Sorpresa, anzi, sorpresona. Tra la fine di luglio e l’inizio di agosto sono arrivati i report sul secondo quarter dell’anno delle multinazionali, compreso quello della nuova grande protagonista della tecnologia domestica, la Beko World, ma non il report del n.1 mondiale, la cinese Midea, che, pur avendo chiuso i conti del trimestre e del semestre al 30 giugno, per la prima volta stava letteralmente saltando il tradizionale appuntamento. Che poi, in extremis, tra incertezze e altro, ha onorato soltanto ieri, dopo un mese e mezzo di chiusura dei conti, con un notevole ritardo, e dopo le numerose richieste della stampa finanziaria mondiale. E, en passant, siamo in grado di rivelare che Midea ha fatto un altro colpaccio, acquistando a giugno da Heritage la tedesco-spagnola Teka (built-in fascia alta), che ha 600 milioni di euro di vendite. Ancora una volta, i risultati di Midea e delle conglomerate cinesi delle tecnologie (smart, home, city, automotive…) sono buoni, anzi ottimi. Ma in un contesto che non ha favorito e non favorirà per niente la loro progressione. E vediamo il perché.
Midea: perché il silenzio tombale sul secondo trimestre
Dal gigante cinese niente comunicazioni, nemmeno riservate, nemmeno – pare – agli azionisti sul perché del ritardo. Ovviamente negano – in modo ottuso – qualsiasi contatto con la stampa. Di certo, c’è un debutto molto, molto difficile alla borsa di Hong Kong, conclusosi positivamente solo dopo quasi due anni di attesa. Siamo in grado di riportare il parere di un altissimo funzionario del Pcc: “Lo stesso giorno in cui il Politburo del Pcc ha tenuto la sua riunione il 30 luglio, Xi, in una lettera, ha invitato gli imprenditori di Hong Kong a incrementare gli investimenti nella Cina continentale e a contribuire alla riforma e all’apertura del Paese”. Cioè: finanziate l’espansione e la ricerca del Paese prima ancora di arricchirvi all’estero, portando risorse fuori dal Paese”.
Inoltre, il 2 luglio, la società ha annunciato importanti cambiamenti ai vertici, anche a seguito degli obblighi derivanti dalla quotazione a Hong Kong. La società è comunque in piena espansione (ha di recente potenziato la fabbrica e il centro R&D europei della climatizzazione e delle energie alternative, l’italiana Clivet) e ha debuttato nel retail con le lavatrici e le lavastoviglie built-in (tutto entry level). Ma per il momento, dunque, la campagna-acquisti della multinazionale cinese si è fermata, anche se la sua offerta di acquisto di Electrolux è sempre lì, sul tavolo delle trattative interrotte.
Quanto ai risultati del secondo semestre conclusosi il 30 giugno, Midea Group ha riportato i risultati. Per il semestre, l’azienda ha registrato un fatturato di 218.121,84 milioni di CNY rispetto ai 197.795,61 milioni di CNY di un anno fa. L’utile netto è stato di 20.804,18 milioni di CNY rispetto ai 18.232,29 milioni di CNY di un anno fa. L’utile base per azione da attività continuative è stato di 3,02 CNY rispetto ai 2,67 CNY di un anno fa. L’utile diluito per azione da attività continuative è stato di 3,01 CNY rispetto ai 2,66 CNY di un anno fa.
La ripresa? Forse nel 2025
Un magrissimo +1%, ma potrebbero arrivare altre sorprese, a causa della perdurante crisi dei consumi che non può non riflettersi, nei prossimi mesi, sulle capacità produttive delle fabbriche e con inevitabili operazioni di M&A, soprattutto se il mercato Usa si chiuderà nel caso in cui Trump vincesse le elezioni. Comunque sia, dopo il secondo anno in chiusura negativa in Italia, in Europa e in quasi tutti i mercati dei paesi industrializzati, gli esperti profetizzano un +1% sia per gli elettrodomestici che per l’elettronica di consumo (per questa forse nemmeno l’1%), a causa degli aumenti dei listini, delle bolle e delle crisi edilizie in molte aree del mondo e del clima bollente a causa dei conflitti. Così anche l’impetuosa avanzata della Haier in Europa si è fermata. Avanzano Hisense e la “debuttante” Tcl, anche nel segmento importantissimo dell’elettronica di consumo, entrambe grazie a un management non cinese (italiano soprattutto), che ben conosce i mercati europei.
Il piano Beko Europe? Slitterà forse
Il ceo della multinazionale turca, Hakan Bulgurlu, particolarmente attivo sui social nel diffondere le sue straordinarie imprese sportive, dall’Everest ai poli, sempre in nome di un forte impegno ambientale, aveva promesso al ministro Urso, ai sindacati, alla stampa, che a settembre avrebbe rivelato a grandi linee il piano di riorganizzazione della struttura industriale e commerciale ereditata, la ex Whirlpool Emea, Africa e MO. Sarà molto difficile che possa mantenere la promessa e si parla di un rimando a ottobre. Il problema è che i vertici turchi – Bulgurlu in primis – non hanno certo una spiccata propensione a dialogare con la stampa come di consueto usano fare le società quotate e con grandi responsabilità sociali verso il territorio. Il vero problema dei nuovi “padroni” delle nostre fabbriche è proprio questo: una scarsa trasparenza. E questo è tanto più preoccupante poiché, nel frattempo, stanno arrivando in finale i tempi della cassa integrazione degli stabilimenti italiani del Bianco.
Un pesante allarme sociale che nella caldissima Capitale, tra i sonnecchianti banchi della maggioranza, non sapranno come affrontare da settembre. Perché a settembre, la vicenda Electrolux potrebbe risolversi in un’altra uscita in stile Whirlpool Emea: Electrolux potrebbe lasciare vendendo a qualcuno le fabbriche europee per gestire negli Stati Uniti un’emergenza già affrontata da Bosch: investire nelle fabbriche americane e creare alleanze o altro per garantirsi una protezione dalla tempesta dei dazi sull’import che Trump o Harris potrebbero scatenare per duplicare il Chips Act, il vincente programma di Biden, che ha ben governato il made in America come nessun altro. Potrebbero essere assegnati centinaia di miliardi di dollari a chi apre centri di ricerca e di produzione in America per device smart che rilancino edilizia e consumi. E allora, se Electrolux lascia l’Europa, si capisce il perché della nomina di Fierling, un eccellente manager di taglia europea, grande conoscitore dei mercati europei ma meno esperto in una gestione strategica di taglia globale.