTA DELLE RINNOVABILI LA BORSA (MAGLIA NERA IN EUROPA) PENSA AL GOVERNO
Nonostante la corsa dei titoli delle energie rinnovabili Piazza Affari chiude, unica tra i listini del Vecchio Continente, con il segno rosso (-0,17%). Nemmeno la revisione al rialzo delle stime della produzione industriale di aprile, da cui emerge una tenuta migliore del previsto del settore manifatturiero, si è tradotta in spunti di rilievo. Pesano, al solito, le preoccupazioni per la crisi greca, alla vigilia di un vertice europeo che ha il sapore di un duello rusticano. Ma stavolta, cosa che capita di rado sotto i cieli della finanza globale, Piazza Affari sconta probabilmente anche l’effetto dell’incertezza sulle sorti dell’esecutivo. O, più ancora, gli effetti che l’incertezza sul fronte fiscale possono provocare sul già debole andamento della congiuntura interna. Nel frattempo, sull’onda dell’esito del referendum, festeggiano le energie rinnovabili. Enel Green Power guadagna il 3,08% e sfiora nuovamente quota 2 euro. Volano anche Kerself (+14,8%), specializzata pure nel solare, Kr Energy (+13,9%), Pramac (+12,4%), Beghelli (+10,2%) e TerniEnergia (+3%). Per Enel, al contrario, la fine del miraggio nucleare si traduce in una perdita dello 0,26%. Poco mosse, invece, le utility dopo la vittoria del referendum contro la gestione privata dell’acqua: solo Acque Potabili e’ la peggiore del listino con il -6,5%, mentre Acea limita i danni all’1.08 per cento.
CHIESA: “LE POSIZIONI DIFFICILI IN BPM SONO 116” “SITUAZIONE SOTTO CONTROLLO”.”MEDIOBANCA? NON PENSO”
“Le posizioni difficili sono 116, tutto sarà certificato al 30 giugno”. Così il direttore genrale della Bpm, Enzo Chiesa, davanti agli analisti finanziari, aggiungendo però che “i conti del 30 giugno saranno in linea con quelli del 30 marzo: nemmeno un milione di accantonamenti in più, siamo sereni”. Anche in merito all’aumento di capitale: “E’ molto meglio avere 3-4 mesi per fare l’aumento che presentarsi al mercato tra 10-15 giorni” come farà Mps. Nessun rischio di scalata in occasione dell’operazione da 1,2 miliardi: anche se ciascuna delle 12 banche del consorzio dovesse farsi carico della sua quota di inoptato, in caso di sottoscrizione al 50%, nessuno salirebbe oltre il 50%. E Mediobanca? Finirà la banca per essere inglobata dall’istituto di piazzetta Cuccia? “Non penso. Ma questa è una mia opinione personale”. Ecco, in sintesi, quanto ha detto il dg di piazza Meda incontrando gli analisti. E via alla frenata del titolo dopo l’impennata di inizio mattina: ha ceduto il 4,29%. Su Mediobanca, quasi in contemporanea, Dieter Rampl ha dichiarato le stesse cose.
L’EXPO 2015 FA UN PASSO AVANTI MA LA FIERA PERDE COLPI (-2,41%) ALLA GUIDA DELLA SUPERHOLDIND DI MILANO ARRIVA MODIANO
Doveva essere un giorno di festa per Fiera Milano. Invece il titolo controllato dalla Fondazione Fiera ha subito una pesante perdita (-2,41%) Eppure ieri è stato finalmente perfezionato l’accordo per acquisire le aree destinate all’Expo 2015: è stato firmato tra la società pubblica Arexpo e la Belgioiosa srl della famiglia Cabassi per una cifra pari a circa 49,6 milioni di euro. Si tratta di un “contratto di opzione”, con il quale, parola di Roberto Formigoni, “Belgioiosa concede irrevocabilmente ad Arexpo, che accetta, il diritto potestativo di acquistare da Belgioiosa medesima il Compendio Immobiliare”, ovvero l’area di 256.000 metri quadrati che si trova nei comuni di Milano e di Rho e su cui dovrà svolgersi l’Esposizione universale. Così, proprio alla vigilia dell’incontro con il Bie a Parigi, il carrozzone dell’Expo si rimette in regola con i tempi. Ma il titolo Fiera non festeggia. Probabilmente perché la battaglia sul prezzo e sulla destinazione d’uso dell’area è appena cominciata; il neo assessore all’Expo Stefano Boeri ha già fatto sapere che si batterà perché il parco agroalimentare previsto dal progetto iniziale venga mantenuto oltre il 2015, rinunciando quindi ad edificare nella zona. Intanto il neo sindaco di Milano Giuliano Pisapia ha deciso: alla testa della holding delle partecipazioni del Comune (17 imprese con 13 mila dipendenti e un giro d’affari di 3 miliardi esclusa A2A) andrà Pietro Modiano, attuale ad di Tassara.
LA GRECIA PRECIPITA . PER S&P VALE MENO DELLA GIAMAICA ALLA VIGILIA DELL’EUROGRUPPO I CDS SCHIZZANO A 1.610 BP
La Grecia c’è riuscita. Da ieri Atene ha il rating più basso del pianeta, sotto Paesi come Ecuador, Giamaica, Grenada o il Pakistan. E’ il verdetto di Standard & Poor’s, che ieri ha assegnato alla Grecia una tripla C, anticamera dell’inferno, che in termini si declina con D, come Default. Epilogo inevitabile se, come vorrebbe la Germania, i creditori privati saranno chiamati a dividere i sacrifici del risanamento del debito. Difficile immaginare un prologo più drammatico del confronto di oggi tra i ministri finanziari dell’eurozona a Bruxelles, dove, sulla ripartizione dei 172 miliardi di cui la Grecia avrà bisogno di qui al 2014, si scontreranno i due partiti: da una parte la Bce, appoggiata da Francia, Italia e la maggior parte degli aderenti alla zona euro; dall’altra la Germana, affiancata dall’Olanda e dal Lussemburgo. Nel frattempo, i Cds di Grecia, Portogallo ed Irlanda hanno raggiunto livelli stellari, roba da far impallidire la Giamaica, già terra di Bob Marley e della peggior pagella assegnata dalla Banca Mondiale. Alle 17 e trenta di ieri, subito dopo il verdetto di S&P, i Cds di Atene venivano trattati a Londra al livello di 1610 basic point, contro i 764 del Portogallo e i 740 dell’Irlanda. L’Italia, intanto, resta lontana dalla zona calda a quota 178 bp. Puntuale è arrivato il responso dell’oracolo della grande crisi. Nouriel Roubini, che a Singapore ha vaticinato una “perfect storm” in arrivo sull’economia mondiale nel 2013, è sceso in campo con la sua terapia per l’Europa: l’unica soluzione praticabile, sostiene un articolo pubblicato sl Financial Times di stamane, è l’uscita dall’euro di Atene e Lisbona. “Lo so – scrive Cassandra Roubini – sembra un’idea inaccettabile anche nei Paesi coinvolti. Ma quel che oggi sembra impossibile, tra cinque anni sembrerà addirittura ovvio, soprattutto per economie che non crescono”.
LA CINA FRENA MENO DEL PREVISTO I LISTINI ASIATICI CHIUDONO IN POSITIVO
Inflazione al 5,5% (contro 5,3) ma la produzione a maggio sale assai più del previsto: +13,1 per cento. E così la frenata della Cina fa meno paura. L’indice Shangai composite, di conseguenza, mette a segno il suo maggior rialzo dal 31 maggio (+1%). Anche il Nikkei 225 ha messo a segno a Tokyo un balzo dell’1,2% preceduto dal coreano Kospi (+1,4%).
DOPO I RIBASSI WALL STREET FA FESTA CON TIMBERLAND BARRON’S: A QUESTI PREZZI CITI E GOLDMAN SONO IN SALDO
Da una parte le preoccupazioni per le tensioni di Eurolandia, dall’altra la convinzione che, a questi prezzi, le azioni dello S&P 500 non sono affatto care: il rapporto tra prezzi e utili 2011, infatti, si è assestato a quota 12,8, assai sotto la media storica di 15 volte. Il risultato è stato una sostanziale parità: lo Standard & Poor’s 500 ha chiuso con un guadagno dello 0.1%, contro lo 0,02% del Dow Jones e una lieve perdita (-0,15%) del Nasdaq. Ma a riportare il buonumore tra gli operatori è stata la fiammata di M&A che ha illuminato il lunedì di Wall Street: Transatlantic Union, la compagnia di riassicurazioni già di Aig è stata comprata dalla svizzera Allied World per 3,2 miliardi di dollari, con un premio del 16% sui prezzi di venerdì scorso. L’operazione porterà alla creazione di un gruppo da 21 miliardi di dollari di asset investiti e 8,5 miliardi di capitale. Ma, soprattutto, è stata la giornata del grande “deal” dell’abbigliamento: VF, la casa madre dei jeans Wrangler, ha staccato un assegno da 2 miliardi di dollari per acquistare Timberland, i cui titoli sono schizzato su del 42 per cento. Di rilievo, infine, l’attenzione di analisti e media per il settore Financial: Goldman Sachs e Citigroup (+2%) secondo un’inchiesta di Barron’s sono sottovalutai del 25%. La causa di Citigroup ha trovato un altro avvocato di rilievo. Ubs, che ritiene che il titolo sia sacrificato dopo le forti vendite di primavera.
INCHIESTA DI CNBC: FACEBOOK VALE CENTO MILIARDI MA L’IPO DEL SECOLO SI FARA’ SOLO TRA UN ANNO
Banche, abbigliamento. Wall Street, una volta tanto, “snobba” la tecnologia per assets più tradizionali. Ma solo per poco. E’ partito il conto alla rovescia per l’ipo di Groupon, ma già si fanno i conti per il vero oggetto del desiderio: Facebook. Cento miliardi di dollari, meno di Google (che capitalizza 160 miliardi circa), ma più di Amazon. Tanto vale, secondo un’inchiesta di Kate Kelly di Cnbc, la matricola più attesa del mondo Internet che approderà a Wall Street nei primi mesi del 2012. Nel giro di tre mesi la valutazione della società di Mark Zuckerberg è, almeno in teoria, raddoppiata: a marzo, infatti, Goldman Sachs ha acquistato, per 1,5 miliardi di dollari, una partecipazione nel social network ad una stima di 50 miliardi. Ma l’ultima operazione, che ha avuto per protagonista Shares Post, è avvenuta ad una valutazione di 85 miliardi.