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La Borsa italiana perde appeal per tante ragioni ma anche perché la scarsa protezione legale degli investitori aumenta la sfiducia

Imagoeconomica

Può ancora attrarre la borsa italiana? Sul piano generale merita rilevare che le borse stanno in parte perdendo la loro principale funzione di patrimonializzare l’impresa; sono accentuate le altre funzioni. Le imprese hanno meno necessità di investire in beni tangibili; si avvalgono della divisione del lavoro con il servirsi dell’apporto esterno di terzi; spesso gli stessi locali sono in affitto. Il valore dell’impresa è sempre più nel reddito per la capacità d’innovazione di personale di livello superiore, con costi rilevati nel conto economico. La liquidità è soprattutto autogenerata o ottenuta da prestiti, spesso a breve termine. La quotazione serve ai primi soci per monetizzare l’investimento e per distribuire la proprietà nel controllo dell’impresa; serve meno a raccogliere capitale d’investimento, che rispecchia il conto patrimoniale.

Il ruolo degli investitori e la restituzione di azioni

Ci spieghiamo la diffusa restituzione ai soci attraverso l’acquisto di proprie azioni. Ne consegue minore incentivo alle quotazioni: troviamo società importantissime non interessate alla quotazione (il recente delisting della Società Apparecchi Elettrici e Scientifici Saes; la Ferrero).

Gli investitori, d’altro canto, sono sempre meno individui e sempre più investitori istituzionali, con obiettivi differenti. Alle estremità troviamo: chi punta alla rapida, rapidissima, negoziazione; di contro, i fondi pensione che investono nella durata, ma che comunque esercitano la loro valutazione sull’andamento della società mediante negoziazione.

Borsa italiana: un mercato da rinnovare

Questa trasformazione nella funzione della quotazione può spiegare un riassetto delle stesse borse, che vede le negoziazioni concentrarsi su borse maggiori, adeguate alle nuove condizioni dell’economia finanziaria globale: è difficile che la nostra borsa possa competere.

Vi sono ragioni più specifiche che riducono l’interesse alla quotazione nella borsa italiana. Sono svariate e non le esamino. Ma una è palese, ed è fondamentale. Nel suo insieme, da noi, la disciplina della responsabilità civile degli operatori del mercato finanziario è andata affievolendosi: è carente, deviante nei punti essenziali. In pratica s’investe senza la protezione del Diritto, nonostante le operazioni appaiano regolamentate, per vero sin troppo; ma non sul punto essenziale: consentire agevolmente l’esercizio dell’azione di responsabilità per violazione delle regole.

Le aspettative degli azionisti

Vediamo rapidamente. L’azionista diffuso sul mercato, anche quando investe tramite gestore, quest’ultimo quando agisce nell’interesse del risparmiatore, è interessato a: a) estesa, significativa informazione, che possa intendere anche con l’aiuto della stampa specializzata; b) veridicità della stessa informazione, garantita dalla responsabilità di un terzo revisore; c) avvalersi delle azioni in responsabilità, specie per conflitti d’interesse. Il malcontento che si palesa nella vendita dei titoli vuole anche l’azione di responsabilità per la mala informazione; azione che comunque diviene necessaria per i casi estremi.

La necessità di maggiore trasparenza e responsabilità

L’informazione a carico delle società quotate è pertinente e sufficientemente estesa. Peraltro il giudizio sulla sua attendibilità da parte del revisore resta inquinato dall’interpretazione da noi prevalente del suo compito. Questi dovrebbe essere incaricato del compito di assumersi la responsabilità della qualità dei conti e delle informazioni come da lui attestate (certificate, si diceva nella legislazione passata). Con la conseguenza sull’onere della prova della diligenza prestata, in ogni caso a carico del revisore. Invece si sostiene che il revisore è comunque diligente se segue i disciplinari che ne regolano la professione, restando a carico di chi aziona la responsabilità dimostrare la negligenza: prova praticamente diabolica.

In altri termini, la prestazione del revisore dovrebbe essere di risultato, salva la prova a suo carico di accadimenti che hanno reso impossibile il risultato; non dovrebbe essere un’obbligazione di mezzi, come quella dei sindaci. Solo in questo senso si giustifica la revisione e il suo costo; non è un giudizio professionale, ma un’assunzione di responsabilità del risultato accettato con l’incarico, salva la prova contraria. (A mio avviso è già questa l’interpretazione corretta della legge comunitaria e italiana).

La verità scomoda: riforme e responsabilità nel diritto

Le azioni di responsabilità nei confronti degli esponenti delle aziende, le azioni per conflitto d’interessi, nella linea della cosiddetta deregolamentazione sono state assai affievolite, innanzitutto nel codice civile: sono difficili da individuare nella loro portata pratica; sono confuse. La disciplina precedente alla riforma era più precisa e sicura. La disciplina speciale per le società quotate non fa della responsabilità civile il punto centrale. A differenza di quanto avvenuto per le banche in seguito alla recente disciplina comunitaria e all’attuazione in Italia (non ne abbiamo ancora esperienza). In buona sostanza, il codice civile è orientato a sopprimere il rischio per gli amministratori di essere chiamati a rispondere dei danni causati; la responsabilità, intesa dalla riforma del codice, è di non reagire di fronte ai “campanelli d’allarme”, non di ricercare gli “allarmi”: così gli amministratori sono inutili.

I limiti dei meccanismi processuali

I meccanismi processuali inefficienti aggravano i problemi. È evidente che l’azione civile di responsabilità, appunto il perno del sistema di tutela, richiede l’adeguato, rapido funzionamento del processo giurisdizionale. Altrimenti si affievolisce la protezione stessa del Diritto, che resta affidato a un’amministrazione che, per necessità di cose, diviene sovrabbondante. Il compito dell’amministrazione finisce con l’essere sostitutivo delle azioni giudiziarie; dovrebbe invece su queste poggiare, per agevolarne l’azionabilità da parte degli interessati: strumento di controllo della stessa efficacia dell’amministrazione. Lo stesso intervento giudiziario per le società quotate risulta distorto: assistiamo a una presenza giurisdizionale in provvedimenti d’urgenza, nei quali poi si esaurisce il processo.

Le sfide della legislazione e della quotazione

Invece i meccanismi di voto in assemblea, in particolare per la nomina degli amministratori, non sono di immediata percezione ai fini di addivenire alla quotazione. Peraltro, per la buona condotta della società, il vecchio parametro di un voto per azione non è da disprezzare. Comunque, anche moltiplicando i voti per azione, l’equilibrio tra potere e voto deve essere rispettato, se non si intende rendere la società azionaria una fondazione privata. La nuova forma istituzionale (fondazione) richiederebbe discipline ben differenti: non credo si intenda affrontare questo percorso, sebbene lo si sia avviato con la recente legge.

Perché la nostra legislazione fatica ad essere tendenzialmente sistematica? Perché cade facilmente in interessi particolari che di volta in volta si affacciano, perturbando un sistema che dovrebbe essere pensato per durare nel tempo e non per risolvere problemi del momento, contingenti?

La risposta, che ora mi limito ad accennare, è nel procedimento legislativo, da noi assai carente. Temo assai che stiamo perdendo il treno; perdendo l’opportunità di adeguare la nostra Borsa alle possibilità che offre il mercato europeo, in decisa evoluzione.

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