Prima di vedere quello che è cambiato diamo però un’occhiata, pro memoria, alle costanti che continuano a produrre i loro effetti positivi. La più importante è ovviamente la crescita, che continua e va semmai redistribuendosi dall’America all’Europa dopo essere stata fortemente sbilanciata a favore della prima nel secondo trimestre. La seconda è data dai buy back, che proseguono imperterriti al ritmo di un trilione l’anno negli Stati Uniti. Questi due fattori dovrebbero continuare ad operare nei prossimi sei mesi.
A moderare le due costanti positive c’è la costante di fondo negativa della normalizzazione delle politiche monetarie, lenta finché si vuole ma, per l’appunto, costante. Questa normalizzazione ha fatto salire i rendimenti sulla parte breve della curva ma è andata sostanzialmente di pari passo con l’inflazione. I tassi reali rimangono a zero o sotto zero, mentre le attese di inflazione incorporate nella parte lunga rimangono contenute.
Veniamo allora alle tre novità e cominciamo dai dazi.
Sui dazi nei mesi scorsi si sono tirati fuori i massimi sistemi e si sono fatti nel mercato discorsi molto ideologici su liberismo e protezionismo, sulla fine della globalizzazione, del progresso e della crescita.
La realtà che si sta manifestando sotto i nostri occhi è meno altisonante e più articolata. L’offensiva di Trump sta producendo tre strategie diverse, una per il Nord America, una per l’Europa e una per la Cina.
Nel Nord America si va verso un riequilibrio del Nafta, con gli Stati Uniti che si riprendono una parte dello spazio che avevano concesso a Messico e Canada. Non ci sono nuove barriere degne di nota ma una redistribuzione dei carichi. Significativo l’accordo tra Trump e il populista di sinistra López Obrador sul salario minimo di 16 dollari per i messicani che producono auto destinate agli Stati Uniti, una strizzata d’occhio di Trump ai sindacati americani e un’idea che López Obrador è ben felice di vendere ai suoi elettori.
Con l’Europa si va verso un azzeramento delle tariffe sulle auto. La Merkel e la Malmström hanno accettato l’idea, buttata lì da Trump come alternativa a una guerra dei dazi e considerata inizialmente impossibile. Se così sarà, la borsa tedesca avrà un buon recupero dei ciclici, a condizione che l’euro più forte non si porti via il rialzo un’altra volta.
Con la Cina le cose sono diverse. Qui è ormai chiaro che da parte americana non c’è solo la voglia di riequilibrare l’interscambio ma anche soprattutto quella di ridimensionare le ambizioni strategiche della Cina. Le filiere produttive di Cina e America gradualmente si separeranno, con grande vantaggio di paesi come Vietnam o Bangladesh.
Nel complesso, l’intravvedere la soluzione di due dei tre conflitti commerciali sul tavolo è uno sviluppo positivo. Altrettanto importante è l’idea che si sta facendo strada dell’esaurimento di questa prima onda inflazionistica. David Zervos ha sintetizzato molto bene due dei grandi processi in corso. Da una parte, dice, c’è uno shock positivo da offerta negli Stati Uniti (deregulation, diminuzione della pressione fiscale), mentre dall’altra, attraverso i dazi, le sanzioni, e l’uso del dollaro come arma politica, c’è uno shock negativo da domanda che parte dalla Cina e si propaga verso i produttori delle materie prime che alimentano la crescita industriale cinese. Più offerta da una parte e meno domanda dall’altra non possono avere che un effetto di contenimento delle pressioni inflazionistiche eventualmente generate dalla diminuzione della disoccupazione.
Un terzo elemento positivo, oltre a dazi e inflazione, è che i numeri che cominciano a filtrare dalle trattative tra governo italiano e commissione europea non sembrano particolarmente allarmanti. Per contestualizzare, ricordiamo che la Francia, che quest’anno avrà un disavanzo del 2.4, risalirà al 3 nel 2019. Insomma, se si vorrà creare turbolenza sui mercati (sia da parte italiana sia da parte europea) sarà soprattutto per motivi politici.
Tutto bene, quindi? No, non esageriamo. Ci sono problemi nei paesi emergenti. I casi paralleli di Argentina e Turchia, che hanno problemi simili di indebitamento estero ed elevato passivo delle partite correnti, non riguardano solo i paesi che per motivi politici vogliono arrangiarsi da soli (la Turchia) ma anche quelli che seguono disciplinatamente le istruzioni del Fondo Monetario (l’Argentina).
Il quadro è molto fluido e la calma dei mercati non deve fare pensare a un mondo che non si muove. In realtà il mondo cui andiamo incontro nei prossimi anni sarà inquieto e turbolento e anche per questo continuiamo a pensare che la parte solida dei portafogli dovrà essere davvero solida.
In sintesi, siamo positivi (quanto meno per un paio di mesi) sulla borsa americana e, in Europa, su euro e borse (che però dovranno spartirsi tra loro i benefici di un accordo sui dazi con l’America). Aspettiamo ancora qualche settimana per diventare, nel caso, cautamente positivi sull’Italia.
In generale quello che stiamo vedendo in America non ci sembra necessariamente un double top (il primo, lo ricordiamo, fu in gennaio). I double top sono tipici delle grandi fasi di inversione di ciclo, come il 2000 e il 2007. L’inversione un giorno ci sarà, naturalmente, ma non in questo 2018.