L’industria della ceramica italiana è uno dei fiori all’occhiello del Made in Italy, un vero e proprio pilastro dell’economia nazionale. Conosciute per la loro qualità, innovazione e design, le ceramiche italiane sono apprezzate in tutto il mondo, tanto che oltre l’80% della produzione vola verso l’estero. Nel 2023, il fatturato ha toccato i 7,6 miliardi di euro, con un export che si attesta a più di 4,4 miliardi di dollari. Distretti come Sassuolo, rinomata come la capitale della ceramica per le sue piastrelle di alta qualità e design innovativo, e Imola, celebre per la sua arte ceramica tradizionale e tecniche all’avanguardia, sono diventati icone di eccellenza, mentre Civita Castellana si distingue per i suoi sanitari di alta qualità, contribuendo significativamente alla reputazione globale della ceramica italiana.
Ma anche per un’industria così brillante, il panorama non è tutto rosa e fiori: per la prima metà del 2024 si prevede un calo del 4% nel fatturato, anche se la produzione in volume rimane solida. Le difficoltà spaziano dalla transizione energetica alla competitività internazionale, passando per la necessità di adeguarsi a normative ambientali sempre più stringenti. E come se non bastasse, il rischio di delocalizzazione, causato da costi in aumento e incertezze infrastrutturali, si fa sentire, mentre il mercato interno esercita pressioni costanti. Eppure, nonostante queste difficoltà, il settore non si ferma. Al contrario, continua a investire in innovazione e sostenibilità, puntando a un futuro in cui qualità e tradizione si sposano con nuove tecnologie e rispetto per l’ambiente. Tuttavia, per rimanere competitiva, l’industria ceramica è consapevole della necessità di decisioni strategiche e interventi concreti, soprattutto sul fronte politico e infrastrutturale.
È proprio in questo contesto di sfide e opportunità che si è aperta Cersaie 2024, l’evento internazionale dedicato alla ceramica e all’arredobagno, che punta a superare i 100mila visitatori e avvicinarsi ai record pre-Covid. Durante il convegno “Transizione Energetica e Competitività Internazionale per la Ceramica Italiana”, esperti del settore e rappresentanti istituzionali hanno animato un dibattito vivace su come affrontare le sfide globali, senza perdere di vista innovazione e sostenibilità.
Ets e transizione energetica: a rischio competitività e decarbonizzazione
All’interno dell’industria ceramica italiana, le sfide sono numerose e, paradossalmente, la preoccupazione principale non è tanto la volatilità della domanda, quanto l’impatto delle normative europee che rischiano di soffocare il settore. L’Ets, il sistema europeo di scambio delle quote di emissione di CO2, e il piano Transizione 5.0 sono emersi come i veri “cattivi” in questa storia.
Mentre la prima Commissione von der Leyen ha fissato obiettivi ambiziosi per la decarbonizzazione, sorge il timore di una deindustrializzazione forzata in Europa, che avvantaggerebbe i Paesi emergenti e le loro industrie più inquinanti. Insomma, un controsenso che potrebbe minacciare la competitività della nostra ceramica di alta qualità, ammirata in tutto il mondo. Augusto Ciarrocchi, neopresidente di Confindustria Ceramica, ha messo in guardia: “Siamo un sistema industriale preso a modello nel mondo, ma oggi corriamo seri rischi di delocalizzazione”, evidenziandol’urgenza di rivedere le regole europee sulle emissioni.
Anche se la bolletta energetica è diminuita, i costi rimangono insostenibili e le infrastrutture carenti non aiutano, come ha sottolineato Vittorio Borelli, vice presidente di Confindustria Ceramica. La pressione delle norme e dei costi si fa sentire e, come avverte Franco Manfredini, le quote Ets, che potrebbero raddoppiare nei prossimi anni, mettono a rischio i nostri forni, fondamentali per la produzione di ceramiche d’eccellenza.
Inoltre, le normative attuali non considerano le peculiarità del nostro settore: mentre altre industrie beneficiano di deroghe specifiche, le ceramiche sono rimaste escluse. Questa situazione potrebbe spingere molte aziende a spostare la produzione all’estero, mettendo a rischio non solo il futuro di Sassuolo – il cuore pulsante della ceramica italiana – ma anche decine di migliaia di posti di lavoro nell’indotto.
“Non possiamo permetterci di perdere imprese italiane a causa degli elevati costi energetici”, ha avvertito Emanuele Orsini, presidente di Confindustria. È cruciale adottare misure specifiche che restituiscano competitività alle aziende, in attesa che le tecnologie decarbonizzate diventino una realtà praticabile ed economicamente sostenibile. Ma, come si suol dire, “la vita è un cerchio” e questa industria ha dimostrato di saper rinnovarsi e affrontare le sfide con resilienza e ingegno.
Concorrenza sleale e dazi inefficaci: la lotta contro prezzi stracciati
Accanto a queste sfide, l’industria ceramica italiana si trova a dover affrontare la concorrenza spietata di produttori asiatici, in particolare Cina e India. Questi Paesi possono vantare costi di produzione significativamente più bassi, grazie a normative ambientali e sociali meno rigorose. Anche se gli Stati Uniti e l’Unione europea hanno tentato di introdurre dazi antidumping per proteggere il settore, i risultati sono stati altalenanti. I dazi europei sulle ceramiche cinesi, che variano tra il 30% e il 70%, hanno contribuito a mantenere un certo equilibrio; tuttavia, i produttori indiani continuano a offrire prezzi competitivi, rendendo i dazi europei – oscillanti tra il 6% e il 9% – palliativi. Con un prezzo medio di 6 euro al metro quadrato per i prodotti indiani rispetto ai 15,50 euro per quelli italiani, la competizione sleale pesa fortemente anche sui produttori spagnoli.
Ciarrocchi non ha dubbi: “Se le aziende concorrenti di altre nazioni venissero messe sulla nostra stessa linea di partenza, saremmo imbattibili”.
Il panorama si complica ulteriormente con le recenti notizie di aliquote al 400% da parte degli Usa, che hanno bloccato le vendite di piastrelle dall’India. Questo ha costretto i produttori indiani a dirottare le loro esportazioni verso l’Europa, creando una situazione ancora più difficile per le aziende locali.
Se i dazi possono temporaneamente mitigare il flusso del dumping, la vera sfida rimane quella di garantire una competizione “ad armi pari”, in un contesto in cui la mancanza di una regolamentazione adeguata sull’origine dei prodotti in Europa aggrava ulteriormente la situazione.
Innovazione e formazione: la ricetta della ceramica Made in Italy
Per competere efficacemente, l’industria punta su innovazione, ricerca e formazione. Le aziende stanno sviluppando nuovi materiali, tecnologie e design che coniugano tradizione e modernità, mantenendo sempre alta la qualità e l’originalità dei prodotti del “Made in Italy”.
Nel 2023, il settore ha sfiorato il mezzo miliardo di euro in investimenti, concentrandosi sullo sviluppo di soluzioni in grado di ridurre consumi, emissioni e utilizzo di materie prime. Ad eccezione del 2020, le aziende hanno costantemente destinato tra il 6% e il 10% del fatturato all’innovazione e allo sviluppo, anche in periodi economici estremamente difficili. Ma l’innovazione non si ferma ai numeri; è anche una questione di persone.
La formazione del personale è cruciale per garantire che le competenze siano sempre al passo con le esigenze del settore. Ciarrocchi è chiaro: “Basta con norme generalizzate; le aziende serie e innovative devono poter formare il personale in base alle loro reali esigenze”. È, però, essenziale che le politiche europee e nazionali siano allineate per supportare e non ostacolare questo processo.
In questo panorama, eventi come Cersaie non sono solo vetrine per le ultime tendenze, ma occasioni d’oro per costruire reti e scambiare idee innovative. Il futuro del “Made in Italy” nella ceramica dipenderà quindi dalla capacità di rispondere a queste sfide con un approccio strategico e innovativo, consolidando il prestigio e la leadership mondiale nel settore.