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La Corea del Sud festeggia il compleanno dell’alfabeto

Il 9 ottobre di ogni anno in Corea si festeggia un compleanno molto singolare: i 567 anni dalla nascita dell’alfabeto, inventato, secondo la tradizione, dal re Sejong il grande nel XV secolo. Prima i coreani scrivevano usando gli ideogrammi, importati dall’impero cinese, di cui il regno coreano era Stato vassallo, e imposti in virtù della supremazia politica e culturale del potente vicino.

Il re Sejong, narrano le cronache, decise di fare piazza pulita degli ideogrammi e sostituirli con l’Hangul (così si chiama l’alfabeto fonetico coreano) dopo aver notato che la complessità del sistema di scrittura ideografico permetteva solo ai più ricchi (che all’epoca erano anche i più colti) di dedicare tempo ed energie ad apprendere a leggere e scrivere. Così, in uno spirito decisamente democratico, inventò – o fece inventare – un sistema di scrittura più semplice, tale da poter essere appreso con facilità da chiunque, a qualsiasi classe sociale appartenesse.

La Corea va orgogliosa dell’opera di Sejong e l’Hangul Day è occasione per una grande festa, alla quale quest’anno hanno preso parte 3000 cittadini, molti alti funzionari statali e il primo ministro Chung Hong-won. Durante la celebrazione sono stati assegnati riconoscimenti e onorificenze a individui o gruppi distintisi per particolari meriti nella promozione e diffusione della lingua coreana nel mondo. Il problema della semplificazione della scrittura ideografica è comune ad altre lingue che utilizzano lo stesso sistema, come il cinese e il giapponese. In Cina, per esempio, a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, la rivoluzione culturale procedette a una semplificazione dei caratteri ideografici “sfoltendoli”, riducendo cioè il numero dei tratti e rendendoli più semplici sia nella memorizzazione sia nella scrittura.

Si parlò in verità anche di abolirli e di sostituirli con un alfabeto, il Pinyin, messo a punto nel 1958, ma alla fine non se ne fece nulla, perché gli ideogrammi sono considerati dai cinesi parte del loro patrimonio nazionale e – come ben ha compreso il regime comunista – la scrittura tradizionale costituisce un potente collante culturale. Quasi stesso discorso per il Giappone, che pure possiede non uno ma ben due alfabeti, inventati da un monaco buddhista nel lontano IX sec. d. C., e non rinuncia agli ideogrammi per attaccamento alla propria tradizione culturale e anche perché – sostengono gli esperti nipponici – lo studio dei caratteri ideografici allena la disciplina, lo spirito di dedizione e la memoria.

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