Le immagini dei trattamenti anti-ageing dei primi decenni del Novecento nei centri di John Harvey Kellogg, Helena Rubinstein, Max Factor o Elizabeth Arden sono disarmanti. Con il senno del poi sappiamo che la quasi totalità delle costose torture cui ci si sottoponeva per mantenersi giovani e belli erano perfettamente inutili se non dannose.
Tali sono anche, probabilmente, buona parte dei trattamenti di life extension di oggi, a partire dagli integratori che portano all’ipervitaminosi per finire con le terapie ormonali che fanno tornare giovani e vivaci i tessuti ma che d’altra parte accelerano le mutazioni delle cellule e aumentano i rischi oncologici.
E tuttavia, se non si procedesse per tentativi ed errori e se non ci fosse una inesauribile fonte di venditori e di compratori di illusioni che si offrono come cavie non ci sarebbe nemmeno progresso, perché su mille tentativi uno alla fine funziona, va ad arricchire il patrimonio delle nostre conoscenze e ci migliora la vita.
Qualcosa di simile accade ai cicli economici. Se guardiamo alla storia dei tentativi di stabilizzarne o prolungarne la vita vediamo una serie di errori e di orrori. Quello più famoso è quello commesso dalla Federal Reserve nei primi anni Trenta, quando a un certo punto, in piena depressione, si pensò bene di alzare i tassi per fare tornare i depositanti che avevano ritirato i loro soldi dalle banche. I soldi non ritornarono e molti debitori che erano riusciti a sopravvivere grazie ai tassi bassi andarono per aria. Ed errori di segno opposto furono commessi negli anni Sessanta, quando si pensò che un po’ d’inflazione in più, che sarà mai, avrebbe portato molta crescita e molta occupazione in più. Il risultato, la stagflazione, fu disastroso.
E dunque, ad ogni ciclo, si ricomincia da capo, con nuovi tentativi e, immancabilmente, nuovi errori. E così come nell’anti-ageing, in attesa di belle notizie dalla genetica e dalle biotecnologia, rimangono i buoni consigli minimalisti di farsi le scale a piedi e non farsi mai mancare i mirtilli a colazione, nella teoria dei cicli economici il manuale non suggerisce molto di più che di avere una politica monetaria e fiscale espansiva nella prima parte dell’espansione e di diventare gradualmente restrittivi nella seconda parte in modo da prevenire o attenuare il surriscaldamento e l’inflazione. E di essere pro-business (meno regole, meno tasse) nella prima parte del ciclo e antibusiness, se proprio lo si vuole, solo nella seconda. Niente di più.
In questo ciclo, che il mese prossimo compie nove anni, siamo riusciti a non seguire nemmeno il manuale dei suggerimenti minimalisti e ci siamo imbarcati in un nuovo grandioso esperimento.
Solo la politica monetaria, infatti, ha seguito il manuale. È stata molto espansiva nella prima parte del ciclo e ora si avvia ad esserlo di meno. Negli anni scorsi, infatti, i tassi sono andati sottozero e la base monetaria è quintuplicata. Ora invece i tassi salgono e la base monetaria sta iniziando a contrarsi, quanto meno in America, dove la liquidità che verrà prosciugata quest’anno sarà pari a due terzi di quella immessa con il primo Quantitative easing. Non poco.
Il manuale è stato invece lasciato a fare polvere per quanto riguarda tutto il resto. La politica fiscale è stata sì espansiva nei primi mesi successivi alla fine della Grande Recessione del 2008 ma poi, spaventati dall’esplodere dei deficit e dei debiti pubblici, siamo diventati tutti restrittivi. Non solo l’Europa, con la sciagurata politica dell’austerità nel momento peggiore che si potesse immaginare, ma anche l’America di Obama, fiscalmente piuttosto virtuosa.
E come si è stati virtuosi quando bisognava essere prodighi, così oggi si rischia di essere prodighi, abbassando le tasse, quando bisognerebbe essere virtuosi. Ma su questo torniamo più avanti.
L’altro punto di audace sperimentazione riguarda le politiche verso il business. Siamo stati anti-business nella prima fase del ciclo, quando bisognava essere pro-business, e diventiamo tutti pro-business oggi. E così, seguendo pulsioni più giustizialiste che razionali, negli anni scorsi abbiamo tutti introdotto milioni di pagine di regole restrittive per banche e imprese e abbiamo comminato multe enormi alle banche, riducendone la capacità e la voglia di erogare credito. Oggi, a espansione in piena forza e imprese che nuotano nei profitti, deregoliamo e non multiamo più nessuno.
Ma è davvero così? Siamo ridiventati prociclici, disimparando quel poco che abbiamo imparato in un secolo e più di espansioni e recessioni?
Non è detto. Nell’anti-ageing è legittimo e utile distinguere tra scelte strutturali sane (restare magri, muoversi, evitare gli ossidanti e abbondare di anti-ossidanti) che aumentano le potenzialità di vita, come direbbe un economista, dal lato dell’offerta, e terapie discutibili, come quelle ormonali, che aumentano le potenzialità dal lato del dispendio energetico, ovvero della domanda. Le prime sono sane, le seconde portano a un surriscaldamento e sono rischiose.
Il taglio delle tasse e la deregulation dell’amministrazione Trump (insieme all’Abenomics giapponese e ai pallidi tentativi d’imitazione europei) sono ormoni che portano solo surriscaldamento se sono misure temporanee ed estemporanee, magari destinate a essere rovesciate di segno al prossimo cambiamento politico (e non voglia il cielo che questo coincida con una recessione, altrimenti diventiamo ancora più prociclici e non ne usciamo più).
Tagli di tasse e deregulation sono invece misure sane e strutturali come i mirtilli se diventano permanenti. Certo, sarebbe stato meglio introdurle all’inizio di un ciclo economico ma è meglio tardi che mai.
Purtroppo non possiamo sapere se l’accelerazione dell’espansione globale in corso è trainata dai mirtilli o dagli ormoni. La riforma fiscale americana, per rispettare certe regole di bilancio, decadrà gradualmente nel corso dei prossimi anni. La politica potrà naturalmente prolungarla, ma potrà anche anticiparne la decadenza. Quanto alla deregulation, un Congresso di segno politico diverso dall’attuale potrebbe già dall’anno prossimo cambiare di nuovo tutto quanto e iniziare subito a riregolare.
Se siamo di fronte a mirtilli che agiscono sul lato dell’offerta l’espansione può durare ancora a lungo, le borse hanno ancora strada da percorrere e le banche centrali possono alzare i tassi con calma. Si siamo invece di fronte a ormoni destinati ad agire temporaneamente sul lato della domanda (si veda il boom dei consumi a credito e il brusco calo dei risparmi negli Stati Uniti) allora il ciclo, dopo la fiammata in corso, finirà prima di quanto non si pensi, perché le banche centrali saranno costrette a frenare più velocemente e più aggressivamente.
Il 2018 sarà un anno impegnativo per chi investe perché, come abbiamo già iniziato a vedere, si alterneranno e accavalleranno due narrazioni. La prima è quella della crescita sana che accelera (in questo momento è sopra il 4 negli Stati Uniti e vicina al 3 in Europa) e degli utili in forte crescita (in America molto più che in Europa). La seconda è quella della crescita drogata e surriscaldata che costringerà le banche centrali a frenare o, se proprio non vogliono frenare per motivi politici, ad accettare l’inevitabile arrivo dell’inflazione.
A dirimere la questione sarà per l’appunto l’inflazione. Per ora non si vede, ma molti, nel mercato, dicono di sentirne l’odore. A complicare le cose c’è l’arrivo di un nuovo presidente della Fed. Bernanke e la Yellen, per legittimarsi di fronte ai mercati, esordirono mettendo l’accento sulla necessità di controllare l’inflazione. Se anche Powell farà così, le borse correggeranno e la curva dei rendimenti tornerà ad appiattirsi.
In un quadro così complesso e volatile il suggerimento è di comprare borsa su debolezza e vendere bond lunghi su forza. I bond, in questo ciclo, hanno dimostrato di avere nove vite e potranno benissimo averne anche una decima se l’inflazione vera (per ora è salita solo quella attesa) tarderà ad arrivare, ma non conviene mai puntare su qualcosa che ha il vento contro. Meglio il cash o le scadenze brevi.
Le borse, al contrario, potranno assorbire il rialzo dei tassi e anche una ripresa dell’inflazione a patto che il processo sia graduale e a condizione che gli utili si confermino eccellenti.