Non è bastata una svalutazione del 36% del rublo locale per ridare ossigeno all’economia. Il regime di Minsk versa in una grave crisi dei pagamenti: le riserve della Banca Centrale sono a secco e la valuta straniera è ormai introvabile nei circuiti ufficiali del credito. I prezzi di molti alimenti sono stati congelati dal Governo fino al primo luglio, nel tentativo di scongiurare un’impennata dell’inflazione.
Il presidente Aleksandr Lukashenko, da molti considerato l’ultimo dittatore d’Europa, ha chiesto aiuto all’alleato russo per una linea di credito da 3 miliardi di dollari. Ma finora Mosca nicchia e ha promesso soltanto che il 4 giugno sarà discusso un piano di assistenza multilaterale da parte di alcune altre repubbliche ex sovietiche. La Bielorussia si vede dunque costretta a richiedere l’intervento del Fondo monetario internazionale, un organismo ideato nel dopoguerra per le crisi finanziarie dei Paesi emergenti ma ormai di casa in Europa, dall’Islanda alla Grecia.
Lukashenko non è nuovo a improvvisi cambi di strategia nei confronti della Russia e dell’Occidente. Resta da vedere se l’entrata in scena dell’Fmi servirà a Lukashenko per spuntare dal governo russo un prestito più generoso. Nel frattempo, emissari del Fondo resteranno a Minsk fino al 13 giugno per valutare la situazione. Per le strade della capitale si osservano file nei negozi per i beni di prima necessità. I leader dell’opposizione democratica sono in carcere, ma la crisi potrebbe sospingere il vento arabo di liberazione fin sulla steppa.