La normalizzazione dell’economia cinese si sta rivelando più accidentata del previsto, con un rallentamento più improvviso dal terzo trimestre 2021. La Cina si era rapidamente ripresa dalla prima ondata pandemica nel primo trimestre 2020, con una crescita del Pil che ha raggiunto il +2,3%, un livello ridotto ma tra i pochissimi tassi di crescita positivi al mondo nel 2020. Da allora, tuttavia, la crescita è stata modesta e Euler Hermes suggerisce che lo slancio sia rallentato ulteriormente nel corso di quest’anno. La produzione industriale è cresciuta in media del +5,9% a luglio-agosto e dovrebbe rallentare ulteriormente a settembre, rispetto a una media del +7,8% nel secondo trimestre. Allo stesso tempo, anche gli investimenti in immobilizzazioni (+8,9% ad agosto rispetto a +12,6% nel primo trimestre) e le vendite al dettaglio (+5,4% a luglio-agosto rispetto al +13,9% nel secondo trimestre) hanno rallentato più del previsto.
Il policy mix cinese è stato intenzionalmente inasprito dalla fine del 2020, ma potrebbe allentarsi in futuro per aiutare l’economia a superare le incognite in corso. Il Pil in crescita, la forte domanda esterna e i segnali di ripresa interna hanno convinto le autorità a concentrarsi sulla lotta alle vulnerabilità di lungo termine, piuttosto che stimolare la crescita a breve termine. Di conseguenza, la politica fiscale si è irrigidita, con un taglio della spesa pubblica e persino un bilancio in pareggio nella prima metà di quest’anno. I responsabili politici cinesi stanno passando da un quadro di “aggiustamento anticiclico” a un quadro di “aggiustamento a ciclo incrociato”, in cui il policy mix viene allentato con cautela in modo da evitare che gli stimoli diventino ora rischi finanziari in futuro.
L’aumento del controllo normativo, in particolare nei settori immobiliare ed energetico, è il principale freno alla crescita economica. Regole più severe per contenere l’indebitamento nel settore immobiliare sono state messe in atto nel secondo tempo 2020. La regolamentazione e le condizioni di credito generalmente restrittive hanno portato a una flessione nell’attività del settore immobiliare dalla fine del 2020, nonché a problemi di liquidità e solvibilità. In futuro, gli analisti ritengono improbabile che le autorità elimineranno le restrizioni messe in atto. Ciò significa che l’attività economica nel settore immobiliare rimarrà probabilmente debole nei prossimi trimestri con ulteriori inadempienze, anche se una crisi sistemica dovrebbe essere evitata.
Quest’anno l’attenzione normativa si è concentrata anche sul settore energetico, con il razionamento imposto per raggiungere gli obiettivi climatici. In futuro, anche se il razionamento dell’energia dovesse essere allentato, la produzione industriale sarà influenzata negativamente e i costi energetici aumenteranno nei prossimi mesi (del 5-30% nell’industria pesante).
In questo contesto, le previsioni di crescita del Pil cinese sono state riviste al ribasso a +7,9% nel 2021 e +5,2% nel 2022, da +8,2% e +5,4% rispettivamente. È probabile che le preoccupazioni per il rallentamento economico cinese rimangano nei prossimi trimestri, con i rischi ancora al ribasso. Il principale rischio al ribasso: un ampliamento delle questioni immobiliari su altre aree dell’economia. Tale situazione potrebbe essere il risultato di politiche eccessivamente restrittive, ad esempio sulle condizioni di liquidità e sulla regolamentazione. La debolezza della fiducia si protrarrebbe più a lungo, portando a un rallentamento più marcato del previsto dell’attività immobiliare. Un altro rischio al ribasso: l’aumento delle tensioni geopolitiche. Nuove tensioni sono emerse nella regione quando un numero record di aerei militari cinesi ha volato nella zona di Taiwan all’inizio di ottobre 2021. La probabilità che scoppi un conflitto reale rimane estremamente ridotta dal momento che tutte le parti ritengono i costi superare i benefici. Tuttavia, la situazione crea le condizioni per un’ulteriore escalation accidentale.
Dal punto di vista dell’offerta globale, il rallentamento economico cinese potrebbe aumentare ulteriormente il costo del commercio e allungare i ritardi di consegna. In particolare, le misure di razionamento dell’elettricità stanno spingendo verso l’alto i costi di produzione, aumentando il prezzo delle merci esportate dalla Cina nel resto del mondo con pressione sui margini aziendali, soprattutto in Europa.
Potenziali nuovi focolai di Covid-19 in Cina potrebbero anche spingere i ritardi della catena di approvvigionamento ancora più a lungo. Inoltre, non ci si aspetta un forte deprezzamento del CNY che potrebbe compensare queste pressioni al rialzo dei prezzi. Oltre agli effetti sui prezzi, un’attività industriale e manifatturiera più lenta in Cina potrebbe peggiorare i problemi di produzione in Usa ed Europa.
Dal punto di vista della domanda globale, alcuni prezzi delle materie prime, i mercati emergenti e gli esportatori verso la Cina risentirebbero del rallentamento economico. Una Cina più lenta è per lo più negativa per i mercati emergenti, la regione Asia-Pacifico e alcuni esportatori di materie prime. Cile, Hong Kong, Perù, Australia e Sudafrica potrebbero essere a rischio, dal momento che le esportazioni verso la Cina in edilizia e metalli rappresentano oltre il 2% per categoria. Al contrario, gli esportatori di energia e più precisamente di carbone termico (in particolare in Indonesia, Malesia e Australia) probabilmente vedranno un aumento della domanda nel contesto della crisi energetica in corso a Pechino.
Al di là del breve-medio termine, i paesi dipendenti dalla domanda cinese dovranno affrontare un regime di crescita più bassa (iniziato prima del Covid-19) e i rischi che ne derivano. In effetti, gli analisti suggeriscono che la crescita del Pil cinese sarà in media tra il +3,8% e il +4,9% nel prossimo decennio (dopo il +7,6% negli anni 2010). Il cambiamento del modello economico cinese potrebbe anche alterare le esposizioni degli esportatori nel lungo periodo, con perdite per quelli che dipendono da industria pesante ed edilizia, mentre consumo e beni ad alta tecnologia potrebbero trarne beneficio.
Dal punto di vista dei mercati finanziari, il rallentamento economico cinese potrebbe pesare anche sulle azioni, con un potenziale effetto negativo sulla ricchezza dei consumatori. Nel 2020, 75 società dell’indice S&P 500 (20% della capitalizzazione di mercato totale) e 100 società dell’indice STOXX Europe 60 (30% della capitalizzazione di mercato totale) hanno registrato vendite in Cina. Tra queste società, la Cina ha rappresentato il 15% dei ricavi totali negli Usa e il 12% in Europa. Ecco allora che un rallentamento economico cinese potrebbe pesare sui mercati dei capitali, con un impatto sulle famiglie e sui consumi privati attraverso un effetto ricchezza negativo. I titoli in questione ammontano al 25% delle attività finanziarie delle famiglie in Germania, al 28% in Francia, a circa il 40% in Italia e Spagna e fino al 55% negli Usa.
Le preoccupazioni per il settore immobiliare cinese potrebbero fungere da campanello d’allarme per altri paesi? Nello studio gli analisti non trovano altre società che presentino un rischio di entità simile a Evergrande. Un’ulteriore forma di ricadute finanziarie, anche se si evita un diffuso contagio del sentiment (sia nelle azioni che nel credito societario), è a livello di settore immobiliare. Gli eventi in corso hanno messo il settore sotto stretto controllo non solo in Cina, ma anche nel resto del mondo. Di fronte alle incertezze che circondano la ripresa post-Covid, è ancora incerta l’impronta a lungo termine che la crisi lascerà sul settore, dato il passaggio allo smart working e l’aumento dei prezzi immobiliari.