La colomba, nell’iconografia della Cristianità, rappresenta una delle tre espressioni del dogma, impersonando lo Spirito Santo. Nella tradizione biblica è il momento della riconciliazione degli uomini con Dio quando ritorna nell’arca con un ramoscello d’ulivo dopo il diluvio universale. Nella rappresentazione cattolica è simbolo di purezza e di salvezza. Nella cultura tradizionale comune rappresenta la bontà e la rettitudine. Il popolo Assiro la venerava perché riteneva che l’anima della regina Semiramide fosse volata in cielo con le sue fattezze. Nella mitologia greca era consacrata alla dea Venere. Nella tradizione alchemica simboleggia il bene in contrapposizione al corvo che rappresenta il male. Nella storia dell’arte è dipinta sempre come testimonianza di fedeltà della donna. Simbolo religioso ma anche simbolo laico: Picasso la disegnò su richiesta del partito comunista francese nel 1949 come icona del Movimento per la pace.
Le varie leggende storiche sulle origini da Teodolinda a Barbarossa
Con tutta questa eredità religioso-storico-antropologico-politica la Colomba non poteva non dominare anche la tradizione gastronomico-dolciaria in tempi di Pasqua. E, come sempre accade in questi casi sulle sue origini fioriscono le leggende più disparate. La più ricorrente risale al 600 d.C. e narra di un santo monaco, Colombano, che dall’Irlanda era giunto in Italia circondato dalla sua fama di santità. La Regina Teodolinda volle invitarlo a corte e gli preparò un sontuoso pranzo a base di selvaggina. Era tempo di quaresima, San Colombano non volendo offendere la regina dei Longobardi per rispettare i precetti religiosi disse di voler benedire il cibo prima di mangiarlo. E voilà la selvaggina si trasformò in dolci colombe di pane.
Sempre attorno a quegli anni si racconta che re Alboino, valicate le Alpi, mosse un lungo assedio alla città di Pavia. Dopo tre anni la città stremata dovette arrendersi. E i barbari entrarono in città. I pavesi per muoverli a pietà sperando che non si abbandonassero a furiose vendette si fecero incontro ai vincitori offrendo loro colombe di pane in segno di pace. Il gesto fu apprezzato al punto che Alboino scelse proprio Pavia come capitale del neonato regno.
Altra storia risale al medioevo, e per l’esattezza alla battaglia di Legnano, nel 1176 che segnò la vittoria della Lega Lombarda contro Federico Barbarossa. Cosa aveva deciso le sorti della battaglia? Tre candide colombe che si posarono sulle insegne lombarde simbolo della protezione divina. Sconfitto il Barbarossa, i cucinieri della Lega vollero rendere omaggio al segno divino realizzando colombe di pane dolce da distribuire ai soldati.
Fin qui dunque le leggende che tendono a nobilitare le origini del celebre dolce che finisce in tempi di Pasqua sulle tavole di tutti gli italiani, se ne vendono oltre 18.000 tonnellate per un giro d’affari di 24 milioni di euro e da qualche tempo comincia a essere apprezzata anche all’estero. Ma la vera storia della Colomba pasquale? E’ molto più recente, meno poetica forse ma frutto dell’ingegnosità tutta italiana che ha fatto grande il made in Italy nel mondo.
La geniale intuizione di Dino Villani, grafico-pubblicitario di Motta
Fu la geniale intuizione di Dino Villani, direttore della pubblicità della Motta, mitica figura del mondo pubblicitario italiano precursore del concetto di comunicazione integrata, il grafico che inventò il logo della “M” come Milano, come Motta. La Motta celebre per i suoi panettoni, negli anni 30 aveva effettuato un notevole investimento imprenditoriale aprendo lo stabilimento di Via Cordusio che aveva segnato il suo ingresso nella dimensione industriale. Villani pensò bene che era un gran peccato lasciare fermi i macchinari dei panettoni dell’azienda dolciaria per attendere il Natale successivo. E ideò un nuovo dolce, da realizzare con la stessa pasta del panettone, però con la forma della colomba e da vendersi a Pasqua. Disegnò tutta la linea pubblicitaria e di confezionamento e ideò anche il claim che avrebbe accompagnato il lancio del nuovo dolce: “Colomba pasquale Motta, il dolce che sa di primavera”. Al Commendatore Angelo Motta, sempre aperto al nuovo, il progetto piacque, i macchinari vennero subito messi all’opera, e le vendite fioccarono. Successivamente la Colomba venne inserita nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (P.A.T) del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (Mipaaf) e riconosciuta come tipica del territorio ( sia che si creda alle leggende, sia che, più verosimilmente si accetti la primogenitura di Villani e di Motta, sempre in territorio lombardo siamo rimasti…).
Da allora milioni di Colombe hanno festeggiato la Pasqua degli Italiani. In questi ultimi tempi però, così come è avvenuto per il Panettone, il cliente italiano sempre più avveduto e consapevole chiede produzioni artigianali di qualità, dall’impasto compatto, alveolato e soffice, che sappia mantenere una certa umidità, e che si caratterizzi per la delicatezza e la morbidezza dei canditi, per l’armonia degli aromi e una glassatura non eccessivamente invasiva. I negozi gourmet offrono soluzioni per i palati più esigenti e anche per tutti i prezzi in funzione della ricercatezza delle materie prime usate.
Sicuramente una Colomba artigianale fra le più gettonate dagli intenditori è quella firmata “Olivieri 1882”, azienda artigianale di una famiglia che ha oltre 100 anni di storia alle spalle, come denuncia il suo marchio e che non ha mai tradito le sue origini artigianali. Era, infatti, il 1882 quando Luigi Olivieri aprì ad Arzignano il primo forno della famiglia. Suo figlio Bianco proseguì le orme paterne aprendo a sua volta una panetteria e con l’aiuto della moglie, Miranda, acquistò un pezzo di terreno dove riesce a costruire un laboratorio più grande. Nel 2000 l’azione passa di mano a Oliviero, figlio di Bianco Olivieri che arricchisce le attività familiari fondando Chocoamour, un’azienda di cioccolato. Insomma c’è già la voglia di crescere differenziando le attività. La famiglia Olivieri fa il suo ingresso nella dimensione della piccola imprenditoria che si consolida a piccoli passi. Ed ecco che nel 2006 entra in azienda Nicola Olivieri che apporta un altro contributo alla crescita del marchio, ha viaggiato molto per il mondo e dalle sue esperienze prende piede il progetto di una gelateria, non una qualsiasi ma la prima catena di gelaterie biologiche certificate a livello europeo.
Il segreto: lievito madre e ingredienti di alta qualità scelti amnche all’estero
Ma i prodotti da forno restano il core business della Olivieri. Che produca Panettoni, Colombe o Pandori, i suoi lievitati Olivieri si fanno apprezzare in Italia, in Europa e perfino in Australia e ricevono premi autorevoli. E due anni fa arriva il riconoscimento della Guida del Gambero rosso: la Colomba Olivieri 1882, una nuvola di burro, uova e farina ricoperta da una glassa di mandorla, nocciole, pinoli tritati e zucchero che, al primo morso, fa percepire una leggera croccantezza seguita da una sofficità incredibile, viene considerata tra le cinque migliori Colombe artigianali d’Italia. Il segreto? Lo spiega Nicola Oliveri: “La nostra colomba è molto ricca ma raffinata al gusto ed estremamente digeribile grazie alla lunga lievitazione e all’utilizzo di materie prima di ottima fattura. Non ha conservanti, semilavorati, aromi, grassi vegetali. E’ Artigianale al 100% e quindi fatta interamente a mano, con passione, come vuole la nostra tradizione dal 1882”.
Il segreto Olivieri: lievito madre, lavorazioni naturali e manuali
Nella sua Colomba, è il caso di dire, si condensa tutta la storia artigianale della famiglia, dalle origini ai giorni nostri. Partiamo dal lievito madre: “Dalle nostre parti, sottolinea Nicola Olivieri, tradizionalmente ci sono le migliori scuole di lievitisti italiane, abbiamo una lunga tradizione – e questa cultura ci permette di realizzare un prodotto ad alta digeribilità. Per noi lavorare solamente con il lievito madre nei nostri lievitati è imprescindibile, ogni giorno lo rinfreschiamo e ne abbiamo cura come se fosse un figlio. Abbiamo una vera e propria dedizione ed ossessione riguardo alla sua cura perché chiaramente il suo stato di forma è fondamentale per la buona riuscita dei nostri lievitati. Per far capire quanta importanza abbia per noi un eccellente lievito madre ricordo che un paio di anni fa quando ci siamo trasferiti nella nostra nuova location eravamo nel pieno della produzione dei panettoni. Quindi momento fondamentale e molto importante per la nostra azienda. Ovviamente nella nuova location erano appena state date le tinte ai muri e mancava appunto quella buona “contaminazione” dei microorgaismi del lievito madre essendo un ambiente nuovo e praticamente asettico.
Per questo motivo abbiamo tenuto in quei due mesi separata la produzione del panettone e del lievito madre nel vecchio locale e pian pianino portavamo qualche pezzo di lievito madre nel nuovo laboratorio in modo da poter “contaminare” di microorganismi del nostro madre anche nel nuovo laboratorio. Abbiamo fatto cosi per circa 3-4 mesi,poi pian piano abbiamo iniziato a rinfrescarlo anche nel nuovo laboratorio e contemporaneamente anche nel vecchio. Fino a che abbiamo visto che il madre anche nel nuovo laboratorio aveva il suo bel sviluppo e il suo solito bouquet aromatico e quindi l’abbiamo trasferito finalmente nel nuovo”.
Tanta maniacalità si rispecchia anche sulla lavorazione dell’impasto che viene lasciato maturare per più di 48 ore “Per noi la digeribilità e sofficità del nostro prodotto deve essere un must. Per cui abbiamo scelto di lavorare con lunghe maturazioni, per dare il tempo al nostro impasto di maturare in modo che possa poi risultare più digeribile e più soffice”.
E la pirlatura? Manco a dirlo viene effettuata a mano: ”Noi non abbiamo macchine per pirlare – precisa con orgoglio Nicola Olivieri – ma preferiamo formare a mano i nostri lievitati perché pensiamo che la nostra energia ed il nostro tocco manuale possano trasmettere al nostro lievitato un valore in più”.
Ovviamente un rigore maniacale viene rispettato anche nella scelta degli ingredienti: le uova provengono da un allevamento biologico; la vaniglia bourbon del Madagascar, viene acquistata integrale a baccelli che vengono poi tagliati in laboratorio per ricavarne la polpa. Acquistata, non importata commercialmente nel senso che gli Olivieri sono andati personalmente in Madagascar per verificarne la produzione nelle farm e hanno parlato con i coltivatori per capire meglio la qualità del loro prodotto e come si differenzi rispetto ad altri. E anche per scegliere quale burro usare gli Olivieri si sono recati in Belgio e solo dopo aver ispezionato personalmente gli allevamenti e averne verificato la rispondenza ai requisiti organolettici voluti, hanno deciso quello, di alta qualità, che faceva al loro caso.
Per la glassa di mandorle, nocciole e pinoli: si usano materie prime italiane dop. E il miele italiano d’acacia è di un produttore locale ovviamente biologico “che secondo noi ha una marcia in più anche in termini di gusto”. Infine l’arancia candita, impensabile acquistarla già fatta, non esiste proprio per gli Olivieri: ”ci candiamo personalmente l’arancia, che deve rimanere morbida e a differenza delle altre colombe la tritiamo finemente in pasta perché venga distribuita omogeneamente nell’impasto” Così come, a differenza delle altre colombe all’interno si possono notare anche i puntini neri della vaniglia Bourbon del Madagascar.
Ovviamente l’assenza totale di conservanti e il metodo naturale di lavorazione rendono effimera la vita delle Colombe Olivieri, che durano 30-40 giorni a differenza delle industriali che vanno avanti per mesi. E’ il prezzo da pagare per un prodotto artigianale in tutti i significati del termine. Insomma come diceva una vecchia pubblicità degli anni ’90, la differenza c’è, si sente e si apprezza. E a Pasqua vola alto la Colomba di Olivieri 1882.
Olivieri 1882 – Elementary
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