Si dice Svizzera e si pensa, per associazione di idee, ad un “Sistema Paese” perfettamente regolato, in cui tutto funziona in modo coerente con i suoi principi ispiratori di sicurezza e solidità. Purtroppo, la vicenda drammatica del Credit Suisse (Cs), ricostruita in modo rigoroso nelle pagine del libro di Mathilde Farine, giornalista svizzera specializzata in campo economico – finanziario, mostra inequivocabilmente che, anche per i nostri vicini d’Oltralpe, le numerose falle e criticità riscontrate impongono un ripensamento sistemico e programmatico del proprio mondo finanziario. Ne è convinto anche Stefano Righi, giornalista economico, esperto del mondo bancario ed assicurativo, che, oltre a curare la versione italiana del libro, ha scritto a questo proposito alcune interessanti considerazioni, accolte nella sua Prefazione.
La caduta – Il caso Credit Suisse
Gli undici agili capitoletti, a cui vanno aggiunti un Prologo e una Conclusione, in cui si articola questo volume e lo stile accattivante ne rendono la lettura decisamente invitante, anche per un pubblico ben più ampio di coloro che sono professionalmente interessati al mondo finanziario. Nel libro, poi, oltre ad una bibliografia, utile per ulteriori specifici approfondimenti, alcune pagine sono dedicate, sia ad una Cronologia Essenziale della storia di Cs, sia a “Gli uomini chiave del Credit Suisse”, in cui vengono tratteggiati sinteticamente i profili di personaggi significativi per la sua storia ultrasecolare.
Sfogliando le pagine, il lettore potrà, dunque, ripercorrere le tappe fondamentali di questa banca: dalla sua fondazione nel 1856, al tragico epilogo, avvenuto durante un weekend del marzo dello scorso anno e, comunque, appena in tempo, prima dell’apertura dei mercati asiatici, con la sua incorporazione nell’altra banca sistemica della Confederazione, l’Union des Banques Suisses (Ubs).
L’industrializzazione della Svizzera e l’internazionalizzazione delle sue banche
Un aspetto meritorio di questa ricostruzione è l’averla collocata nel più ampio ambito dei due processi, di progressiva industrializzazione della Svizzera e di internazionalizzazione del suo sistema bancario.
Se per il primo dei due fenomeni, l’industrializzazione, gli esiti sembrano essere stati decisamente positivi, altrettanto non può proprio dirsi per il profilo dell’internazionalizzazione. Sono, infatti ben documentate le numerose difficoltà e disavventure in cui sono incappate a più riprese su questo versante molte banche svizzere, anche le più importanti e non solo Cs: a cominciare da Ubs, che, dopo una crisi acuta del 2008 successiva al fallimento di Lehman Brothers, paradossalmente, si troverà a salvare dal disastro irreversibile il suo principale competitor, lo stesso che, ironia della sorte, quindici anni prima, era stato a un passo dall’acquisirla.
All’origine di queste negatività si devono porre le rilevanti inadeguatezze evidenziate sia nelle strategie di crescita delle banche di maggior rilievo, orientate in modo eccessivo all’investment banking, sia nella gestione dei rischi, come testimoniato dal coinvolgimento in alcuni fallimenti clamorosi, ultimi in ordine di tempo quelli di Greensill e di Archegos; sia, infine, nella strumentazione regolamentare e sanzionatoria a disposizione della Banca Centrale e dell’Autorità di Vigilanza svizzere.
Le cause della crisi Credit Suisse
Passando dal quadro d’insieme alla specifica vicenda di Credit Suisse, l’Autrice punta il proprio dito accusatore sugli effetti della sua espansione nel mercato statunitense, culminata con l’ingresso nel 1988 nel capitale di First Boston. Un’espansione, a suo giudizio, colpevole di aver determinato un pericoloso appiattimento della cultura manageriale di Credit Suisse, monopolizzata dalla ricerca esclusiva di profitti per la banca e di cospicui bonus per i suoi dirigenti, a scapito di un’oculata e rigorosa gestione del rischio. A ciò si sono, poi, accompagnate una deprecabile superficialità nella selezione della classe dirigenziale nel frattempo costituitasi e una grave mancanza di incisivi interventi formativi.
Altro capitolo doloroso su cui insiste la Farine è quello delle evidenti carenze negli interventi (che, pure, ci sono stati) dell’Autorità di Vigilanza, nonostante i numerosi scandali finanziari in cui Credit Suisse è risultato coinvolto: dal cosiddetto caso Chiasso del 1977, a quello di aver favorito l’evasione fiscale di numerosi cittadini statunitensi, contestata dal Fisco di quel Paese nel 2014, all’altro dei Tuna Bonds del Mozambico nel 2016, solo per citarne alcuni di una lista ben più lunga.
Quali insegnamenti si possono trarre dalla vicenda Credit Suisse
Come accade in casi del genere, in cui le dimensioni dell’istituzione in difficoltà preoccupano per il possibile insorgere di rischi sistemici, ci si domanda quali insegnamenti si possono trarre dalla vicenda di Credit Suisse.
La risposta, la cui validità non è certamente limitata alla sola Svizzera, è quella di dotare le istituzioni finanziarie di una governance in grado di imprimere una cultura manageriale aziendale, attenta all’innovazione, ma sostenuta e caratterizzata da una gestione oculata del rischio.
Quanto alle Autorità di Vigilanza, non è certamente casuale che, così come avvenuto nella stessa Confederazione, hanno colto questa specifica occasione del salvataggio in extremis di Credit Suisse per chiedere con insistenza un rafforzamento dei propri poteri di intervento e di sanzione.
Mathilde Farine “La caduta – Il caso Credit Suisse”, Milano 2024, Guerini E Associati, pagg.152, Euro 16,50