Con il volume “Keynes l’eretico. Vita e opere del grande economista che ha cambiato il mondo e l’occidente”, ancora una volta Giorgio La Malfa si conferma il più profondo e attuale conoscitore e divulgatore italiano di John Maynard Keynes. Nei vari saggi di cui si compone il volume si scopre come il personaggio Keynes, con il suo metodo speculativo e intellettuale ereticamente libero, non è sepolto nella storia. Secondo La Malfa l’apertura degli archivi keynesiani negli anni Settanta ha consentito di “inquadrare i suoi scritti economici all’interno della più ampia visione filosofica, storica e politica che ne costituisce il retroterra”. Una visione che lo rende ancora oggi, a oltre un secolo dalla pubblicazione dei suoi scritti, pienamente attuale nei confronti delle problematiche sociali, politiche ed economiche che caratterizzano le tematiche internazionali del mondo contemporaneo.
Nella convinzione che la lezione di Keynes insegna che “l’economia non può essere separata dalla storia e dalla politica”, l’Autore del libro mette in evidenza la presenza contemporanea di due Keynes. “Il primo è l’economista, artefice di una rivoluzione nello studio dell’economia..Il secondo è anche un uomo e un pensatore eclettico ancora attuale, capace di parlare dei problemi del nostro tempo”.
La “Teoria Generale” che ci fece capire meglio il mondo
Il primo saggio del volume, “L’Eredità di Keynes”, rileva come sul piano della teoria economica gli ultimi cento anni siano caratterizzati: a) dal glorioso trentennio keynesiano seguito alla seconda guerra mondiale, b) dal trentennio successivo caratterizzato dal ritorno dell’economia ortodossa e dalla controrivoluzione monetarista, c) dal ritorno di Keynes, nel senso che, dopo la crisi del 2008 e la pandemia del 2020-2021 “il mondo della politica, dell’economia, e della finanza oggi sa che il mercato non è in grado di abolire il rischio e l’incertezza…e che dunque può essere necessario e utile intervenire con gli strumenti di politica economica che nacquero dalla riflessione di Keynes”. È questo ritorno che in sostanza motiva l’intero volume che prosegue, da un lato, dedicando una particolare attenzione alla genesi, allo sviluppo e alle implicazioni politiche ed economiche, ed anche alle difficoltà di lettura, della Teoria Generale, e, dall’altro, approfondendo i vari aspetti economici, politici, morali, pragmatici propri della concezione dell’economia di Keynes. I due Keynes, come si diceva prima.
I tre capitoli centrali del volume sono particolarmente dedicati alla Teoria Generale, che Giorgio La Malfa considera un libro di non facile lettura: da leggere due volte. Un libro il cui contenuto è segnato dallo sforzo di uscire dallo schema di pensiero in cui l’autore si era formato. E, infatti, al riguardo lo stesso Keynes dice nella Prefazione: “La stesura di questo libro è stata per l’autore una lunga lotta di liberazione, e tale dovrà esserne la lettura … La difficoltà non risiede nelle nuove idee, ma nel sottrarsi alle vecchie, che, in chi è stato educato come la maggior parte di noi, ramificano in ogni angolo della mente”. Ma non è comunque su questa parte che qui si vuole centrare l’attenzione quanto sui capitoli del lavoro di La Malfa che di fatto mettono in evidenza quello che comunemente non si sa di Keynes, la “novità” su cui si sofferma buona parte del volume: il secondo Keynes.
Keynes: il pragmatico economista
In questa parte La Malfa spiega in primo luogo il pragmatismo di Keynes mettendo in evidenza il suo interesse per i fatti. Al riguardo, tra l’altro, riporta una sua affermazione ironica: “L’economia dovrebbe essere una materia per specialisti – come l’odontoiatria”, mettendone in risalto il profondo convincimento che i modelli economici debbano essere “pertinenti al mondo contemporaneo”, con un limitato uso di formalizzazioni matematiche e capaci di mettere in grado di agevolare la comprensione della realtà. “L’economia – afferma Keynes – è essenzialmente una scienza morale, e non una scienza naturale. Impiega cioè introspezione e giudizi di valore (…) si occupa di motivazioni, di aspettative, di incertezze psicologiche”.
L’uomo di governo
Ma sul versante del secondo Keynes non c’è solo l’economista pragmatico e attento ai giudizi di valore e al potere delle idee per prendere le giuste decisioni in termini di politica economica. C’è l’uomo di governo (due volte ai vertici del Tesoro come consigliere ma di fatto considerato come super cancelliere dello Scacchiere) e il tessitore dei rapporti tra i paesi dell’Europa e tra l’Europa e gli Stati Uniti, partecipando da negoziatore con gli USA. In questa veste egli agì come primo attore nell’analisi e nella trattativa per gli assetti economici del secondo dopoguerra, gli assetti che avrebbero decretato la fine del “secolo inglese” con il passaggio della leadership internazionale dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti e con il recupero dell’economia tedesca in Europa. Fu “padre e nutrice” (così si autodefinisce Keynes) del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale. Un’azione complessa e difficile che fa pensare che si sono poste qui le premesse e le basi su cui costruire nel successivo dopoguerra l’assetto unitario dell’Europa.
Nei capitoli finali La Malfa si sofferma, con un po’ di componente autobiografica, sulle due Cambridge: le due scuole keynesiane, quella inglese e quella americana. Mettendo in evidenza che se queste possono essere considerate unite nel giudizio sul capitalismo contemporaneo e sulle implicazioni di politica economica della General Theory, sono invece significativamente divise sull’adozione delle implicazioni marginaliste della teoria del capitale: un elemento, questo, che ha lentamente ripristinato il dominio della teoria ortodossa nell’insegnamento universitario statunitense, ma non solo, e affievolito la presenza keynesiana.
L’attualità del pensiero di Keynes
Fin qui, con molta sinteticità, il non sempre facile contenuto del recente libro di Giorgio La Malfa. Un libro che, tra l’altro, fa nascere alcuni interrogativi che si potrebbero porre all’autore ove ritenesse opportuno rispondere.
Le fosche vicende e previsioni sugli assetti ambientali, le implicazioni sociali dell’era della digitalizzazione, l’approfondimento delle disuguaglianze sociali, non vanno oltre i problemi con cui si confrontava Keynes?
Quale è oggi, di fronte alla complessità attuale dei problemi dello sviluppo, la capacità di impostare un adeguato e strutturale assetto di politica economica di impronta keynesiana in una parte, almeno, del mondo moderno?
E, in particolare in Italia, esistono oggi le competenze, i dati economici e sociali, la visione temporale per affrontare con successo politiche di impostazione keynesiana?
Si può sostenere che la presenza e la parziale contrapposizione delle due Cambridge, oltre a favorire il prevalere dell’economia ortodossa, abbiano nei fatti frenato lo sviluppo del pensiero keynesiano, mancando di confrontarlo con le complesse dinamiche di idee e di politica economica del tempo attuale?