Un giorno per certi versi storico per gli Stati Uniti: il ritiro di Joe Biden dalla corsa alla Casa Bianca. Era da più di 50 anni che un candidato non si ritirava dalla corsa presidenziale. Il presidente ha espresso immediatamente il suo sostegno alla vicepresidente Kamala Harris, “la mia prima decisione dopo la nomina nel 2020 è stata quella di scegliere Kamala Harris come mia vicepresidente. Ed è stata la migliore decisione che ho preso. Oggi voglio offrire il mio pieno sostegno e il mio appoggio affinché Kamala sia il candidato del nostro partito quest’anno”. La candidatura della vicepresidente non è però scontata, e la partita tra i democratici è ancora aperta, tra i silenzi di Obama e le questioni dei finanziamenti. Il partito, infatti, potrebbe scegliere un’altra figura, magari un governatore, e in ogni caso la nomination diventerebbe ufficiale solo con la convention in programma il 19-21 agosto. Alla fine, come spesso accade in politica, è il denaro quello che conta.
Harris accetta l’investitura: “Sono onorata, batterò Trump”
Kamala Harris ha accettato l’investitura di Joe Biden. “Sono onorata. Mi guadagnerò la nomination e batterò Trump”, ha assicurato Harris in un post in cui allega il link per le donazioni, dando ufficialmente il via alla sua corsa presidenziale.
Harris ha già lanciato ufficialmente la sua campagna presidenziale: “Questi non sono tempi normali e queste non saranno elezioni normali. Ma questa è la nostra America. E io ho bisogno di voi in questa battaglia”, ha dichiarato in uno dei suoi primi messaggi di raccolta fondi. E la risposta è stata più che positiva con un boom di donazioni che ha portato nelle casse democratiche 46,7 milioni di dollari in poche ore.
L’endorsement del presidente è stato imitato a stretto giro da numerosi esponenti democratici, ma la posizione del presidente non inciderà in maniera decisiva sulla nomination. A favore di Harris si sono schierati Bill Clinton e sua moglie Hillary che in una nota congiunta, scrivono: “È il momento di sostenere Kamala Harris e di lottare con tutte le nostre forze per eleggerla. Il futuro dell’America dipende da questo.”
Barack Obama, invece, ha evitato di esprimere un supporto esplicito per Harris, limitandosi a lodare Biden e a esprimere fiducia nel processo di selezione del candidato democratico. “Ho una straordinaria fiducia che i leader del nostro partito saranno in grado di creare un processo da cui emergerà un candidato eccezionale”, scrive Obama nella sua nota. “Credo che la visione di Joe Biden di un’America generosa, prospera e unita che offra opportunità a tutti sarà pienamente illustrata alla Convention Democratica di agosto. E mi aspetto che ognuno di noi sia pronto a portare avanti quel messaggio di speranza e progresso fino a novembre e oltre.”
Anche l’ex speaker Nancy Pelosi, che ha giocato un ruolo determinante nella decisione di Biden di ritirarsi dalla corsa, sostiene la necessità di primarie per risolvere la questione del candidato democratico.
C’è il nodo finanziamenti da sciogliere
L’uscita di scena di Biden incide anche sulla gestione dei fondi raccolti finora dal presidente. Secondo il Washington Post, Biden potrebbe cedere il controllo delle risorse a Harris, dato che il nome della vicepresidente compare nei documenti consegnati alla Commissione elettorale federale. Tuttavia, alcuni esperti legali, come Charlie Spies, sostengono che sarebbe necessaria una nomina formale prima di procedere al passaggio dei fondi. Se il partito scegliesse un candidato diverso da Harris, la campagna di Biden potrebbe trasferire i fondi al Comitato Nazionale Democratico o a un ‘super comitato’ che sostiene il nuovo ticket per la Casa Bianca.
I principali finanziatori democratici hanno già espresso il loro sostegno a Kamala Harris. Diversi donatori avevano contattato il team della vicepresidente per manifestare la loro disponibilità a supportarla in caso di candidatura. “Se qualcosa cambia, noi siamo lì per te”, aveva detto uno dei principali donatori.
Tutto sarà deciso nella convention di agosto
È chiaro che per i democratici tutto si deciderà nella convention di agosto. A poche settimane dalla convention di Chicago, il Partito Democratico deve decidere la strada da seguire. Kamala Harris potrebbe arrivare come candidata unica, oppure si potrebbero tenere primarie aperte lasciando in gara altri nomi di peso. Il presidente della convention democratica, Jaime Harrison, ha affermato che il partito “intraprenderà un processo trasparente e ordinato” per scegliere un candidato. “Il processo sarà regolato da norme e procedure stabilite dal partito. I nostri delegati sono pronti ad affrontare con serietà le proprie responsabilità per consegnare in maniera fluida un candidato al popolo americano. A breve, il popolo americano sarà informato dal partito democratico sui prossimi passi e sull’iter per la nomination”.
L’ipotesi di una convention aperta senza una chiara indicazione sarebbe rara ma non senza precedenti, come avvenne nel 1968 quando Lyndon B. Johnson annunciò a sorpresa il suo ritiro. La convention di quell’anno, anch’essa a Chicago, si concluse con la nomina del vicepresidente Hubert Humphrey come candidato presidenziale, in un clima di grande tensione sociale e politica. Una tale situazione potrebbe però impegnare il Partito Democratico in una contesa interna, influenzando negativamente il voto di novembre.
Ma chi sono i possibili rivali di Kamala Harris nella corsa alla scettro del partito democratico?
I possibili avversari alla corsa di Kamala Harris
Se il Partito Democratico decidesse di aprire la competizione per la nomination presidenziale, la corsa si farebbe decisamente più interessante e variegata. Kamala Harris, attualmente in pole position, non sarebbe la sola a contendersi il ruolo di candidato per le elezioni. Diversi nomi influenti potrebbero emergere come rivali.
Uno dei candidati potenziali è Josh Shapiro, governatore della Pennsylvania. La sua leadership in uno stato chiave e il suo supporto attuale per Harris lo rendono un nome da tenere d’occhio. Tuttavia, molti lo vedono più come un possibile candidato alla vicepresidenza piuttosto che alla presidenza.
Si potrebbe inserire nella corsa il governatore dell’Illinois, J.B. Pritzker. Pritzker ha dimostrato una solida leadership nel suo stato e potrebbe rappresentare un’alternativa valida a Harris se il partito decidesse di allargare il campo. Andy Beshear, governatore del Kentucky, è un altro potenziale concorrente. Nonostante il Kentucky sia uno stato tradizionalmente repubblicano, Beshear ha saputo ottenere due vittorie elettorali consecutive, dimostrando la sua capacità di attrarre elettori anche in territori difficili per i democratici.
Wes Moore, governatore del Maryland, è spesso considerato una figura emergente con il carisma e la storia personale che ricordano Barack Obama. Con il suo background militare e la sua leadership carismatica, Moore potrebbe attirare un ampio sostegno.
Tra i senatori, Amy Klobuchar e Cory Booker potrebbero farsi avanti. Klobuchar, del Minnesota, è conosciuta per il suo approccio pragmatico e la sua abilità nel costruire consenso. Booker, del New Jersey, ha guadagnato popolarità per la sua oratoria e il suo impegno su temi sociali.
Un altro nome che potrebbe emergere è quello di Mark Kelly, senatore dell’Arizona ed ex astronauta. La sua storia personale e la sua esperienza in Senato lo rendono un candidato interessante e potenzialmente forte.
Infine, c’è un nome che suscita molta suggestione e interesse: Michelle Obama. Nonostante l’ex first lady abbia sempre escluso fermamente un impegno diretto in politica, la sua immensa popolarità e il suo carisma la renderebbero una figura di grande attrazione se decidesse di candidarsi. Anche se la sua candidatura sembra improbabile, rappresenterebbe comunque una scelta molto potente e capace di unificare il partito.
La convention di agosto sarà il momento cruciale in cui il Partito Democratico deciderà il proprio futuro e il candidato che sfiderà Donald Trump nelle prossime elezioni presidenziali. Una corsa che parte già in salita con il tycoon nettamente favorito per l’elezioni di novembre.