Non ci può essere una robusta ripresa della crescita, un capitalismo moderno, senza istituzioni moderne. Il superamento del bicameralismo paritario e la riforma delle autonomie locali sono a portata di mano. In una democrazia moderna chi si oppone ad una riforma o ad un governo dovrebbe avanzare proposte alternative, subito praticabili e non opporsi solo per temporeggiare o indebolire l’avversario.
Il nuovo presidente di Confindustria Vincenzo Boccia non avrebbe potuto essere più chiaro di così. Anche se la decisione ufficiale sul referendum di ottobre sarà presa tra un mese, il cuore della prima relazione di Boccia all’Assemblea dell’associazione degli industriali è stato tutto politico. E non avrebbe potuto essere altrimenti. I cambiamenti costituzionali e la conseguente maggiore snellezza e chiarezza delle decisioni governative sono la premessa indispensabile per far compiere al sistema Italia quel cambio di passo necessario per poter approfittare appieno dell’apertura dei mercati internazionali.
Su questa linea si sono ovviamente schierati i ministri Franceschini e Calenda. Il primo, più politico, ha detto di “provare tristezza per chi di fronte a riforme che pure aveva chiesto per anni, è oggi contrario per motivi personalistici”. Il secondo ha tecnicamente dimostrato come l’attuale confusione dei poteri paralizzi qualsiasi iniziativa economica impedendo la crescita e quindi maggiori opportunità di occupazione. “La riforma rende i cittadini i veri padroni dell’Italia, non crea alcuna dittatura di Renzi”, ha concluso Calenda.
Ma l’impronta politica del discorso di Boccia non si è limitata al referendum. Il neo presidente di Confindustria ha preso posizioni significative sull’ Europa, sull’ immigrazione, su Schengen. La risposta giusta alle paure della gente ed alle attuali inefficienze della governance europea non sta nel cercare rifugio nel nazionalismo, la cui pericolosità il vecchio continente ha già dolorosamente sperimentato, o nell’irresponsabile populismo, ma nel moltiplicare l’impegno per cambiare quello che non va in Europa. A cominciare dal metodo intergovernativo per tornare al “metodo comunitario della responsabilità condivisa”, in modo da attenuare le divergenze tra gli Stati ed esaltare quello che unisce. Ai leghisti ed ai pentastellati questi passaggi non devono essere piaciuti molto.
Ma questo non significa che la nuova Confindustria sarà appiattiva sul Governo Renzi. Sulle riforme costituzionali e sul mantenimento dell’apertura delle frontiere la convergenza è oggettiva. Una industria moderna deve accettare la sfida della concorrenza internazionale anche perché – è questa la convinzione di Boccia – noi possiamo offrire al mondo prodotti, cultura, paesaggi naturali che sono già oggi molto desiderati. Si tratta solo di cambiare la nostra organizzazione per poterli offrire in qualità e quantità maggiori e migliori. Sul come arrivare al quel salto di competitività indispensabile per accelerare la nostra crescita le ricette della Confindustria sono precise e non è detto che siano sempre coincidenti con quelle del Governo, anche se il ministro Calenda ha riscosso una convinta approvazione da parte della platea degli industriali, quando ha elencato le priorità che intende assegnare all’azione del suo ministero.
Nella parte della relazione più dettagliata sulle misure da prendere, Boccia ha voluto iniziare con un forte richiamo alla necessità che i primi a cambiare devono essere gli imprenditori, abbandonando la vecchia cultura padronale per accettare, capitali, nuovi modelli di governance, dirigenti esterni per poter crescere verso dimensioni adeguate a competere sui mercati internazionali. Naturalmente riguadagnare la produttività perduta è impegno di tutto il paese. Ed al primo posto c’è il rinnovamento delle relazioni industriali per portare la contrattazione soprattutto a livello aziendale dove può avvenire lo scambio tra più salario a fronte di maggiore produttività. Boccia è stato chiaro sulla direzione di marcia ma poi ha inserito una nota di cautela sui tempi, affermando che adesso non si può interferire con i rinnovi contrattuali di alcune categorie ancora aperti. Il ministro Calenda ha garbatamente risposto che è necessario risolvere la questione in tempi brevi.
“Fate presto”, ha esortato le parti sociali evocando un fortunato titolo de Il Mattino e de Il Sole 24 Ore. Cenni interessanti sono dedicati alla politica industriale, al fisco, alle banche e naturalmente al rinnovamento della Pubblica amministrazione. Per ognuno di questi capitoli si possono vedere accenti nuovi. Manca la richiesta di aiuti o sovvenzioni pubbliche. Si vuole un fisco più attento a stimolare gli investimenti, delle banche capaci di valutare l’impresa nel suo insieme e non solo i freddi numeri dei bilanci. La politica industriale deve soprattutto offrire un quadro stabile per un periodo medio-lungo in modo da creare e consolidare aspettative positive. La Confindustria respinge le suggestioni di quanti pensano ad una più forte espansione della spesa pubblica, ben consapevole che non è con il debito che possiamo tornare verso più elevati e più stabili livelli di crescita. Per contro occorrerà incalzare il Governo affinché prosegua la politica di riforme e soprattutto acceleri la loro implementazione facendole diventare comportamenti concreti ed innovativi dell’intera macchina burocratica.
Di fronte ai gravi rischi di involuzione politica che corrono l’Europa e l’Italia la Confindustria non si tira indietro. Per vincere le paure di una parte della popolazione la risposta non sta nel chiudersi in casa come propone il nuovo nazionalismo. “Chiudere le frontiere è come bloccare un’arteria: provocherebbe un infarto”, ha scandito Boccia. Invece abbiamo la possibilità di affrontare a viso aperto i problemi della nostra economia e della nostra società. Dobbiamo convincerci che ne vale la pena e che possiamo vincere la sfida.