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La Cina fa paura alle Borse, al lusso e anche al Made in Italy

FIRSTonline

Altro che casualità. C’è del metodo dietro la pressione che le autorità cinesi stanno esercitando sui listini di Borsa con ricadute massicce, oltre che sugli indici di Hong Kong e Shangai, su Wall Street, dove accusa perdite pesanti l’indice Golden Dragon, dedicato ai titoli cinesi quotati in Usa (tra cui Alibaba, ai minimi dalla quotazione) e sulla Borsa parigina, la culla del lusso (poco meno di un quinto dell’intera capitalizzazione), dove l’ammiraglia Lvmh fatica a raddrizzarsi dopo un salasso di una trentina di miliardi di euro, tanti quanti ne ha lasciati sul terreno per la paura dei mercati sul futuro degli acquisti nel lusso da parte  dei cinesi, che rappresentano qualcosa di più del 25% dell’intero mercato mondiale.

Hanno senso le preoccupazioni dei mercati? Senz’altro, a leggere le cronache dei giornali ufficiali dopo la riunione che martedì scorso ha coinvolto, alla presenza dello stesso Xi, i membri del Comitato Economico e Finanziario del Partito da cui è emersa a  volontà di chiamare “i ceti a più alto reddito a restituire alla collettività una parte di quello che hanno guadagnato”. L’arricchimento personale non è più “rivoluzionario” come disse Deng Xiao Ping, bensì va corretto ponendo al centro “la prosperità comune”. Con un obiettivo preciso: spingere le famiglie a fare figli, contrastando il rischio della crescita zero della popolazione, vissuta come una minaccia agli obiettivi della grande Cina. In sintesi, l’opposto della politica del figlio unico che ha accompagnato l lunga marcia verso un dignitoso sviluppo.  

L’atto culminante della nuova politica è arrivato ieri, con la modifica alla legge sulla Popolazione che consentirà alle coppie di poter avere fino a tre figli. Lo Stato, secondo le nuove disposizioni rilanciate dall’agenzia Xinhua, “promuove il matrimonio e il parto all’età giusta, l’assistenza prenatale e postnatale”, mentre ogni “coppia può avere tre figli”. Già nel 2016 era stata abolita la legge del “figlio unico” che era stata varata per il problema opposto a quello di oggi: fermare l’esplosione demografica. Perché la legge abbia effetti concreti, però, occorre convincere i giovani a correggere gli stili di vita che si vanno imponendo ad Oriente.Di qui una serie di iniziative che hanno investito i listini di Borsa, oltre all’andamento dei costumi. 

Sono finite nel mirino le società Internet, in linea di massima colpevoli di comportamenti che sfuggono al controllo delle autorità. Si è cominciato, a novembre, con lo stop alla quotazione di Ant, il braccio finanziario di Alibaba, colpevole di emanciparsi dal sistema delle banche statali.

Si è proseguito con la punizione di Didi, l’Uber di Pechino, colpevole di aver scelto la strada della quotazione in Usa, prima del via libera delle autorità. 

I videogiochi di Tencent sono finito nl mirino con l’accusa di essere “l’oppio” dei giovani e di diffondere una visione distorta della storia patria. 

Stamane, poi, c’è stato il colpo di grazia: la televisione di Stato di Pechino ha informato che il Comitato Permanente del Congresso del Popolo ha approvato una legge di protezione delle informazioni personali, ovvero dei dati che le aziende della Internet Economy si scambiano e vendono come una merce qualsiasi, una minier d’oro che lo Stato intende riservare solo a sé medesimo. la vera ricchezza di questi soggetti. Non ci sono indicazioni più precise sul nuovo atto legislativo, se non quelle relative alla sua entrata in vigore, il primo di settembre. 

Ancor più esplicita la decisione di mettere fuori legge i tutor delle scuole private, il sostegno costosissimo delle ambizioni dei giovani studenti a caccia di un posto nelle scuole più prestigiose. 

Altri provvedimenti in grado di ridurre la diseguaglianza tra ricchi e poveri, assai più pronunciata che in Europa, sembrano alle porte, a giudicare da quanto lascia intendere il presidente Xi. Si va, dunque, verso un aumento dell’imposizione fiscale per i ricchi a vantaggio dei primi fondamenti del welfare, e soprattutto della classe media che però di sicuro non può permettersi il lusso di una borsa Prada (-9% stamane d Hong Kong) o un piumino Moncler (altra vittima della stretta).

Quali le conseguenze per il made in Italy? La Cina resta un enorme bacino di possibili clienti, dall’abbigliamento all’alimentare. Ma, probabilmente, sarà necessario correggere i target.

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